AZEGLIO, Cesare Taparelli marchese di
Nato a Torino il 10 febbr. 1763 da Roberto Taparelli, conte di Lagnasco, e da Giustina Genolla Taparelli, entrò nel 1774 nel reggimento della Regina, in cui fu soldato e poi ufficiale. Fu inviato di guarnigione in varie città del regno: a diciotto anni circa, nominato scudiero del duca d'Aosta, fu richiamato a Torino. Intorno al 1784 l'A. si dette a una vita religiosamente più impegnata e iniziò uno studio approfondito della letteratura apologetica e della teologia cattolica del tempo. Nel 1788 sposò Cristina Morozzo di Bianzè, che gli fu sino alla morte compagna fedele e affettuosa, e che del marito scrisse più tardi un'appassionata biografia: da lei l'A. ebbe otto figli, il primo morto appena nato, altri quattro morti in giovane età (Metilde nel 1813, Enrico nel 1824, Giuseppe Luigi poco dopo la nascita avvenuta nel 1796, Melania nel 1807), e tre soli sopravvissuti al padre, Roberto, Prospero-Luigi, il futuro gesuita, e Massimo.
Poco dopo l'A. s'iscrisse all'Amicizia cristiana fondata dal gesuita N. G. Diessbach a Torino intorno al 1775.
Questa associazione era nata con l'intentodi opporsi ai principi dell'illuminismo, del razionalismo e del giansenismo, considerati eversivi della società religiosa e di quella politica, collocandosi sullo stesso terreno degli avversari: unendo cioè i cattolici in una organizzazione segreta come quelle che si volevano combattere, e che si proponeva, oltre a una purificazione religiosa dei suoi membri, la diffusione, soprattutto mediante i libri, dei principi cristiani; costituita principalmente di ecclesiastici, essa aveva i caratteri di una congregazione religiosa. Nel campo della pietà, l'Amicizia dava rilievo ai motivi della devozione al Cuore di Gesù e al Cuore immacolato di Maria, che erano nella linea della pietà sostenuta dai gesuiti in contrasto con quella dei giansenisti, contro la cui morale rigoristica l'Amicizia propugnava la dottrina di s. Alfonso de' Liguori, che sarebbe poi prevalsa in seno alla Chiesa. Propagata dal Diessbach in varie città dell'Italia, della Francia e della Svizzera, alla sua morte nel 1798 essa trovò un nuovo capo nel p. P. Brunone Lanteri, il futuro fondatore della Congregazione degli oblati di Maria Vergine: restata attiva durante il periodo napoleonico, l'Amicizia interruppe le riunioni nel 1811, quando la persecuzione imperiale costrinse il Lanteri a prendere la via dell'esilio.In questo ambiente, in stretto rapporto con il Lanteri, si completò probabilmente la formazione culturale e religiosa dell'Azeglio. Scoppiata nel 1792 la guerra fra il Piemonte e la Francia, l'A. combatté dapprima nella zona di Nizza, agli ordini di C. F. Thaon conte di Sant'Andrea, e poi, nel corso dell'offensiva francese della primavera 1794, cadde prigioniero al Piccolo San Bernardo. Rientrato in Piemonte dopo l'armistizio di Cherasco (28 apr. 1796), l'A. ebbe occasione di provare il suo attaccamento al re Carlo Emanuele IV, offrendosi due volte in ostaggio per garantire la persona del sovrano nel corso degli avvenimenti che portarono alla esautorazione della monarchia e all'annessione del Piemonte alla Francia. Anche dopo che il re si fu rifugiato in Sardegna, nel marzo 1799, l'A. restò in Piemonte, e allorché i Russi di Suvorov, entrati nel maggio dello stesso anno a Torino, costituirono un governo provvisorio presieduto dal conte di Sant'Andrea, questi inviò l'A. in Sardegna, per invitare il re a tornare sul trono. Ritornati i Francesi, l'A. restò sino all'ultimo a fianco del conte di Sant'Andrea, e partì poi per Firenze, dove si era fatto precedere dalla moglie e dai figli.
A Firenze, dove strinse amicizia con l'Alfieri, l'A. fu promotore e principale collaboratore di un giomale, L'Ape, che costituisce il primo esempio di giornalismo cattolico nell'Italia dell'800.
L'Ape, che aveva per sottotitolo "Scelta d'opuscoli letterari, e morali estratti per lo più da fogli periodici oltramontani" (soprattutto francesi, ma anche inglesi e tedeschi), cominciò a uscire, in fascicoli mensili, dal 30 ag. 1803, e continuò per parecchi anni, anche dopo che l'A. ne ebbe lasciata la direzione. Il periodico, pur dando larga parte alla letteratura e alle scienze, svolse nel campo morale e religioso una considerevole opera di apologia della religione cattolica contro la filosofia atea, e del primato del papa contro il giansenismo. L'Ape faceva grande posto agli scritti e ai commenti sugli scritti degli autori cattolici controrivoluzionari, dal Barruel al La Harpe, dallo Chateaubriand al Bonald e all'italiano G. Marchetti; e batteva l'accento su temi che avrebbero avuto più tardi molta fortuna nel mondo cattolico, quali quelli della infallibilità personale del papa e dell'importanza sociale della religione.
Nel 1807 un decreto francese che richiamava in patria i Piemontesi emigrati costrinse l'A. e la famiglia a tornare a Torino. Nel 1809 e nel 1810, essendo stati i figli Roberto e Prospero nominati da Napoleone rispettivamente uditore al Consiglio di Stato e allievo della scuola militare di St. Cyr, l'A. compì due viaggi a Parigi: gli riuscì, con l'aiuto di amici, di strappare alla scuola militare Prospero, che subito imboccò la via del sacerdozio. Negli anni seguenti, che videro farsi sempre più aspro il dissidio fra la Chiesa e l'Impero napoleonico, l'A. mise la sua persona e le sue sostanze a disposizione del papa Pio VII, rinchiuso per tre anni, dal 1809 al 1812, a Savona, e di tutti gli ecclesiastici che a lui si rivolsero per aiuto. Durante il dominio francese l'A. fu pure ispiratore di quella Accademia dei Concordi, che, sorta con il proposito di rivendicare un patriottismo piemontese, doveva dopo il 1814 evolvere in senso liberale e italiano.
Alla Restaurazione, il nuovo re Vittorio Emanuele I designò nel giugno 1814 l'A. suo inviato straordinario a Roma presso il papa Pio VII. Ma le avvisaglie dei primi contrasti di carattere giurisdizionale fra la Chiesa e lo Stato piemontese, già nell'agosto 1814 indussero l'A., caldo sostenitore delle prerogative della S. Sede e diffidente della tradizione regalistica della corte sabauda, a dimettersi. Da questo momento l'attività che l'A. svolgeva per incarico della corte, andò gradatamente riducendosi. Nel 1816 fu inviato come governatore a Casale Monferrato; nel 1820 fu nominato ispettore generale degli istituti di pubblica beneficenza negli antichi Stati di Terraferma. Scoppiato il moto del 1821, l'A. fu subito al fianco del re Vittorio Emanuele I, ma se ne allontanò presto, indignato della sua abdicazione: vivo dolore suscitò in lui soprattutto la partecipazione ai moti del figlio Roberto, che dovette al nome del padre se non fu coinvolto in un processo.
Sin dal 1817 l'A. aveva impegnato tutte le sue forze nell'attività dell'Amicizia cattolica, che si era ricostituita come un ramo della vecchia Amicizia cristiana ma che finì per assorbirla. Uomo a cui la rigidezza di principi poteva dare un'apparenza quasi disumana, come sembrava al giovane figlio Massimo, ma che era animato da una fede calda nella causa in cui credeva, e da sentimenti di affettuosa tenerezza per il suo mondo familiare e per quello più vasto delle sue amicizie, secondo il vivo ritratto che di lui lasciò la moglie; esponente del ceto aristocratico subalpino, legato da un rapporto stretto, personale con il suo re, ma, espressione in questo dei nuovi tempi, mosso da una ancor più profonda devozione alla Chiesa cattolica e al suo capo, l'A. associò così il suo nome al sorgere del moderno movimento organizzato dei laici cattolici.
L'Amicizia cattolica, le cui riunioni, cominciate nel marzo 1817, si tenevano nel palazzo dell'A. in Torino, reclutò i suoi adepti essenzialmente nell'aristocrazia. Retta su una buona organizzazione, fiancheggiata dalla Congregazione degli Oblati, il cui fondatore, Lanteri, ne era stato tra i promotori, aiutata dalle elargizioni dei suoi iscritti, più tardi dallo stesso re Carlo Felice, e dai ricavati delle vendite di libri da essa stampati, l'Amicizia torinese si ramificò presto in altre città: nel 1819 a Rovereto, a Roma nel 1820, a Novara nel 1822-1823, e altrove.
L'Amicizia cattolica, a differenza delle vecchie Amicizie cristiane, abbandonòogni carattere di segretezza e ammise alle cariche direttive i soli laici. Ma gli scopi della sua battaglia erano analoghi a quelli dell'organizzazione del Diessbach: raccogliere i cattolici in un'associazione che, riallacciandosi alle corporazioni religiose e agli ordini militari dei secoli precedenti, ne ereditasse lo spirito di difesa del cattolicesimo, contrapponendo ai nuovi avversari l'arma di cui per primi si erano serviti, quella della stampa. Ispirata a una fedeltà incondizionata alla S. Sede e al papa, alla cui autorità e alla cui personale infallibilità i membri rinnovavano annualmente il giuramento, la Cattolica aveva piena coscienza di assecondare con la sua opera l'apostolato della Chiesa: si era alle origini della moderna Azione Cattolica. Gli autori di cui diffondeva le opere, con la vendita, il prestito o il dono, erano, oltre a diversi teologi del Settecento, i corifei del rinnovamento culturale cattolico del primo '800, specie d'Oltralpe, dallo Haller al Lamennais del primo volume dell'Essai sur l'indifférence en matière de religion (1817). Sorta anche allo scopo di opporsi alla propaganda delle Società Bibliche d'ispirazione protestante, diffondeva pure copie della Bibbia. La propaganda attraverso i libri, fatti circolare in decine di migliaia di esemplari, non solo in Italia ma anche all'estero, era imperniata sulla casa editrice Marietti.
Dal 1822 anche un'altra attività, che egli volle, per ragioni di prudenza, tenere distinta dall'Amicizia, ma che ne era in realtà un completamento, assorbì l'A.: il periodico l'Amico d'Italia.
Sorto con i medesimi intenti che avevano presieduto alla nascita di altri periodici cattolici italiani, quali l'Enciclopedia Ecclesiastica e Morale fondata nel 1821 a Napoli dal p. G. Ventura e le Memorie di Religione, di Morale e di Letteratura fondate a Modena nel 1822 dal p. G. Baraldi, l'Amico d'Italia, che fu per lunghi periodi redatto quasi interamente dall'A., risultò forse inferiore, per la scarsa organicità e incisività dei suoi fascicoli mensili, agli altri. I temi polemici del giornale erano quelli ricorrenti nella stampa cattolica conservatrice: netta opposizione alla Rivoluzione dell'89, al liberalismo, alla stessa Restaurazione, rea di tentare un compromesso tra principi fra loro irriducibili; affermazione della necessità della religione, oltre che per gli individui, per la società e per lo Stato; difesa del diritto divino dei re e dell'autorità monarchica, ma a patto che questa riconoscesse la supremazia della Chiesa e abbandonasse ogni pretesa regalistica su di essa. L'atteggiamento dell'Amico d'Italia e dell'A. sul problema dei rapporti fra la monarchia e la Chiesa, dove si rivelava la rottura del tradizionale equilibrio fra i due poteri, operata, a vantaggio della Chiesa, dai cattolici conservatori, fu, nonostante l'adesione all'"ultramontanismo", più cauto e moderato in confronto, per esempio, a quello del Baraldi e del Ventura.
Al centro dell'Amicizia cattolica e alla guida dell'Amico d'Italia, l'A. era in relazione con i maggiori rappresentanti del mondo cattolico italiano e anche straniero.
Su invito rivoltogli nel 1821 dall'A., Rosmini collaborò e procurò collaboratori all'Amico d'Italia,e fondò nel 1819 un'Amicizia Cattolica a Rovereto, con l'aiuto del gruppo torinese. Analogo invito rifiutò invece il Manzoni, cui non poteva piacere, oltre che, probabilmente, l'indirizzo politico-religioso dell'Amicizia Cattolica e del suo giornale, la difesa che in questi ambienti si faceva del classicismo contro la nuova poetica romantica: fu proprio in risposta a una pur cauta lettera dell'A. su questa questione che il Manzoni scrisse nel 1823la sua Lettera sul Romanticismo, poi stampata nel 1846.Piuttosto stretti erano i rapporti dell'A. con il gruppo cattolico modenese, raccolto attorno all'abate G. Baraldi e ai conti Riccini; sin dal 1824l'A. era pure in relazione con A. Capece Minutolo principe di Canosa, dal 1822costretto all'esilio da Napoli, e che inviò molti articoli all'Amico d'Italia.L'azione dell'A. e dei suoi amici s'ispirava molto al pensiero dell'abate francese F. Lamennais, che appariva in quegli anni il nuovo grande dottore della Chiesa, e la cui influenza fra i cattolici italiani, nella prima fase della sua attività, fu enonne. L'Amicizia cattolica inseriva nel suo catalogo le opere dei Lamennais, e l'Amico d'Italia pubblicava commenti su di esse; l'A. stesso, già in corrispondenza con lui, lo incontrò a Torino nel 1824, e poi ancora nel 1828. Ma gli sviluppi del sistema filosofico lamennaisiano, culminato nel II volume dell'Essai sur l'indifférence en matière de religion (1820), suscitarono probabilmente qualche perplessità nell'A.: l'Amico d'Italia pubblicò articoli critici su di esso, e l'Amicizia non inserì nel suo catalogo il II volume dell'Essai sur l'indifférence.E i successivi svolgimenti in senso liberale dell'abate francese finirono per distaccare da lui, fra i molti italiani, anche l'A. con il suo giornale.
Oltre che all'attività dell'Amicizia e dell'Amico, l'A. si dedicò pure a quella dell'Opera della Propagazione della Fede, da lui introdotta nel 1824 a Torino, e che svolgeva un compito missionario, principalmente nei confronti dei valdesi. Ma intorno al 1825-1826 l'Amicizia cattolica vide delinearsi contro di sé le prime opposizioni, provenienti da gruppi monarchici regalistici e anticlericali, che temevano la sua crescente influenza nell'amministrazione dello Stato, sull'istruzione pubblica e a corte: diversi Amici cattolici rivestivano infatti cariche importanti, soprattutto alla segreteria degli Esteri, presieduta dal marchese V. Sallier de la Tour, membro anch'egli dell'Amicizia.
La lotta contro l'Amicizia s'inseriva nel clima di riacceso anticlericalismo diffuso in quegli anni in Francia, e di cui fu espressione nel 1826 la protesta del conte di Montlosier contro i gesuiti e la Congrégation, l'associazione che si credeva tenesse le fila dei tentativi d'infiltrazione clericale nello Stato. L'atteggiamento critico assunto dall'Amico d'Italia verso le denunce del Montlosier, gettarono esca sul fuoco, e l'Amicizia fu accusata di essere la filiale italiana dell'organizzazione clericale francese.
Opposizioni all'Amicizia vennero anche dagli ambienti teologici arroccati nell'università di Torino e ostili alla morale liguoristica, la quale era sostenuta dai gesuiti e da quei teologi probabilisti come il Lanteri e il Guala che erano vicini all'Amicizia stessa.
Questa, difendendo la teologia morale di s. Alfonso de' Liguori e battendo l'accento su motivi quali quello della frequente comunione, dava il suo contributo a quella importante evoluzione della devozione cattolica verso forme più popolari e collettive, che si svilupperà sotto il pontificato di Pio IX.
In realtà l'ostilità all'Amicizia, motivata anche da questioni di carattere personale costituite dalle gelosie e dai timori del ministro degli Interni G. Roget de Cholex verso alcuni Amici impegnati nella vita politica, non era priva di fondamento. La pur indubbia azione religiosa dell'Amicizia, infatti, si associava alla difesa di una particolare concezione politica e intendeva in parte realizzarsi con i metodi propri della vita politica. Ancora nell'agosto 1827, quando già grave si profilava la minaccia sull'Amicizia, l'A. indirizzò a Carlo Felice un memoriale contenente un progetto di censura di opere stampate o introdotte nel regno, che istituiva una commissione sottoposta alla giurisdizione del presidente capo dell'Istruzione Pubblica, che era il Brignole; con i proventi delle ammende comminate si sarebbero dovuti stampare libri di carattere morale e religioso.
All'inizio del 1827 il ministro degli Esteri russo Nesselrode, attraverso due circolari del 18 gennaio e del 12 febbraio agli ambasciatori russi accreditati in Italia, metteva in guardia i governi italiani non solo dalle mene delle sette liberali, ma anche da quelle di società che sotto il pretesto della religione tendevano a conquistare il potere politico. In particolare, passi diretti a manifestare le preoccupazioni russe per l'azione dell'Amicizia torinese furono fatti con l'ambasciatore sardo a Pietroburgo, conte F. di Sales, e con quello a Vienna, conte C. Beraudo di Pralormo. L'atteggiamento della Russia era motivato dall'avversione ai gesuiti, di cui si vedeva la longa manus nell'Amicizia, e dal timore che gli eccessi della polemica antiliberale di cui era centro il gruppo cattolico torinese, finissero per favorire i liberali stessi. Le preoccupazioni russe erano in parte condivise dai governi dell'Austria e della Prussia. È possibile che l'azione diplomatica russa fosse stata sollecitata dai nemici torinesi dell'Amicizia; o che fosse consigliata dall'ambasciatore russo a Parigi, C. A. Pozzo di Borgo, accanito avversario dei clericali francesi. Vane comunque risultarono le difese dell'Amicizia fatte dagli ambasciatori sardi e dal ministro degli Esteri La Tour.
Spinto dalle pressioni internazionali e da altre più vicine, il re Carlo Felice, dopo qualche esitazione, si decise, tra la fine del 1827 e gli inizi del 1928, a chiedere che l'Amicizia cambiasse nome e, dopo il rifiuto e poi la sottomissione dell'A., a chiedere che rinunziasse a ogni attività politica. Nel frattempo, alcuni degli Amici politicamente più influenti abbandonarono l'associazione, la quale si sciolse nel giugno 1828. L'Amico d'Italia continuò a vivere stentatamente, quasi soltanto sulle forze dell'A., sino al 1829, quando una grave malattia lo costrinse a interrompere definitivamente la pubblicazione. Magro riconoscimento della sua fedeltà e obbedienza al sovrano gli era venuta, nel novembre 1828, la nomina, sollecitata dall'amico La Tour, a "Grande di corona". Ma il colpo infertogli con la fine dell'Amicizia cattolica e poi dell'Amico d'Italia, i numerosi lutti familiari, stroncarono la sua resistenza fisica. A Genova, dove si era recato per accompagnare la moglie sofferente, morì il 26 nov. 1830.
Fonti e Bibl.: Manca a tutt'oggi una biografia critica dell'A. e uno studio sul movimento delle Amicizie. Le notizie su riportate sono tratte, oltre che dai periodici ricordati, da: Arch. di Stato di Torino, specialmente: Materie politiche interne in generale (1822-1848), mazzo 12; Lettere Ministri di Russia, Registri Lettere della Segreteria Estera,mazzo I (1817-1846), fasc. 5; Carte Bianchi,serie I, mazzo 19; Carte Alfieri,mazzo 52, fasc. 6; Arch. Sallier de la Tour de Cordon di Roma, specialmente: serie I, serie II; Arch. degli oblati di Maria Vergine di Roma, specialmente: serie I, vol. VIII; C. Solaro della Margarita, Memorandum storico politico, Torino 1851, pp. 11-13; N. Bianchi, Storia documentata della diplomazia europea in Italia dall'anno 1814 all'anno 1861, I, Torino 1865, p. 287; P. Gastaldi, Della vita del servo di Dio Pio Brunone Lanteri fondatore della Congregazione degli Oblati di Maria Vergine, Torino 1870, pp. 119. 216 e passim; Lettere di M. D'Azeglio al fratello Roberto, con cenni biografici di Roberto d'Azeglio, per G. Briano, Milano 1872, pp. VII s.; C. Cantù, Alessandro Manzoni. Reminiscenze, I, Milano 1882, p. 213; II, 2 ediz., ibid. 1885, p. 137, n. 1; A. G. Tononi, Il marchese C. D'A.,in La Rass. naz., VI(1884), pp. 685-715 (pubblica la biografia dell'A. scritta dalla vedova Cristina Morozzo di Bianze, con altri documenti sull'A.), Lettere edite e inedite di Vittorio Alfieri, a cura di G. Mazzatinti, Roma-Torino-Napoli 1890, pp. 378 s., 425 s.; D. Carutti, Storia della corte di Savoia durante la Rivoluzione Francese e l'Impero, II, Torino-Roma 1892, pp. 270, 358; A. Rosmini-Serbati, Epistolario completo,Casale 1905, I, pp. 389 s., 400-405, 427-429, 451-453, 475 s., 524 5-, 619-621; II, pp. 39 s., 163, 409, 517, 519; III, pp. 28 s.; L. Sauli-D'Igliano, Reminiscenze della propria vita,a cura di G. Ottolenghi, I, Roma-Milano 1908-1909, pp. 95, 394, 397 n. 1; Carteggio di Alessandro Manzoni, a cura di G. Sforza e G. Gallavresi, I (1803-1821), Milano 1912, pp. 491-493, 578; II (1822-1831), ibid. 1921, pp. 561, 575 s., passim; Carteggi e documenti diplomatici inediti di Emanuele D'Azeglio, a cura di A. Colombo, I (1831-1854), Torino 1920, pp. IX-XII; E. Passamonti, C. T. D'A. e Vittorio Alfieri,in Giorn. stor. d. letterat. ital.,XLIV (1926), pp. 282-317; [P. Pirri], C. D'A. e gli albori della stampa cattolica in Italia, in La Civiltà cattolica, LXXI (1930), pp. 193-212; C. Lovera-I. Rinieri, Clemente Solaro della Margarita, I, Torino 1931, pp. 48 s., n. 1; Carteggi del P. Luigi Taparelli D'Azeglio della Compagnia di Gesù, a cura di P. Pirri, Torino 1932, pp. 765-767 e passim;L.Bulferetti, Antonio Rosmini nella Restaurazione,Firenze 1942, passim; R. Jacquin, Un frère de Massimo D'Azeglio: Le P. Taparelli D'Azeglio (1793-1862), Paris 1943, pp. 4 ss.; W. Maturi, Il principe di Canosa, Firenze 1944, passim;A. Omodeo, Cesare D'Azeglio nella biografia che di lui scrisse la moglie Cristina Morozzo di Bianzè, in Aspetti del cattolicesimo della Restaurazione,Torino 1946, pp. 181-208 (l'Omodeo ripubblica la biografia dell'A. scritta dalla vedova, e da lui erroneamente creduta inedita); M. D'Azeglio, I miei ricordi, nuova ediz. condotta sull'autografo da A. M. Ghisalberti, Torino 1949, passim; A. M. Ghisalberti, Massimo D'Azeglio, un moderato realizzatore,Roma 1953, passim;G.Candeloro, Il movimento cattolico in Italia,Roma 1953, pp. 16, 17, 27, 34; T. Piatti, Un precursore dell'Azione Cattolica. Il servo di Dio Pio Brunone Lanteri, Torino-Roma 1954, passim; A. Ottolini, Cesare D'Azeglio e i moti del '21, in Il Risorgimento, VII(1955), pp. 120-122; A. Gambaro, Sulle orme del Lamennais in Italia, I, Il Lamennesismo a Torino,Torino 1958, passim (il Gambaro pubblica molte lettere inedite dell'A. e dirette all'A.); C. Bona, Il marchese C. d'A. e la fine della "Amicizia Cattolica", in Bollett. stor. bibl. subalpino,LVI (1958), pp. 277-3117; LVII (1959), pp. 83-146 (questo secondo articolo è un'Appendice di documenti in cui sono pubblicate molte lettere inedite dell'A. e dirette all'Azeglio).