CEUTA
Città sulla costa africana dello stretto di Gibilterra, situata su una sorta di istmo fra due baie sulla punta che sporge nel Mediterraneo. Qui o nelle vicinanze, le fonti classiche collocano una delle colonne d'Ercole, quella denominata Abila. Il nome dell'antico sito (Septem Fratres) deriva probabilmente dalla denominazione latina di un rilievo montuoso non lontano.
Le fonti relative alla presenza di un nucleo urbano in questo luogo sono molto tarde: l'Anonimo Ravennate (III, II), però, sembra che utilizzi una fonte del III o IV sec. d.C.
I resti più antichi sono della fine del I sec. a.C. e appartengono molto probabilmente a un complesso destinato alla salatura del pesce. Presso la Plaza de Africa della città attuale furono ritrovate vasche con resti di spine di pesce e anfore Dressel 38 o Beltran II. Come la maggior parte degli stabilimenti di questo tipo situati lungo la costa della Mauretania Tingitana, quello di C. fu costruito all'epoca di Augusto, quando s'installarono colonie romane nel regno mauretano e il re Giuba II divenne un «re cliente» di Roma. I materiali rinvenuti sono soprattutto del I e II sec. d.C.: abbondano le ceramiche sigillate sud-galliche e quelle ispaniche, mentre sono scarse le sigillate chiare.
Sul finire del II o all'inizio del III sec. d.C., il piccolo nucleo originale si ampliò. Le dimensioni, malgrado questo, rimasero piuttosto limitate: alcuni autori sostengono che il centro urbano si estendeva sulla vicina penisola dell'Almina, ma quest'ipotesi non è stata finora confortata da alcun ritrovamento, se si eccettuano un tesoretto e una statuina di bronzo.
In realtà, fino al sec. III o IV d.C., sull'istmo della Almina non si insediò alcun nucleo abitato che, per dimensioni e per caratteristiche, potesse essere considerato città. Infatti, la maggior parte dei resti recuperati nella zona appartenevano, o almeno erano in qualche modo collegabili, a impianti di salatura. Lo sviluppo dell'industria conserviera nell'istmo stesso dovette conoscere peraltro un notevole sviluppo, dato che è stata segnalata l'esistenza di almeno cinque fabbriche. Da questa concentrazione industriale ebbe origine poi nell'età tardoimperiale la civitas menzionata dalle fonti letterarie.
Appartiene probabilmente a questo periodo una necropoli situata nell'entroterra, a mezzo km dai resti della zona abitata. Sono state localizzate otto sepolture a fossa rettangolare, da 40 a 60 cm di profondità, costruite in mattoni. Su queste tombe erano diversi tipi di copertura: alcune con due file di tegulae disposte a cavalletto, altre con mattoni collocati orizzontalmente. I resti ossei apparvero in pessimo stato di conservazione e non furono trovati corredi funebri.
La costruzione più importante di quest'epoca è un edificio di culto paleocristiano: la sua pianta è di tipo basilicale; i muri in opus incertum poggiano su notevoli sostruzioni. Il suolo fu utilizzato spesso come luogo di seppellimento. Forse, quando al-Bakrī, nel sec. XI, affermava che nella sua epoca si conservavano diversi monumenti dell'antica città, poteva anche alludere proprio a questo edifìcio.
I materiali rinvenuti testimoniano le relazioni di questo nucleo urbano (dovute alla sua eccellente posizione) con vari centri produttivi. Vi giungevano infatti le sigillate del Sud della Gallia, provenienti soprattutto da La Grau- fesenque, e quelle ispaniche provenienti dalle manifatture di La Rioja e di Andújar; le lucerne, prima dall'Italia, poi dall'Africa (soprattutto dalla zona di Tunisi); le anfore olearie dalla Betica. Quando le sigillate classiche decaddero, quelle chiare africane s'impadronirono del mercato; e apparvero vasi plastici provenienti da Corinto. Nel Basso Impero predomina l'importazione di ceramica decorata a stampo di colore arancione e, in minor misura, si trova la ceramica grigia paleocristiana.
Facendo eccezione per il rinvenimento di vasi di Corinto, che sono documentati per la prima volta nella Tingitana, tutti gli altri prodotti.) tanto per la loro provenienza quanto per gli aspetti quantitativi della loro presenza, indicano che C. faceva parte dello stesso circuito di distribuzione del resto della provincia.
Per quanto concerne la circolazione monetaria, le transazioni commerciali furono realizzate prima con monete di Carteia, Gades e Malaca, dopo con coniazioni imperiali romane.
Tra i reperti spiccano un sarcofago e due piccoli bronzi. Il primo è un esemplare marmoreo che corrisponde, per struttura e decorazione, a tipi prodotti nelle botteghe romane urbane, da dove fu probabilmente importato. Dal punto di vista iconografico, il tema prescelto è quello, non infrequente, delle due vittorie che sostengono un clipeo, accompagnate da quattro geni che rappresentano le quattro stagioni. Nella parte inferiore è raffigurata Venere al bagno, con il suo corteggio. Il sarcofago può essere datato all'epoca dell'imperatore Gallieno (253-268 d.C.).
Dei due piccoli bronzi, uno, oggi scomparso, rappresenta una divinità femminile di carattere astrale con l'iconografia abituale di Venere. L'altro rappresenta Ercole appoggiato alla clava, che recava probabilmente nella mano destra i pomi delle Esperidi.
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(F. López Pardo – N. Villaverde Vega)