Zavattini, Cesare
Soggettista e sceneggiatore, scrittore e giornalista, nato a Luzzara (Reggio Emilia) il 20 settembre 1902 e morto a Roma 13 ottobre 1989. Con il suo lavoro complessivo rese un contributo originale e duraturo al cinema italiano e internazionale del Novecento. A partire dalla fine degli anni Venti si espresse attraverso forme comunicative eterogenee che lo indussero a compiere una riflessione instancabile sul rapporto fra intellettuale e società mediato dall'industria culturale e dello spettacolo. Scrisse articoli, romanzi, poesie, biografie in versi, ideò storie per fumetti e cartoni animati, elaborò alcune delle più fertili teorie del cinema del secondo Novecento; fu inoltre pittore e animatore culturale. Egli vide nel lavoro di soggettista e sceneggiatore cinematografico la condizione insoddisfacente di un autore incompiuto, evidenziando così la riduttività dell'equazione regista = autore del film. Offrì al cinema l'esito artistico più rilevante della sua opera con la partecipazione alla stagione del Neorealismo e al dibattito teorico che lo precedette e ne seguì: con i film da lui scritti e con le sue idee influenzò gli autori delle generazioni successive (Jean-Luc Godard, François Truffaut, Wim Wenders, Francis Ford Coppola, Martin Scorsese, Robert Altman, Nanni Moretti, Roberto Benigni, il cinema cubano e latinoamericano), soprattutto grazie al magistrale sodalizio stretto a partire dal 1943 con Vittorio De Sica. A conferma di una vitalità inesauribile esordì a ottanta anni come regista con il film testamento La veritàaaa (1983).
La partecipazione negli anni Trenta, anche come direttore editoriale, all'ideazione dei rotocalchi popolari milanesi di Angelo Rizzoli, lo portò alla scoperta del mestiere dello scrittore di cinema, che volle poi distinguere nel differente statuto autoriale da accordare al soggettista (ideatore di storie originali) e allo sceneggiatore (partecipe, secondo la prassi italiana, a un'opera di creazione collettiva in cui si disperdono le intenzioni e la progettualità del singolo). Negli anni Trenta, Z. come spettatore scoprì, insieme al poeta Attilio Bertolucci e al critico Pietro Bianchi, Charlie Chaplin, ma anche il cinema di René Clair e i comici del varietà, mentre frattanto pubblicava i tre 'libri' Parliamo tanto di me (1931), I poveri sono matti (1937) e Io sono il diavolo (1941). Era la proposta di un personaggio comico puro e astratto, in grado di trasfigurare la verità in chiave surreale e impersonato da un attore che discendesse dal teatro dei generi minori (esemplificato nelle figure di Ettore Petrolini e di Totò), la chiave di volta del nuovo cinema cui intendeva dar vita: la sua poetica lievemente surreale, evangelica, pervasa di accensioni fantastiche e di stupore infantile è già riscontrabile nel primo soggetto, Darò un milione, poi film di Mario Camerini (1935, oggetto nel 1938 di un remake americano per la regia di Walter Lang, I'll give a million), ma soprattutto in quelli non realizzati come La casa dei tic nervosi e Totò il buono, entrambi scritti per Totò, Buoni per un giorno, Cinque poveri in automobile o Diamo a tutti un cavallo a dondolo. Se l'esordio con Camerini fu accidentato e ostacolato dallo stile classico del regista, i primi esiti maturi della poetica zavattiniana si ebbero con due film che preludono al Neorealismo: il soggetto solidaristico di Quattro passi fra le nuvole (1942) di Alessandro Blasetti e I bambini ci guardano (1944), prima opera nata dalla collaborazione fra Z. e Vittorio De Sica, che assume integralmente il punto di vista di un bambino. I dodici anni fondamentali della sua carriera vanno dall'inizio degli anni Quaranta all'inizio dei Cinquanta, periodo intenso e fecondo che culminò con la stesura dei soggetti e delle sceneggiature per i film di De Sica. Ma in quegli anni Z. partecipò anche a film diretti da registi della vecchia guardia, da esordienti e da nuovi maestri: scrisse storie per Luchino Visconti, Alberto Lattuada, Giuseppe De Santis, Luigi Zampa, Gianni Franciolini, Luciano Emmer, Pietro Germi, Vittorio Cottafavi, Riccardo Freda, Carlo Ludovico Bragaglia, Mario Mattoli, Camillo Mastrocinque, Mario Bonnard, Raffaello Matarazzo. Fu chiamato a varare sceneggiature varie e contribuì a incitare e avallare progetti altrui, in una dispersiva e magmatica generosità creativa. Scrisse per registi, ma anche per attori come Totò (San Giovanni decollato, 1940, di Amleto Palermi) e Aldo Fabrizi (Campo de' Fiori, 1943, di Bonnard), più tardi per Anna Magnani e Maurizio Arena, Sophia Loren e Alberto Sordi, mentre anni dopo avrebbe pensato in un primo momento a Roberto Benigni come interprete del suo film La veritàaaa. Fu l'esperienza della guerra (sogno di palingenesi intravisto e subito fuggito) a inaugurare una riflessione sul cinema che procedette in parallelo all'ideazione dei film neorealisti di De Sica: la dimensione del fantastico implicita nel quotidiano si spalancò agli esiti imprevisti di un cinema osservato nel suo farsi esperienza epistemologica, ricognizione conoscitiva. Z. notava infatti come vita e spettacolo avessero finito per coincidere, prima con l'immissione di storie più vicine alla realtà, poi facendo della realtà stessa un racconto ("il tempo è maturo per buttare via i copioni e per pedinare gli uomini con la macchina da presa", osservava enunciando la sua teoria del pedinamento, per la quale v. teorie del cinema), immaginando infine l'epoca in cui la vita si affaccerà da sola sullo schermo. Z. prospettava un cinema-durata capace di cogliere la verità, in grado di permettere agli uomini di raccontarsi (autobiografia, diaristica come pratica di autoindagine) per conoscersi. All'attore bisogna dunque sostituire l'uomo che porti sullo schermo sé stesso: in Storia di Caterina (episodio del collettivo L'amore in città, 1953, che avrebbe dovuto dirigere e che all'ultimo venne affidato a Francesco Maselli), Z. fa rivivere alla vera protagonista di un fatto di cronaca la sua esperienza. A partire dal 1946, con Sciuscià, la collaborazione con De Sica era entrata nella fase matura, che proseguì con Miracolo a Milano (1951), Umberto D. (1952), L'oro di Napoli (1954), Il tetto (1956), La ciociara (1960), Il giudizio universale (1961), La riffa (episodio di Boccaccio '70, 1962), Ieri oggi domani (1963), Matrimonio all'italiana (1964), e terminò nel 1973 con Una breve vacanza. Nella creazione di soggetti a catena, Z. intese inserirsi in un quadro di poetica di gruppo: gli esiti più alti vennero raggiunti con i soggetti di Prima comunione (1950) di Blasetti e di Bellissima (1951) di Visconti e con la partecipazione all'ideazione e alla sceneggiatura del film di De Santis Roma, ore 11 (1952). In Come nasce un soggetto cinematografico, testo teatrale scritto nel 1959, Z. volle riflettere sulla condizione del soggettista mettendo in scena un personaggio autobiografico cui affidò la memoria del proprio passato gettando le premesse per l'operatività futura. Egli sottolineò come alla fase dell'effervescenza creativa, coincisa con il Neorealismo che credeva il cinema capace di raccontare tutte le storie (lo dimostra l'opera mitopoietica Ladri di biciclette di De Sica, 1948), fosse subentrata la crisi, frutto di un rapporto conflittuale con la produzione e la censura e del tradimento degli ideali professati nella stagione postbellica (la riflessione sulla soppressione politica del Neorealismo segnò la fase più incisiva della sua attività militante). Da quel momento in poi l'artefice delle favole cinematografiche non poté fare altro che oscillare, colpevolmente (Ipocrita '43 è il titolo del 'diario' scritto nel 1955), tra due poli antitetici: mentre finiva per adeguarsi alle richieste dell'industria cinematografica (nel 1953 la delusione per Stazione Termini di De Sica segnò l'inizio della fase più conflittuale del rapporto con il regista), la vocazione inesausta alla sperimentazione radicalizzò la sua idea di cinema. A essa appartengono il progetto incompiuto di un 'viaggio in Italia' ideato fin dal 1944 e prospettato anche a Roberto Rossellini, la formula collettiva individuata nel film-inchiesta (L'amore in città; Siamo donne, 1953; I misteri di Roma, 1963) e l'approdo al documentario autogestito (Cinegiornali liberi e Cinegiornali della pace), fino alla proposta della vita vissuta e raccontata in diretta, poi realizzata dal talk show e dal reality show televisivo. Negli anni Settanta Z. aprì una nuova stagione progettuale che culminò nel 1983 con La veritàaaa, film da camera e summa del proprio pensiero in cui egli impersonò un matto fuggito dal manicomio che predica di affidare alla logica, intesa come scienza del logos, e all'infanzia il ruolo centrale che spetta loro nell'edificazione della nuova società.
Le più importanti formulazioni teoriche di Z. sono contenute nella raccolta di scritti Neorealismo ecc. (1979), curata da M. Argentieri; altri testi di estremo interesse illuminanti anche per ricostruire i modi produttivi del cinema italiano a partire dagli anni Quaranta, pubblicati per la prima volta su vari periodici con il titolo Diario cinematografico, sono ora raccolti nel volume omonimo a cura di V. Fortichiari, pubblicato in edizione riveduta nel 1991. In occasione del centenario della nascita, è stato realizzato il documentario/omaggio Cesare Zavattini, per la regia di Carlo Lizzani, sceneggiato insieme a Giacomo Gambetti.
M. Grande, Il soggetto inesauribile, in C. Zavattini, La veritàaaa, Milano 1983, pp. 7-65.
G. Gambetti, Zavattini, mago e tecnico, Roma 1986.
Cesare Zavattini, éd. A. Bernardini, J.A. Gili, Paris 1990.
G. De Vincenti, Il concetto di modernità nel cinema, Parma 1993, passim.
O. Caldiron, Il paradosso dell'autore, Roma 1999, pp. 15-36.
Uno, 100, mille Za: 100 anni dalla nascita di Cesare Zavattini, introd. di G. Gambetti, Ravenna 2002 (catalogo).