TALLONE, Cesare
Cesare Vittore Luigi Tallone nacque a Savona l’11 agosto 1853, secondogenito di Pietro Domenico (1816-63) e di Teresa Macario (1817-90). Al seguito del padre, militare di carriera, la famiglia si spostò fra il Piemonte d’origine (a Pinerolo nacque nel 1850 la primogenita Palmira), Savona (vi nacque la terzogenita Maria Giuseppina Natalina nel 1855) e Parma (dove nacque nel 1861 Linda Maria Greca).
Ad Alessandria, città d’origine della madre, dove la donna si stabilì coi figli dopo la prematura morte del marito, a dodici anni Cesare entrò come apprendista in una bottega artigiana. Tra il 1867 e il 1870 frequentò le lezioni di ornato del pittore Pietro Sassi presso la locale Società operaia di mutuo soccorso. Fece da assistente a questo primo maestro per interventi decorativi in ville e palazzi fra basso Piemonte e Genovesato. In tali circostanze il giovane aiuto fu notato dagli industriali Giuseppe Borsalino e Domenico Boratto, che si prodigarono affinché il Comune di Alessandria ne sostenesse gli studi. Nel 1872 fu quindi ammesso all’Accademia di Brera e, in procinto di trasferirsi a Milano, profetizzò al suo benefattore Borsalino: «Qui entro da allievo ma un giorno tornerò come maestro» (Tallone, 2005, p. 10).
A Brera frequentò con profitto le lezioni di elementi di figura con Raffaele Casnedi dal 1872 al 1876, la scuola di paesaggio di Luigi Riccardi (1872-74), la scuola del nudo (1875-76) e, dal 1876 al diploma (1879), la scuola di pittura e disegno del nudo con Giuseppe Bertini, ottenendo riconoscimenti e medaglie. Nel 1877 esordì all’annuale Esposizione braidense col dipinto Parte della sagrestia delle Grazie in Milano, e l’anno successivo espose Sala nell’ex palazzo Clerici (dispersi). Il più precoce dipinto conservato in una collezione pubblica è il Ritratto femminile del 1876 (Milano, Pinacoteca di Brera), mentre la veduta dell’Isola di S. Giulio sul lago d’Orta (coll. priv.), datata al 1869 circa, pare essere la prima opera conservatasi. Nel 1879 ottenne un premio col dipinto storico Una pia donzella difende dalla rapacità di un goto gli arredi sacri affidati alla sua custodia (Milano, Pinacoteca di Brera), ispirato alla Storia della città di Roma del tedesco Ferdinand Gregorovius (1872).
Presto strinse amicizia con Giuseppe Mentessi, futuro insegnante di prospettiva e scenografia a Brera, al quale in seguito fece spesso ricorso per il disegno delle cornici dei suoi dipinti. Socio della Famiglia artistica di Milano sin dalla fondazione (1873), in questi anni ebbe rapporti con Spartaco Vela (di cui dipinse il Ritratto, Ligornetto, Museo Vela), Paolo Troubetzkoy e altri colleghi quali Angelo Morbelli, Leonardo Bistolfi, Leonardo Bazzaro, Lorenzo Delleani, Giacomo Grosso.
Molto apprezzato dal maestro Bertini, Tallone ebbe anche la stima dell’anziano Francesco Hayez, di cui frequentò casa e studio, dipingendo il Ritratto della di lui figlia adottiva Angelina Rossi (1890 circa, Milano, ospedale Maggiore).
Fra il 1879 e il 1882, interrompendosi solo per brevi soggiorni a Parigi, Venezia e Roma, Tallone lavorò alla grande tela (cm 305 x 535) Una vittoria del cristianesimo ai tempi di Alarico, sviluppando il tema già affrontato nel quadro del 1879 e potendo disporre del prestigioso studio braidense di Hayez. L’opera, trionfalmente accolta all’Esposizione di Roma del 1883, fu acquistata dal principe Marcantonio Borghese e andò distrutta nel 1943 a causa dei bombardamenti occorsi su Pratica di Mare, dove era stata trasferita.
Dal 1883 in avanti si colloca un prolungato soggiorno a Roma: qui il pittore ebbe modo di sfruttare al meglio l’eco del successo ottenuto col dipinto entrato nell’importante collezione Borghese e di mettere a punto la futura e proficua attività di ritrattista. I primi ritratti di cui si ha notizia sono degli anni Settanta, dipinti per amici e collezionisti (alcuni in coll. priv.): presto, però, questo divenne il filone più praticato da Tallone: Umberto I (dono del 1879 al Municipio di Alessandria), Luigi Bernasconi (1882, Roma, Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea; 1883-84, Milano, Pinacoteca di Brera), Emilio Bernasconi (1883-84, Novara, Galleria d’arte moderna Giannoni), Francesco Zambeletti (1884, Milano, Accademia di Brera), Il sig. Anadone (1884, Bergamo, Accademia Carrara), Il cap. Fondacaro (1884, coll. priv.). A Roma il pittore ebbe modo di frequentare i coetanei Antonio Mancini e Francesco Paolo Michetti.
Nel 1884 presentò all’Esposizione italiana di Torino e alla mostra della locale Promotrice di belle arti il citato Ritratto del cap. Fondacaro assieme a un Ritratto di vecchio e a Il pittore in erba (entrambi dispersi), quest’ultimo molto simile per impostazione e modelli alla tela di poco successiva I due cugini (1885-86, Piacenza, Galleria d’arte moderna Ricci Oddi).
Nel marzo 1885 vinse il concorso per la cattedra di pittura all’Accademia Carrara di Bergamo, rimasta vacante dopo la scomparsa di Enrico Scuri. Oltre al pittore – che poté contare sul parere favorevole di Giovanni Morelli (omaggiato da Tallone nel 1890 con il Ritratto ora alla Carrara) e sulle parole di stima espresse da Vincenzo Vela al senatore Giovan Battista Camozzi, presidente della commissione – concorsero tra gli altri Gaetano Previati, Filippo Carcano, il genero e sostituto di Scuri Luigi Galizzi, Vespasiano Bignami e Ponziano Loverini. Il nuovo corso imposto da Tallone si caratterizzò per la moderna attenzione prestata alla copia dal vero, allo studio dell’anatomia e del paesaggio en plein air e agli artisti contemporanei, costituendo di fatto un cambiamento radicale rispetto alla compassata didattica del predecessore Scuri; Tallone, inoltre, instaurò rapporti franchi e aperti coi suoi allievi, fra i quali Giuseppe Pellizza da Volpedo. In questi anni, pur risiedendo a Bergamo, si spostò spesso fra Milano e Roma, dove nel 1888 sposò Eleonora Tango (Torino, 1863 - Milano, 1938), figlia del magistrato napoletano Vincenzo, che aveva conosciuto pochi anni prima: fra i molti ritratti in cui la donna posò come modella è La massaia (1894, Milano, Galleria d’arte moderna). Proprio per avvicinarsi alla famiglia della moglie, nella casa di Alpignano (Torino), destinata a diventare il suo buen retiro, nel 1889 Tallone partecipò, senza successo, al concorso per la cattedra di pittura all’Accademia Albertina.
Nel 1889 dipinse un primo Ritratto della regina Margherita (disperso), cui seguì nel 1890 un secondo Ritratto (Torino, Palazzo Chiablese; un terzo Ritratto, incompiuto, del 1903, è in coll. priv.), consolidando così la fama di massimo ritrattista nazionale, testimoniata negli anni a seguire da un’impressionante serie di opere, tutte di notevole qualità: La bambina Irene Tallone (1897, Roma, Gnam), Il conte Aldo Annoni (1901, Milano, coll. Cariplo), Emilio Borromeo Arese (1904, Isola Bella, coll. Borromeo), Lina Cavalieri (1905, coll. Campari), Ellade Crespi Colombo (1905, Milano, ospedale Maggiore), Ester de Amorin (1906, Genova, Raccolte Frugone), Giannina Castelli (1908, Milano, Gam: Premio Principe Umberto a Brera), Lyda Borelli (1911, coll. priv.), Gea della Garisenda (1911-12, coll. priv.), Ettore Baldini (1912, Milano, Brera).
Promotore del Circolo artistico bergamasco nel 1895, nel 1897 aprì in palazzo Suardi a Bergamo una scuola privata di disegno e pittura destinata alle donne (escluse per statuto dalle lezioni accademiche; la stessa cosa fece a Milano sino alla modifica del regolamento nel 1915). Continuò a partecipare alle Esposizioni milanesi e torinesi e alla neonata Biennale veneziana (dove nel 1909 gli fu dedicata una personale).
Nel 1899, riconoscendone i meriti e la fama ormai nazionale, la commissione dell’Accademia di Brera (di cui il pittore era socio onorario dal 1891) gli assegnò la cattedra di pittura, preferendolo ai concorrenti Filippo Carcano, Leonardo Bazzaro, Gaetano Previati e Giacomo Grosso. Il trasferimento dalla provinciale Bergamo a Milano, con la quale aveva sempre mantenuto rapporti, pose Tallone ancor più al centro di una fitta rete di contatti, commissioni accademiche e artistiche. Nelle aule di Brera ebbe allievi, fra gli altri, Romolo Romani, Leonardo Dudreville, Carlo Carrà, Aldo Carpi, Mario Chiattone, Carlo Erba, Antonio Sant’Elia, Alberto Salietti. Continuò a insegnare e a dipingere a ritmi serrati fino al sopraggiungere della malattia che lo condusse in pochi mesi alla morte il 21 giugno 1919 a Milano; fu sepolto al cimitero Monumentale.
Artista disciplinato e impeccabile, Tallone rimase fedele per tutta la sua ultraquarantennale carriera alla pittura di ritratto, praticando solo in modo estemporaneo il genere del paesaggio, con opere spesso realizzate in contesti intimi e non ufficiali (molte in coll. priv. e alcune a Lugano, Museo d’arte). Sin dall’esordio i suoi superbi ritratti furono sempre accolti con grande considerazione dalla critica, attenta a individuarvi echi dei grandi maestri del passato (Tiziano, Velázquez, Antoon Van Dyck, Frans Hals, El Greco, Caravaggio), come del resto avveniva per altri celebri contemporanei di Tallone quali Franz Seraph von Lenbach, Joaquín Sorolla, Giovanni Boldini, Giacomo Grosso, Lino Selvatico ed Ettore Tito. Insegnante autorevole, tanto a Bergamo quanto a Milano, lasciò impressioni durature nei giovani Giuseppe Pellizza da Volpedo – «benedico sovente il giorno in cui sorse in me la bella idea di fruire degli insegnamenti che il Tallone impartiva» – e Carlo Carrà – «quello che massimamente ancora oggi dopo più di quaranta anni è vivo in me è il convincimento che quei tre anni passati con Cesare Tallone hanno non poco servito ad irrobustire il mio carattere morale oltre che recarmi giovamento nel campo pittorico» (Cesare Tallone, 2013, pp. 16 s.). Dopo alcune iniziative espositivo-editoriali a ridosso della scomparsa, la fortuna critica di Tallone declinò rapidamente sotto il peso esercitato dalle più aggiornate proposte figurative del secondo quarto del Novecento: si segnalano la monografia di Enrico Somarè (1945), la mostra celebrativa di Bergamo (1953) e alcuni successivi parziali contributi.
Dal matrimonio con Eleonora Tango nacquero Irene (1889-97), Antonio (morto nel 1890), Emilia (1891-1943, pianista, sposò il poeta e traduttore Oreste Ferrari), Teresa (1893-1933, sposò il critico Somarè), Guido (1894-1967, pittore), Cesare Augusto (1895-1982, costruttore di pianoforti), Ermanno (1896-1963, antiquario e gallerista), Alberto (1898-1968, libraio e tipografo), Vincenzina (1899-1912), Giuditta (1904-97, pianista, sposò il letterato Franco Ciliberti). Dalla precedente unione con Paolina Bellati nacquero Enea (1876-1937, architetto attivo in Svizzera) e Maria (1879-94).
Di rilievo anche la produzione artistica del figlio Guido, il quale nacque a Bergamo l’11 maggio 1894 e trascorse l’infanzia tra Alpignano (Torino) e Milano.
Nel 1907 fu ammesso alla Scuola degli artefici di Brera, dove seguì nel 1909-12 i corsi di figura, prospettiva e scenografia, approdando nel 1912-15 alla scuola del padre Cesare. Terminato il primo conflitto mondiale (dove fu anche disegnatore in Carnia), intraprese l’attività di paesaggista e di pittore di figura incoraggiato da Ambrogio Alciati, successore del padre alla cattedra di Brera.
Il fratello Enea gli procurò i primi incarichi per affreschi in palazzi e chiese di Locarno e dintorni (S. Domenico a Laura, Grigioni, 1922-33), che Guido alternò a frequenti viaggi formativi all’estero (Berlino, Parigi, Madrid, Marocco, Tunisia, Egitto, Turchia). Dal 1923 espose regolarmente alla Permanente di Milano, e nel 1924 si affermò alla Mostra del ritratto alla Villa Reale di Monza. Nel 1930, coll’appoggio del fratello Ermanno e di Aldo Carpi, presentò la sua prima personale alla galleria Pesaro, replicata nel 1931 alla galleria Milano (diretta dal fratello Ermanno). Dal 1930 agli anni Quaranta fu presente alla Biennale di Venezia. Altre importanti occasioni espositive: galleria Bing di Parigi (1932), Triennale di Milano (1933), Exposition Internationale di Bruxelles (1935), Akademie der Künste di Berlino (1937), Quadriennale di Roma (1939).
Gli eventi bellici lo costrinsero nel 1943 ad abbandonare lo studio milanese di via Rugabella, trasferendosi a Venezia (Dorsoduro). Il prolungato soggiorno in laguna segnò profondamente la sua produzione: anche dopo il rientro a Milano vi mantenne uno studio – prima a Burano, poi a Torcello. Nel 1952 compì un viaggio di sei mesi negli Stati Uniti, dove dipinse il Ritratto di Arturo Toscanini (1952): vi tornò brevemente nel 1958 e poi nel 1966 per una mostra personale al centro Rizzoli di New York.
Colpito da una malattia invalidante (1956-57), si riprese rapidamente tornando a lavorare, a esporre e a viaggiare con rinnovato vigore. Accademico di S. Luca (1965), espose per l’ultima volta in Italia nel 1965 alla galleria Gian Ferrari di Milano.
Morì il 30 settembre 1967 nella casa materna di Alpignano, nel cui giardino aveva fatto installare una locomotiva, segno tangibile della sua passione per i viaggi, occasione irrinunciabile d’ispirazione per immancabili paesaggi.
Il carattere eccentrico del pittore, quasi un tardo epigono degli scapigliati, contribuì a crearne un’immagine anticonformistica, da lui stesso alimentata, come quando negli anni Cinquanta visse per qualche tempo nella sua auto. Inevitabile il ruolo esercitato dall’ambiente familiare: la figura imprescindibile del padre Cesare e quelle dei fratelli Enea ed Ermanno, dei cognati Somaré e Ferrari (importanti nella promozione di Guido presso i primi collezionisti). Se è indubbio il riferimento iniziale ai modelli paterni, presto però Guido dimostrò la volontà di smarcarsi dall’impronta tradizionale, guardando alle esperienze internazionali. I molti viaggi all’estero degli anni Venti gli fornirono gli elementi coi quali impostare una pittura di pennellate vigorose e rapide, felici composizioni che, discendendo da prototipi cezanniani, paiono guardare a Max Liebermann e a Oskar Kokoschka. Personalità indipendente, Tallone si mantenne distante dalle coeve esperienze delle avanguardie e dal Novecento.
È stato osservato (L. Tedeschi, in Guido Tallone, 1989, p. 21) che a una prima fase contraddistinta da una certa irruenza pittorica seguì negli anni Trenta e Quaranta un fare più meditato e lirico, memore della tradizione lombarda (per es. di Emilio Gola e Arturo Tosi) e però capace di reinventare proposte sempre valide.
La maggior parte delle sue opere, raccolte nel Catalogo ragionato (1998), è conservata in collezioni private, a riprova di un artista molto presente sul mercato del vivace contesto milanese di metà Novecento: fanno eccezione Paesaggio da Cesare Tallone (1920 circa), Ritratto della sig.ra Tina Ruffini Rocca (1936), Lo studio del pittore (1944), Mezzovico (1959), Paesaggio e Tutto dorme (1965, tutti a Bellinzona, Museo Villa dei Cedri), La centrale elettrica (1929, Zurigo, Kunsthaus), Paesaggio collinare e Nervi (1931, entrambi a Milano, casa-museo Boschi-Di Stefano), Ritratto di Davide Campari (1935, coll. Campari), Ritratto dell’arch. Angelo Cattaneo (1935) e Isola di Torcello (1959, entrambi a Milano, Permanente), Mia madre in carrozza (1936, Bergamo, Accademia Carrara), Mia madre (1936) e Nevicata (1962, entrambi a Milano, Museo del Novecento), Ritratto della pianista Luisa Baccara (1944, Gardone, Vittoriale), Il portone della vigna (1959, Mendrisio, Museo d’arte), La mia locomotiva (1960, Milano, coll. Cariplo).
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