Cesena
. Nella rassegna delle città romagnole di cui D. intende delineare a Guido da Montefeltro le condizioni etico-politiche sullo scorcio del 1300, C. figura in ultima posizione; e forse non a caso se si considera che, mentre nelle altre città della regione lo stato di tirannia era ormai totale, a C. invece esisteva ancora una certa fluidità politica che consentiva, sia pure saltuariamente, reggimenti liberi: E quella cu' il Savio bagna il fianco, / così com'ella sie' tra 'l piano e 'l monte, / tra tirannia si vive e stato franco (If XXVII 52-54). Questi versi, se da un lato si adeguano al ritmo dei precedenti, scandito da simboli e da perifrasi - ritmo che D. ha voluto imporre alla sua risposta a Guido da Montefeltro -, dall'altro presentano una felice variazione di modi espressivi nella ricercata corrispondenza fra la positura di C., bagnata su un fianco dal fiume Savio e distesa dal piano ai primi rilievi appenninici, e la sua condizione politica, oscillante fra signoria e comune: una fusione, insomma, non inconsueta in D. e nella letteratura medievale in genere, fra elementi naturali ed elementi etico-psicologici di ciò che si vuole rappresentare.
Anche una sommaria analisi delle vicende cesenati fra i secoli XIII e XIV non può che confermare l'esattezza dei termini entro cui D. ha così brevemente definito la situazione politica cesenate. L'incertezza che essa dimostra, e che il poeta si limita a constatare senza avanzare giudizi di merito, sembra riconducibile ai caratteri distintivi dell'evoluzione politico-sociale cesenate sempre in equilibrio instabile e tale da non consentire, nel logorante confronto fra casate e consorterie all'interno del comune, l'emergere risolutivo di una famiglia cittadina sulle altre. Di qui il protrarsi in condizioni di sempre maggiore stanchezza e debolezza del regime comunale e l'affermarsi ritardato rispetto ai centri vicini di signorie, non cittadine ma forestiere; questo in un contesto politico sostanzialmente ghibellino, divenuto poi, quasi senza soluzioni di continuità, antipapale, in seguito all'integrazione di C. e della Romagna nello stato della Chiesa (1278). La vita comunale cesenate cominciò a piegare verso soluzioni tiranniche sotto l'influenza dei conti di Montefeltro, che erano potenti anche a Forlì e a Forlimpopoli (1275-1301); poi a fasi alterne prevalsero in C. i Malatesti di Ghiaggiolo, i Polentani di Ravenna, i Malatesti di Rimini e da ultimo, in modo più stabile e prolungato, gli Ordelaffi di Forlì, i quali, reintegrando nei loro domini, oltre a C., Bertinoro e Forlimpopoli, raccolsero l'eredità di potere lasciata pochi decenni prima a Forlì da Guido da Montefeltro, cioè proprio dall'interlocutore di D. nell'ottava bolgia infernale.
Nonostante che nel Trecento le condizioni della cultura cesenate fossero propizie alla recezione degli scritti danteschi, per la presenza di un fervido centro di vita spirituale costituito dal convento dei frati minori e dall'annessa biblioteca, già ricca di quei codici che avrebbero formato il primo nucleo della futura biblioteca Malatestiana, e anche per le suggestioni della predicazione di fra Michelino Foschi, il maggiore degli spirituali cesenati, non ci sono pervenute tracce della fortuna di D. in questa città. La prima segnalazione dell'interesse per D. in ambiente cesenate si ha solo nel Quattrocento, nel clima umanistico inaugurato da Malatesta Novello: si tratta dell'imitazione della terza cantica della Commedia, mediante la quale Benedetto da C., operante peraltro prevalentemente alla cortemalatestiana in Rimini, compose verso la metà del sec. XV il suo De Honore mulierum.
Nel Cinquecento, in una situazione di cultura in genere pregiudizialmente ostile a D., il cesenate Iacopo Mazzoni ne difese l'opera maggiore in polemica con l'aristotelico Rodolfo Castravilla: sua la rivalutazione poetica della Commedia, dapprima in un Discorso in difesa della Commedia del divino poeta (Bologna 1572), poi con una replica dal titolo Difesa della Commedia di D. (Cesena 1587), scritti questi di larga risonanza non solo negli ambienti cesenati, ma in una cerchia ben più ampia d'interessi culturali. Dal sec. XVI fino al presente si può dire che la tradizione degli studi danteschi in C. non abbia più fatto registrare momenti particolarmente significativi. Mette conto tuttavia di ricordare, nel clima romantico di rinnovato interesse per D., gli scritti del longianese Paolo Sambi (1794-1873), che fece un commento teologico-morale all'Inferno e ai primi canti del Purgatorio (Cesena 1858, Firenze 1862, ibid. 1864); e in tempi più vicini a noi l'opera critica di Renato Serra, che scrisse un finissimo saggio dantesco: Su la pena dei dissipatori, Inf. XIII 109-29 (cfr. l'ediz. dei suoi Scritti, a c. di G. de Robertis e A. Grilli, II, Firenze 1938, 1-30).
Bibl. - Circa la menzione dantesca di C. si veda: L. Piccioni, Dante e C., in " Giorn. d. " X (1902) 156-159; F. Torraca, Studi danteschi, Napoli 1912, 323-324; P. Amaducci, " E quella cui bagna il Savio ", in " Cesena " I (1921) 42-48; A. Torre, " Quella a cui il Savio bagna il fianco ", in " Rubiconia Accademia dei Filopatridi " VII (1966) 143-150. Sulla situazione politica cesenate al tempo di D., cfr.: G. Franceschini, La signoria dei conti di Montefeltro a C. (1275-1301), in " Studi Romagnoli " V (1954) 279-327; A. Vasina, I Romagnoli fra autonomie cittadine e accentramento papale nell'età di D., Firenze 1964; A. Torre, I Polentani fino al tempo di D., ibid. 1966. Sulla fortuna di D. in C. si veda: A.F. Massera, Un romagnolo imitatore del poema dantesco nel Quattrocento (Benedetto da C.), in " Documenti e studi " a c. della R. Deput. di storia patria per le province di Romagna, IV (1922) 165-176; A. Vallone, Aspetti dell'esegesi dantesca nei secoli XVI e XVII attraverso testi inediti, Lecce 1966; A. Scarpellini, Dalla " Difesa della Commedia " di J. Ma.zzoni all'" Apologia di D. " di G. Perticari, in " Studi Romagnoli " XVI (1965) 425-442; A. Vallone, Aspetti del dantismo romagnolo nel secondo Ottocento, in Letture Classensi, Ravenna 1966, 171-221.