TARGONE, Cesare
– Originario di Venezia, non se ne conosce l’anno di nascita. Era probabilmente legato all’orefice veneziano Emiliano Targone (detto Miliano Targhetta, attivo nel 1501) e a «Pompée Tarcon» (nato a Venezia nel 1497; Gaurico, 1552, p. 85), che nel 1537 vendette una collana di pietre preziose, oro e smalto, con tre quadri di marmi intarsiati, al re di Francia Francesco I (Jestaz, 1995, p. 378; Economopoulos, 2013, pp. 205 s.), e due ritratti in oro tra il 1546 e il 1547 a Cosimo I de’ Medici (McCrory, 1998, pp. 42, 200 nota 13).
A Venezia, Targone può essere identificato come il Zesaro attivo nella bottega del gioielliere Alessandro Caravia (1503-1568) tra il 1548 e il 1552. Non si conoscono altre notizie fino al giugno del 1568, quando fu raccomandato a Cosimo de’ Medici dal suo agente fiorentino Cosimo Bartoli, che ne parlava come di un eccellente orefice ed esperto di pietre preziose (Benini Clementi, 2000, p. 7; McCrory, 2003, p. 359). Questo contatto con la cerchia medicea di Venezia risultò decisivo per la sua carriera.
Stabilitosi a Roma nel 1573 o nel 1574, Targone rimase al servizio dei Medici fino al 1586. Tra l’aprile del 1575 e l’ottobre del 1584 un abbondante carteggio ci informa dei suoi rapporti con il granduca Francesco I, per cui operava principalmente come fornitore di gemme, di medaglie e di statue antiche. Da Roma avvertiva regolarmente il principe delle opere che teneva a sua disposizione o che venivano scoperte, e che lui sapeva abilmente esaltare nelle sue lettere.
Insieme a Domenico de’ Cammei e ai fratelli Vincenzo e Giovanni Antonino Stampa (che furono suoi soci tra il 1578 e il 1581; Barocchi - Gaeta Bertelà, 1993, p. 211; Brown, 1999, p. 59), Targone fu fra i principali antiquari di Roma negli anni Settanta e Ottanta del Cinquecento (McCrory, 1980, pp. 303 s.). Si procurava il materiale sui mercati antiquari di Roma e di Venezia, e approfittava talvolta delle vendite di collezioni private, come la raccolta di gemme e di medaglie di Leonardo Mocenigo a Venezia, che provò a vendere al granduca nell’aprile del 1575 (Barocchi - Gaeta Bertelà, 1993, p. 102; Brown, 1999, pp. 58 s., 65). Nel febbraio del 1577 si recò a Firenze con numerosi pezzi antichi, tra cui quarantatré epitaffi provenienti dalla collezione del cardinale Rodolfo Pio da Carpi (Barocchi - Gaeta Bertelà, 1993, pp. 124 s.). Nel gennaio del 1579 un viaggio a Venezia gli permise di proporre al granduca «due teste di marmo greche» comprate nella Serenissima, e sappiamo che nell’agosto seguente progettava un soggiorno a Napoli per vedere tra l’altro «se potessi fare alcuno acquisto» (ibid., pp. 152, 157). Negli stessi anni Targone aveva altri clienti prestigiosi, come il duca di Ferrara Alfonso II d’Este (Campori, 1873) e, tra il 1574 e il 1578, Fulvio Orsini (Nolhac, 1884; Id., 1887; Jestaz, 1995, p. 378; Brown 1999). Tuttavia, il «Cavalier» Targone – come firmava le sue lettere almeno tra il 1579 e il 1581 (Barocchi - Gaeta Bertelà, 1993, pp. 158, 198) – non godeva di una reputazione sempre positiva: fu sospettato di aver falsificato medaglie (ibid., p. 103), e fu considerato, talvolta, un po’ disonesto (Nolhac, 1887, p. 97).
Nel gennaio del 1584 inviò «due quadri finiti» al duca di Mantova Guglielmo Gonzaga e, l’anno seguente, gli propose due «bellissime e studiate opere»: «un Cristo in croce con la Madonna e s. Giovanni» et «una Madonna di Loreto che è sopra la casa portata da quattro angeli», probabilmente delle opere di sua mano, oggi scomparse (Piccinelli, 2000, pp. 64, 74 s.). In effetti Targone non era solo un mercante, ma anche un orefice rinomato, tale da sedere nella Congregazione dei Virtuosi al Pantheon a partire dall’agosto del 1575 come «scultore d’oro» (Tiberia, 2000, pp. 130, 160; La Compagnia di S. Giuseppe di Terrasanta..., 2002, pp. 238, 247). Molti anni dopo la sua morte, i suoi talenti nel lavorare l’oro e il commesso di pietre preziose erano ancora ricordati da Giovanni Baglione (1642). Purtroppo ci sono pervenute pochissime sue opere. Nel 1977 è stata pubblicata da Ulrich Middeldorf l’unica opera firmata dall’artista: un rilievo in oro repoussé della Pietà (Los Angeles, J. Paul Getty Museum), da considerarsi un capolavoro dell’oreficeria romana della seconda metà del Cinquecento.
Il rilievo è fissato su una lastra di ossidiana e firmato «OPVS.CAESARIS.TAR / VENETI» sotto il piede destro del Cristo. È stato avvicinato con prudenza da Bertrand Jestaz a un «quadretto» di Targone che Fulvio Orsini consigliò al cardinale Alessandro Farnese di comprare nel 1577 (Riebesell, 1989, p. 184), e che potrebbe corrispondere a una «Pietà d’oro» menzionata nell’inventario del palazzo Farnese di Roma nel 1641 (Jestaz, 1995, p. 376). Tuttavia, l’opera si distaccava su un fondo di lapislazzuli con «due teste d’angelini di granata», ciò che non permette di identificarla con il rilievo del Getty (Cambareri, 2002, p. 110).
Il rilievo è generalmente datato prima del 1585, data di un’altra versione, di qualità inferiore, inserita nell’altare maggiore di S. Maria presso S. Celso a Milano (ibid.). Nella composizione Middeldorf (1977, pp. 75 s.) ha identificato l’influenza di Guglielmo della Porta, allora molto diffusa a Roma nelle botteghe di orefici. Altri rilievi in oro nello stesso stile sono stati attribuiti a Targone: in particolare la Sepoltura di Cristo a Baltimora, Walters Art Museum (Gabhart, 1968-1969; Riddick, 2017).
Targone può essere ritenuto uno specialista di tali oggetti lussuosi, che coinvolgono oro e pietre dure. A Firenze, dove si stabilì tra il 1584 e il 1586, produsse ancora i sette bassorilievi delle Imprese di Francesco I, destinati al cosiddetto Studiolo nuovo (oggi non più esistente) del granduca nella Tribuna degli Uffizi (Firenze, Tesoro dei granduchi; Massinelli, 1990; Bertelli, 2006). Giambologna e Antonio Susini ne fornirono i modelli tra il 1585 e il 1587 e Targone eseguì i rilievi in oro stampato almeno dal giugno del 1585 (Heikamp, 1963, p. 247). Fissati su lastre di diaspro e di ametista, le opere confermano la virtuosità di Targone nel rendere i dettagli più minuti e nel cesellare l’oro con estrema raffinatezza. Nel 1586, a conclusione dei suoi rapporti con Francesco I de’ Medici, Targone venne citato tra gli artisti impiegati dal granduca con uno stipendio di 30 scudi al mese, cioè più di Giambologna e di Bartolomeo Ammannati (Butters, 1996).
La morte del granduca nell’ottobre del 1587 segnò probabilmente una tappa nella carriera di Targone, che, da quel momento, non sembra più in relazione con la corte medicea. L’ultimo decennio della sua vita risulta alquanto sconosciuto, ma più episodi dimostrano che non fu meno attivo, sia in campo artistico, sia nel commercio antiquario.
Il 31 marzo 1588, mentre viveva ancora a Firenze, gli venne commissionato un tabernacolo per l’altare maggiore del duomo di Bergamo (Pagnoni, 1991; Guinomet, 2017). L’opera, in parte finanziata dal veneziano Girolamo Ragazzoni, allora vescovo di Bergamo, fu allestita il 28 luglio seguente (Calvi, 1676).
Unica opera monumentale conosciuta di Targone, il tabernacolo è «composto di pietre agate, di paragone, et altre pretiose, con statue d’oricalco sopradorato a fuoco» (Calvi, 1676, p. 491), e riassume così i suoi vari talenti. È formato da un tempietto semiottagonale a cupola, di architettura classica, forse derivata da un disegno di Pellegrino Tibaldi (Colmuto Zanella, 1999, p. 165). In esso si mescolano sottilmente i marmi policromi e le pietre dure con il bronzo dorato degli ornamenti e delle statuine (Cristo risorto, S. Pietro, S. Paolo e gli Evangelisti). I loro modelli potrebbero essere stati forniti da Targone, che secondo Baglione «modelava nobili figurine» (1642, p. 329). L’opera costituì un precedente fondamentale per il tabernacolo di S. Giovanni in Laterano, realizzato nel 1598-99 da suo figlio Pompeo (v. la voce in questo Dizionario).
Qualche anno più tardi, nel marzo del 1594, Targone propose da Roma un progetto per l’altare della Madonna delle lacrime nella Ss. Annunziata di Arezzo, costruito infine secondo un disegno di Bernardo Buontalenti (Pieri, 1993, p. 49; Donati Thompson, 1997, p. 93 nota 22). La carriera di Targone si concluse a Roma. Nel dicembre del 1595 egli si trovava in compagnia del figlio Pompeo in casa di Tiberio Cevoli, ricco mecenate per cui aveva fatto uno «studiolo» e a cui propose ancora «molte belle cose [...] per far una galleria» (Furlotti, 2003, p. 256).
Secondo un documento inedito, Targone morì a Roma il 10 aprile 1597 nella parrocchia di S. Spirito in Sassia, «e fu portato a seppellirsi a S. Honofrio» (Roma, Archivio storico del Vicariato, S. Spirito in Sassia, Morti, I, c. 17v).
Aveva avuto almeno quattro figli: il famoso e già citato Pompeo, nato a Roma nel 1575, Tiberio, Ottavio (per i quali v. la voce Targone, Pompeo in questo Dizionario) e Olimpia (1578-1661), entrata nel monastero di S. Cecilia il 22 giugno 1599 sotto il nome di donna Aurelia (Economopoulos, 2013, p. 208; è noto che Cesare ebbe que-st’ultima, e probabilmente anche altri figli tra cui Pompeo, da Cecilia Cornara Veneziana: Kämpf, 2015, p. 608).
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio storico del Vicariato, S. Spirito in Sassia, Morti, I, c. 17v.
L. Gaurico, Tractatus astrologicus in quo agitur de praeteritis multorum hominum..., Venetiis 1552, p. 85; G. Baglione, Le vite de’ pittori, scultori et architetti [...], Roma 1642, p. 329; P. Bonetti, Specchio de’ prelati rappresentato nella vita di Girolamo Ragazzoni, Bergamo 1644, p. 80; D. Calvi, Effemeride sagro-profana di quanto di memorabile sia successo in Bergamo, II, Milano 1676, p. 491; G. Campori, Enea Vico e l’antico museo estense delle medaglie, in Atti e memorie delle RR. Deputazioni di Storia patria per le provincie modensi e parmensi, 1873, vol. 7, pp. 37-46; A. Bertolotti, Artisti veneti in Roma nei secoli XV, XVI e XVII, Venezia 1884, p. 27; P. de Nolhac, Les collections d’antiquités de Fulvio Orsini, in Mélanges d’archéologie et d’histoire, IV (1884), pp. 139-231; Id., La bibliothèque de Fulvio Orsini, Paris 1887, pp. 31, 95, 97, 408 s.; U. Thieme - F. Becker, H. Vollmer, Allgemeines Lexikon der Bildenden Künstler, XXXII, Leipzig 1938, p. 445; D. Heikamp, Zur Geschichte der Uffizien-Tribuna und der Kunstschränke in Florenz und Deutschland, in Zeitschrift für Kunstgeschichte, XXVI (1963), pp. 193-268; A. Gabhart, A sixteenth-century gold relief, in The journal of the Walters Art Gallery, XXXI-XXXII (1968-1969), pp. 28-39; U. Middeldorf, In the wake of Guglielmo della Porta, in The connoisseur, 1977, vol. 194, pp. 75-84; M. McCrory, An antique cameo of Francesco I de’ Medici, in C. Adelson et al., Le arti del Principato Mediceo, Firenze 1980, pp. 301-316 (in partic. pp. 303-306); C. Riebesell, Die Sammlung des Kardinal Alessandro Farnese, Weinheim 1989, p. 184; A.M. Massinelli, Magnificenze medicee: gli stipi della tribuna, in Antologia di belle arti, n.s., 1990, nn. 35-38, pp. 111-134; L. Pagnoni, Il presbiterio e il coro, in B. Cassinelli et al., Il duomo di Bergamo, Bergamo 1991, pp. 70-87 (in partic. pp. 70-72); P. Barocchi - G. Gaeta Bertelà, Collezionismo mediceo: Cosimo I, Francesco I e il cardinale Ferdinando, Modena 1993, ad ind.; S. Pieri, La Compagnia della Ss. Annunziata dal XIV al XVIII secolo, in La chiesa della Ss. Annunziata di Arezzo nel 500° della sua costruzione. Atti del Convegno, Arezzo... 1990, Città di Castello 1993, pp. 23-58; B. Jestaz, scheda, in I Farnese. Arte e collezionismo, a cura di L. Fornari Schianchi, Milano 1995, pp. 376-378; S.B. Butters, The triumph of Vulcan, II, Firenze 1996, p. 408; C. Donati Thompson, Disegni di altari toscani del Cinquecento in collezioni di musei londinesi, in Altari controriformati in Toscana, a cura di C. Cresti, Firenze 1997, pp. 75-93; M. McCrory, The symbolism of stones, in Engraved gems. Survivals and revivals, a cura di C.M. Brown, Hanover 1997, pp. 158-179 (in partic. p. 170); Id., Immutable images. Glyptic portraits at the Medici court in Sixteenth-Century Florence, in The image of the individual, a cura di N. Mann - L. 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