TURCO, Cesare
– Nacque ad Ischitella, in Capitanata, intorno al 1537. La data si ricava da un atto notarile del 31 gennaio 1549 con il quale il dodicenne «Cesar de Laganazo [...] filius Jacobi» entrò nella bottega del pittore Pietro Negroni, a Napoli, per otto anni (Filangieri, 1888, pp. 276 s.).
Purtroppo le notizie su Turco sono scarse, e piuttosto esiguo risulta il catalogo delle opere conservatesi e finora identificate, tutte in ambito napoletano.
L’artista, comunque, dovette raggiungere una discreta fama, considerato che viene menzionato con spicco dalle fonti partenopee, a partire da Cesare d’Engenio (1623), il quale lo disse «illustre d’Ischitella [...] e fiorì nel 1560» (p. 206). In parte confuso si rivela il profilo tracciatone da Bernardo de Dominici (1742-1745, 2003), secondo cui Turco era stato allievo di Giovanni Antonio d’Amato e di Andrea da Salerno. Il biografo ne descrisse diverse opere nelle chiese di Napoli e contrappose alla sua abilità nel «colorire ad olio» l’imperizia nella tecnica dell’affresco, ricordando, non è dato sapere con quanto fondamento, il fallimentare risultato di un ciclo con Storie veterotestamentarie e mariane da lui realizzato nella tribuna di S. Maria la Nova a Napoli, in seguito sostituito dagli affreschi di Simone Papa (pp. 631 s.).
Turco potrebbe essersi sganciato assai presto dalla bottega di Negroni, se è sua la Madonna delle Grazie fra i ss. Bartolomeo e Matteo, siglata «T» e datata 1556, sull’altare della famiglia Recco in S. Giovanni a Carbonara, come sostenuto nel XIX secolo (Chiarini, 1856, p. 572). L’ipotesi, generalmente scartata negli studi più recenti, che hanno preferito attribuire la tavola a Decio Tramontano (Bologna, 1959; Leone de Castris, 1996, p. 284), potrebbe avere una sua validità, poiché il dipinto appare contraddistinto da un piglio espressivo e da moduli disegnativi prossimi a Negroni, ma anche da assonanze non trascurabili con altre opere più agevolmente ascrivibili a Turco, in particolare la sciupata tavola della Madonna delle Grazie dei Ss. Apostoli (ibid., p. 308), databile entro il sesto decennio. Un notevole e simile ancoraggio ai modi di Negroni si ravvisa pure nella Pietà con i ss. Pietro e Paolo in S. Pietro ad Aram (ibid.).
Tra il 1560 e il 1561 Turco, «pintore nela fontana de la Nuntiata, dipinse ed indorò di colori ad oro fino la figura di s. Iacovo a cavallo con un turco sotto et la figura di s. Agnelo nella cappella dei Continui» in S. Giacomo degli Spagnoli, come si evince da un documento rintracciato da Bartolommeo Capasso (1889), e finora trascurato dagli studi.
Ciò sembrerebbe provare un precoce apprezzamento di Turco da parte di una committenza illustre; proprio nella stessa chiesa si custodisce una delle poche opere riferibili con sicurezza all’artista, l’Epifania, senz’altro dipinta qualche tempo dopo, e in passato ritenuta di Giorgio Vasari (Leone de Castris, 1996, p. 308). Espliciti punti di contatto con la tavola citata rivela il dipinto di analogo soggetto della chiesa di S. Maria di Piedigrotta. In queste pale d’altare, forse condotte in società con Michele Curia (ibid.), il pittore dimostra una considerevole crescita, grazie all’innesto, sulla cultura ‘polidoresca’ assunta da Negroni, di elementi plastico-compositivi di estrazione tosco-romana, specialmente attraverso la conoscenza della produzione vasariana e del primo Marco Pino partenopeo, congiuntamente ad alcune influenze del vicentino Giovanni Demio e dei fiamminghi operanti nella capitale del Viceregno.
Fu del 28 settembre 1568 l’impegno con il più anziano e affermato Michele Curia, padre del celebre Francesco, a realizzare il trittico per la cappella del barone di Latronico Giovanni Antonio Palmieri in S. Lorenzo Maggiore (D’Addosio, 1913). L’artista poteva essersi associato a Curia sin da una fase precedente, come in qualche modo suggerisce la circostanza che i due compaiano insieme, in qualità di testimoni, in un atto notarile del 1559 (Filangieri, 1891, V).
Nel polittico di S. Lorenzo Maggiore appare difficile distinguere l’apporto di Curia, fin qui però individuato nelle parti più modeste, quali, per esempio, lo statico S. Antonio di Padova a destra e buona parte delle scene della predella, mentre a Turco, riconoscibile per «l’elemento più graficamente nervoso» (De Luise, 1989, p. 17), potrebbero spettare il S. Giovanni Battista, nel lato opposto, e, in larga misura, il pannello centrale con l’Annunciazione, copiato dal debole Curia nel 1572 nella tavola conservata in S. Antonio a Torella dei Lombardi (ibid., pp. 20 s.; Leone de Castris, 2011, pp. 37 s.). Sono in particolare la soluzione dei panneggi intorcinati e il maggiore vigore plastico che lasciano trasparire l’intervento di Turco nel polittico francescano, il quale rivela notevoli punti di contatto con l’opera più impegnativa dell’artista, le pitture murali (tempera e olio su muro) della cappella di Somma in S. Giovanni a Carbonara.
Questo ciclo dai colori squillanti, di straordinario interesse, illustrante Storie dell’Antico Testamento, della Vergine, dell’infanzia e della Passione di Cristo, Evangelisti e Dottori della Chiesa, simboli della Trinità, fu commissionato da Ippolita Monforte, vedova di Scipione di Somma, negli anni 1564-66 (Leone de Castris, 2011, pp. 30 s.). Qui il bagaglio di Turco, affiancato quasi certamente da Curia nelle parti meno riuscite, non diversamente dalla citata pala di S. Maria di Piedigrotta, dichiara «un crescente interesse per quella sintesi fra cultura nordica e cultura tosco-romana di marca postvasariana che poteva allora leggersi nell’opera del veneto Giovanni Demio», documentato a Napoli negli anni 1547-52, ma forse presente in città ancora nel corso degli anni Sessanta (p. 34). Assieme a ciò, le componenti nordiche potrebbero essere state assunte dallo studio di incisioni, ancora da identificare, soprattutto per i tagli compositivi insoliti che esaltano il valore espressivo degli episodi narrati.
Tutte le fonti riconducono a Turco il Battesimo di Cristo in S. Maria delle Grazie a Caponapoli, «dipinto assai bene, con colori vivissimi, e molto ben disegnato» (de Dominici, 1742-1745, 2003, p. 627), e forse di qualche anno successivo, contraddistinto da figure immerse entro un paesaggio ‘romanista’, non dissimile dai fondali di molte scene della cappella di Somma.
Gli antichi descrittori di Napoli ricordano inoltre la Resurrezione di Lazzaro dipinta da Turco per l’altare maggiore di S. Marta, «opera dagl’intendenti stimatissima», distrutta durante la rivolta di Masaniello (Celano, 1692, III), e la pala raffigurante la Madonna col Bambino con i ss. Andrea apostolo e Antonio abate in S. Agostino alla Zecca, nella «cappella di quelli della terra d’Aierola nel Ducato d’Amalfi» (d’Engenio, 1623, p. 388), forse identificabile con una rovinatissima e poco giudicabile tavola tuttora conservata.
Allo scarno regesto dell’artista si può ora aggiungere un’inedita notizia documentaria del 12 giugno 1568, inerente alla realizzazione per 33 ducati di una perduta cona, di palmi nove di altezza e sette di larghezza, con l’Incoronazione della Vergine «cum retracto unius monace et cum angelis», richiestagli da suor Teodora de Alberto per il monastero della Maddalena di Napoli (Archivio di Stato di Napoli, Notai del ’500, 231, Vespasiano Cavaliere, prot. 1, c. 164v).
È ignota la data di morte di Turco, il cui nome non affiora in documenti conosciuti successivi al 1568, anche se si è proposto di identificarlo con un Cesare «della Laganazza» che nel 1573 acquistava «drappi» da un certo Bartolomeo de Angelis (Leone de Castris, 1996, p. 338); è poco probabile, invece, che egli possa essere individuato in quel «Cesare della Legonezza o Lagonessa» che nello stesso anno, e ancora nel 1588, effettuava una serie di pagamenti per motivi non specificati (ibid.).
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Napoli, Notai del ’500, 231, Vespasiano Cavaliere, prot. 1, c. 164v.
C. d’Engenio, Napoli sacra, Napoli 1623, pp. 206, 227, 388; C. Tutini, De’ pittori, scultori, architetti, miniatori et ricamatori neapolitani et regnicoli (ms. del 1660-66), in O. Morisani, Letteratura artistica a Napoli tra il ’400 ed il ’600, Napoli 1958, p. 123; C. Celano, Notitie del bello, dell’antico e del curioso della città di Napoli per i signori forestieri, Napoli 1692, I, pp. 245, 267 s., III, pp. 89 s., IV, p. 91; B. de Dominici, Vite de’ pittori, scultori ed architetti napoletani (1742-1745), a cura di F. Sricchia Santoro - A. Zezza, II, 1, Napoli 2003, pp. 624-634; C. Celano - G.B. Chiarini, Notizie del bello [...] con aggiunzioni..., II, Napoli 1856, pp. 554, 572; G. Filangieri, Documenti per la storia, le arti e le industrie delle provincie napoletane, II, Napoli 1884, pp. 90 s., IV, 1888, pp. 53, 276 s., V, 1891, p. 153, VI, pp. 33 s., 215, 495; B. Capasso, La Vicaria vecchia, Napoli 1889, p. 202; G.B. D’Addosio, Documenti inediti di artisti napoletani del XVI e XVII secolo, in Archivio storico per le province napoletane, XXXVIII (1913), pp. 55 s.; S. Ortolani, T., C., in U. Thieme - F. Becker, Allgemeines Lexikon der bildenden Künstler, XXXIII, Leipzig 1939, p. 487; F. Bologna, Roviale Spagnuolo e la pittura napoletana del Cinquecento, Napoli 1959, p. 72; M.S. Calò, La pittura del Cinquecento e del primo Seicento in Terra di Bari, Bari 1969, pp. 104, 167 s.; G. Previtali, La pittura del Cinquecento a Napoli e nel Vicereame, Torino 1978, pp. 39, 49, 58, 66, 83, 125; V. De Luise, Michele Curia. Indagine documentaria, Napoli 1989, pp. 15-17, 53; P. Leone de Castris, Pittura del Cinquecento a Napoli. 1540-1573. Fasto e devozione, Napoli 1996, pp. 306-308, 338; Id., La cappella di Somma: l’organismo e la decorazione, in La cappella di Somma in San Giovanni a Carbonara, a cura di A. Alabiso - P. Leone de Castris, Castellammare di Stabia 2011, pp. 11-45 (in partic. pp. 30-39).