Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Nello straordinario mondo dell’epoca vittoriana, Dickens dà voce e coscienza critica alla società industrializzata e urbana. Sperimentando nuove forme di immaginazione narrativa, che vanno dal comico al melodramma, Dickens intreccia con i lettori un dialogo che fonde l’esperienza autobiografica e l’affresco sociale in un tipo di racconto insieme realistico e fantastico, colto e popolare: in una parola, universale.
Dickens e la morale vittoriana
Charles Dickens intraprende la sua carriera ereditando dal pensiero del XVIII secolo consolidate concezioni sull’uomo e sul mondo, secondo le quali ogni individuo ha una natura già prestabilita che gli viene data direttamente da Dio. Gli uomini sono naturalmente buoni, ma in alcuni questa bontà è invulnerabile, mentre in altri può venire corrotta dal mondo. In Oliver Twist, ad esempio, che riprende temi del romanzo di formazione già cari a Fielding, Dickens segue il protagonista nei suoi tentativi di proteggere la propria bontà dal male e dalle tentazioni e lo vede alla fine conquistare il giusto posto nella società dei buoni. Ma una delle frasi del capitolo conclusivo, “formarono così una piccola società che si avvicinò alla società perfetta per quanto è possibile in questo mutevole mondo”, ci mette in guardia da ogni illusione di ingenua happy ending e ci rimanda a tutte le forti contraddizioni che caratterizzano la società vittoriana.
Charles Dickens
Il signor Brownlow
Le avventure di Oliver Twist, Cap. LIII
Il signor Brownlow adottò Oliviero. Con lui e con la vecchia governante andò ad abitare a un miglio di distanza dalla casa parrocchiale dei suoi cari amici appagando l’ultimo desiderio del fervido e affettuoso cuore di Oliviero; formarono così una piccola società che si avvicinò alla felicità perfetta per quanto è possibile in questo mutevole mondo.
Subito dopo il matrimonio dei due giovani, il degno dottore tornò a Chertsey, dove, privo della presenza dei suoi vecchi amici, sarebbe rimasto assai male se il suo temperamento avesse potuto permetterglielo, e sarebbe caduto nella malinconia se avesse saputo come fare. Per due o tre mesi si limitò ad accennare a un suo timore che quell’aria gli facesse male, poi, trovando realmente che il luogo non era più per lui quello di un tempo, cedette la clientela al suo assistente, acquistò un villino da scapolo presso il villaggio di cui il suo giovane amico era pastore, e tornò subito in salute. Là si dedicò al giardinaggio, all’orticoltura, alla pesca, alla carpenteria e a varie altre occupazioni di egual genere, tutte intraprese con la sua caratteristica impetuosità; e in tutte è divenuto presto famoso nell’intero vicinato come massima autorità.
Charles Dickens, Le avventure di Oliver Twist, trad. it. di U. Dèttore, Milano, BUR, 1994
Il regno della regina Vittoria comprende un lungo arco di tempo, durante il quale si assiste a una serie di grandi eventi e di cambiamenti sostanziali nella vita sociale e nel costume. Generalmente l’età vittoriana viene divisa in due periodi: il primo – fino alla morte del principe consorte Alberto (1861), o fino alla morte del ministro Palmerston (1865) – è caratterizzato dal Reform Bill del 1832, con cui viene parzialmente esteso il diritto di voto; le classi dell’aristocrazia e dell’alta finanza si uniscono così alla borghesia, creando una nuova aristocrazia del lavoro. Questa prima fase giunge alla sua apoteosi nel 1851, anno della Grande Esposizione di Londra, l’annus mirabilis dell’epoca vittoriana, che segna il trionfo della borghesia industriale in Inghilterra. Timorosa di disordini e rivolte, la classe al potere concede una graduale evoluzione democratica, come il riconoscimento delle prime associazioni sindacali; ma l’abilità della borghesia in ascesa consiste soprattutto nel modellare gli strati più bassi e turbolenti della società a propria immagine, assorbendone e vanificandone ogni velleità di ribellione in una specie di conformismo morale e di perbenismo che verrà poi genericamente definito “compromesso vittoriano". La prima fase dell’età vittoriana, che inizialmente basa la sua ideologia sulla crescente fiducia nella prosperità e nel progresso, si caratterizza per l’applicazione su larga scala del vapore, e i suoi monumenti sono le stazioni ferroviarie. Nella seconda fase la regina Vittoria, affiancata da abili collaboratori politici come Gladstone e Disraeli, viene trionfalmente proclamata imperatrice delle Indie: è l’età dell’imperialismo, che si chiude, a fine secolo, con le guerre nell’Africa del Sud. La fiducia nella propria grandezza, unita a un’autosufficiente insularità, si manifesta nella politica dello splendido isolamento che si accompagna a una grande fiducia nella pace e nella propria grande flotta; il simbolo della pace, però, sembra essere affidato a quei leoni con la faccia bonaria che stanno alla base della colonna di Nelson in Trafalgar Square: pace un po’ equivoca se la si pensa affidata a leoni che stanno a cavalcioni della loro preda. D’altra parte, “una nazione di bottegai” – si dice polemicamente da più parti – può trovare un vantaggio terapeutico nelle guerre straniere, purché faccia in modo che siano ben lontane. In tutto questo progresso e prosperità, spesso solo apparente e comunque parziale, i vantaggi che la scienza e la medicina portano alla salute della popolazione sono indubbi. A una minore mortalità infantile e a una media di vita più lunga corrisponde, però, un notevole incremento della popolazione che non trova sempre adeguate sistemazioni, nelle abitazioni e nel lavoro. Con la grande industrializzazione e con la massiccia urbanizzazione, folle di gente affamata si riversano nelle città, soprattutto a Londra, che si popola di squallide catapecchie nei quartieri più poveri, gli slums, caratterizzati da miseria, sporcizia e delinquenza.
Dickens muore nel 1870 e anche se non arriva a vivere il periodo finale dell’età vittoriana – che segna il trionfo e il consolidamento del vittorianesimo, ma scatena anche una vivace rivolta in molti intellettuali – con i suoi romanzi contribuisce, se non alla demolizione, almeno allo svelamento dell’ipocrisia dei valori tradizionali e dell’ingiustizia sociale. In un famoso saggio, Chesterton dice di lui: “Dickens fu una folla, una folla in rivolta. Egli non aveva teorie, non aveva particolari piani di riforma, ma ambiva a qualcosa di umile, di umano. Dickens attaccò il freddo compromesso vittoriano, ma lo fece senza saperlo e senza sapere che altri lo stavano facendo”. Ancora prima di Oliver Twist (1837-1838), parzialmente costruito sullo schema del romanzo popolare sui criminali o newgate novel, Dickens vede la città come un luogo da cui Dio è assente, a differenza delle piccole comunità di campagna, più vicine alla natura. Questa separazione diventa sempre più evidente man mano che la sua opera si fa più matura, fino a costituire uno dei temi centrali in David Copperfield (1849-1850), dove si presenta come un problema metafisico. Il racconto retrospettivo della vita di David Copperfield, infatti, si può considerare semplicemente una struttura basata sulla memoria, sulla libera scelta e sulle associazioni delle idee, ma può anche rappresentare la graduale rivelazione di un destino che la provvidenza aveva già in serbo per lui. Le opere finali di Dickens si incentrano sul riconoscimento del vuoto che sottende alla società costruita liberamente dagli uomini e con Our mutual friend (1864-1865) – la sua ultima opera compiuta – l’autore svela il nichilismo emergente nella società e nella cultura inglesi. In questo romanzo, il cui senso può essere sintetizzato nello slogan “money, money, money", Dickens ci mostra infatti come la vita può essere distrutta dal denaro, qualora questo venga assunto come valore universale.
L’infanzia perduta e l’infanzia narrata
Aspramente critica della società del suo tempo, l’opera di Dickens in realtà non si può limitare solo a questo aspetto; c’è in lui la rabbia e la disperazione, la satira e il sorriso, il nonsense e il grottesco, il sentimentale e il comico: egli è una città, un mondo, è la vita, e come tale la sua opera è universale. Con l’efficace formula “della lacrima e del sorriso” Dickens conquista il cuore del grande pubblico, in un intreccio di realtà e finzione dove l’una rispecchia continuamente l’altra o, come scrive lui stesso in Sketches by Boz, “l’illusione è la realtà stessa”.
“Io nacqui un venerdì”, dice David Copperfield, come il suo autore, sottolineando uno dei tanti motivi di identificazione fra vita e finzione narrativa. Charles Dickens nasce il 7 febbraio 1812 nei pressi di Portsmouth, dove il padre John lavora come contabile della Marina. La perdita del lavoro e i debiti, che contrae continuamente, costringono la famiglia a successive peregrinazioni fino ai sobborghi di Londra; qui il capofamiglia viene arrestato e rinchiuso nel carcere per debitori di Marshalsea. È il 1824, e il dodicenne Charles è costretto a lavorare in una fabbrica di lucido da scarpe; la vergogna per la sorte del padre e dei familiari, e il dolore per l’abbandono della scuola segnano, per Dickens, la fine dell’infanzia e l’inizio di una maturazione forzata. Il trauma di questa esperienza lascia in lui un marchio indelebile e diventa al contempo materiale ossessivo della sua narrativa che ritrae un’infanzia degradata, abbandonata da adulti irresponsabili e colpevoli. Con David Copperfield, Dickens scrive forse il libro più autobiografico, ma nello stesso tempo la sperimentazione sul materiale narrabile e la sofferenza della memoria si sublimano, diventando uno strumento conoscitivo del mondo e della stessa fatica della scrittura: come giustamente osserva Peter Brooks, nella drammatizzazione del racconto gli intrecci costruiti da Dickens rendono narrabile la vita. Nonostante un’educazione irregolare e discontinua, il giovane Charles legge moltissimo, soprattutto la grande narrativa del passato e del suo tempo, e questo lascerà un’impronta decisiva nella sua formazione di scrittore. A quindici anni, nel 1827, lascia per sempre la scuola e inizia il lavoro di scrivano presso uno studio di avvocato, dedicandosi anche alla pratica della stenografia. Nei momenti liberi dal lavoro e dalla lettura, Dickens si dedica all’esplorazione di Londra, fin nei suoi quartieri più negletti e, al contatto con quel mondo di criminalità, miseria e ghettizzazione, la sua mente fervida fa tesoro di storie e personaggi, per trasformare il verosimile in fantastico. Fra il 1829 e il 1833, grazie alla sua abilità di stenografo, viene assunto in un modesto giornale, "The True Sun", e successivamente al “Mirror of Parliament", dove si specializza nella trascrizione della cronaca parlamentare. Collabora poi a giornali più qualificati come il “Morning Chronicle" e l’“Evening Chronicle". La sua carriera di narratore comincia così con la redazione di cronache e racconti, per giornali e periodici letterari, che rivelano la sua capacità di minuzioso osservatore della vita e degli uomini, la propensione alla caricatura e al quadretto bozzettistico, e una spiccata sensibilità alle ingiustizie sociali. Nel 1836 parte di questi scritti escono nel volume Sketches by Boz. La relativa prosperità e stabilità economica garantite dal lavoro portano Dickens a un matrimonio – quanto meno precipitoso e che si rivela presto infelice – con Kate Hogarth, la figlia maggiore del redattore capo dell’“Evening Chronicle", dalla quale avrà dieci figli. In realtà pare che Dickens ami la sorella minore di Kate, Mary Hogarth e quando questa muore per etisia la sua immagine diventa per lo scrittore il modello ideale di tutte le fanciulle pure e innocenti, fragili e dolci che popolano i suoi romanzi, fino alla mitica Little Nell de La bottega dell’antiquario (1841) o alla Florence, maltrattato “angelo del focolare", di Dombey and Son (1846-1848).
Charles Dickens
David Copperfield, Cap. I
Diranno queste pagine se l’"eroe" della mia vita sono stato proprio io, o se invece tale appellativo non convenga meglio a qualcun altro. Intanto, per principiare la mia "vita" col principio della medesima dirò che io nacqui (così mi venne detto, e così credo) un venerdì, a mezzanotte. Fu notato che l’orologio cominciò a batter le ore e io cominciai a vagire, simultaneamente.
In considerazione del giorno e dell’ora della mia nascita, l’infermiera e alcune rispettabili matrone del vicinato, che avevan preso vivo interesse alla mia persona parecchi mesi prima di ogni possibile conoscenza diretta, dichiararono: primo, che non avrei avuto fortuna nella vita; secondo, che avrei goduto il privilegio di vedere spiriti e fantasmi. Inevitabili prerogative entrambe, secondo la loro fermissima convinzione, di tutti gli sventurati fanciulli, d’ambo i sessi, nati nelle prime ore di una notte di venerdì.
Intorno al primo punto del pronostico, nulla dirò qui, poiché la storia della mia vita mostrerà, meglio d’ogni altra cosa, se esso si sia, o no, avverato; quanto al secondo mi limiterò a osservare che, a meno di non aver goduto di quella mia prerogativa quando ero ancor lattante, sono tuttora in attesa di farla valere. Ma non mi lagno di una simile privazione: e se qualcuno si trovasse in questo momento favorito in tal seconda vista al posto mio, se la tenga pure in santa pace che, per me, gliela cedo senz’altro.
Io nacqui con l’amnio in capo, o, come volgarmente si dice, con la camicia, e questa venne offerta agli amatori, per mezzo di annunci nei giornali, al modico prezzo di quindici ghinee. Forse la gente di mare era, in quel momento, a corto di quattrini, forse anche era a corto di fede e preferiva affidar la propria pelle a cinture di sughero: non so bene, certo si è che un’unica offerta ci pervenne, da un agente di cambio che offrì due sterline in contanti e il resto in vino di Xeres, ma rifiutò di pagare un prezzo maggiore la sicurezza di non morire annegato. Così ci rimettemmo le spese dell’inserzione (la povera cara mamma, che cercava proprio allora di vendere il suo, d’un vino di Xeres, non volle saperne di aumentare la scorta) e la "camicia" fu messa, dieci anni più tardi, in lotteria tra la gente del vicinato: cinquanta biglietti da mezza corona ciascuno; e il vincitore doveva versare in più cinque scellini. Ero presente anch’io al sorteggio, e ricordo il senso d’imbarazzo e di confusione che m’invase nel veder disporre così di una parte di me stesso. La "camicia" toccò, ricordo, a una vecchia signora che portava un piccolo paniere dal quale estrasse, con somma riluttanza, i cinque scellini pattuiti, tutti in monetine da mezzo penny: mancavano due pence e mezzo e ci volle un tempo immenso e un grande sfoggio di calcoli per cercare, senza d’altronde alcun successo, di farglielo capire. Un fatto sarà per molto tempo ricordato come notevolissimo, in paese: la vecchia signora non annegò mai, e morì trionfante nel suo letto all’età di anni novantadue. Ho sentito dire che sino all’ultimo suo giorno ella si vantò di non esser mai andata sull’acqua - tranne quando attraversava un ponte - e che bevendo il tè, di cui era ghiottissima, ella, sino all’ultimo suo giorno, non si stancò mai di deplorare l’empietà dei marinai e delle altre persone che avevan la presunzione di "andare a zonzo" pel mondo. Inutile farle notare che molte comodità dell’esistenza, - e fra le altre, forse anche il tè - eran frutto per l’appunto di quelle deplorevoli spedizioni. Ella ribatteva sempre con maggior enfasi e con un’istintiva conoscenza della forza della propria obbiezione: "No! Non si deve assolutamente andare a zonzo!".
Ma non voglio neppur io "andare a zonzo", e mi affretto a ritornare alla mia nascita.
Io nacqui a Blunderstone, nella contea di Suffolk, e sono un figlio postumo. Mio padre aveva chiuso gli occhi da sei mesi alla luce di questo mondo, quando io apersi i miei. Anche ora, quando ci penso, mi sembra strano ch’egli non mi abbia mai veduto; e più strana ancora mi sembra la pallida rimembranza delle mie prime visite infantili alla bianca pietra che lo ricopriva, nel cimitero presso la chiesa, e il sentimento di indefinibile compassione che sentivo per quella tomba solitaria, nella notte oscura, mentre il nostro tinello era così tepido e luminoso, col focolare e le candele accese, e le porte di casa eran chiuse e sprangate in un modo che mi sembrava quasi crudele.
Charles Dickens, David Copperfield, trad. di E. Piceni, Milano, Mondadori, 1965
Da questo momento in poi, la carriera giornalistica e letteraria di Dickens non conosce soste e, nonostante le critiche di sentimentalismo eccessivo e cattivo gusto da parte di alcuni detrattori, diventa lo scrittore più popolare e amato in Inghilterra e anche negli Stati Uniti, dove egli si reca per letture pubbliche e conferenze nel 1842 e nel 1867.
Il suo secondo libro, Il circolo Pickwick (1836-1837), viene pubblicato a puntate, secondo una consuetudine editoriale sempre più diffusa in Inghilterra e nel resto d’Europa, e non solo per la letteratura di basso consumo. Questo tipo di romanzo, d’appendice o feuilleton – come viene chiamato in Francia – è un’ibrida contaminazione fra il giornale e il libro; nato come romanzo popolare, il basso prezzo e il taglio a puntate si uniscono, nella produzione più economica, a una tecnica ingenua di scrittura che si serve della suspense e dei colpi di scena, del sensazionalismo e dei richiami a un vieto sentimentalismo per tenere viva l’attenzione dei lettori. Ma quando questa tecnica viene usata da scrittori di grande talento come Dickens e Balzac, fra gli altri, parla a un pubblico più vasto, superando le convenzioni più elementari. Q.D. Leavis (1970) osserva acutamente che Dickens non scrive per un pubblico ingenuo, ma nei suoi grandi romanzi sull’infanzia coglie veramente il punto di vista del bambino sul mondo degli adulti e, identificandosi con i suoi lettori, a tutti i livelli, Dickens diventa uno di loro e rappresenta un mondo complesso in tutte le sue sfumature. Nasce così un tipo di narrativa universale, in cui la vita viene trasfigurata nel racconto.
Realismo e autobiografismo
Come in tutti i grandi scrittori, nelle opere di Dickens l’umorismo – dalla battuta spiritosa all’incongruo del nonsense – si fonde al tragico e al patetico, nell’uso particolare del linguaggio e nell’abile intreccio delle situazioni. In Oliver Twist (1837-1839), il primo vero romanzo compiuto di Dickens, pathos e melodramma cominciano ad affiancare e poi a sostituire l’umorismo. In questo romanzo, come in Nicholas Nickleby (1838-1839), versione comico-picaresca di un romanzo a tema sociale, in La bottega dell’antiquario (1840-1841) e in David Copperfield (1849), Dickens accompagna i suoi lettori attraverso l’incubo di Londra, dalle prigioni alle fabbriche, dalle scuole alle taverne, dagli uffici legali ai covi dei malfattori, popolando la città con una folla di figure strane e familiari, reali e immaginarie. Gli slums di Londra così come Dickens ce li rappresenta nei suoi romanzi, in una fusione particolare di dettagli realistici e di deformazione grottesca, creano nel nostro immaginario di lettori la reale visione della Londra vittoriana; grazie all’uso particolare che Dickens fa della scrittura autobiografica e realistica, la città della realtà e quella dell’immaginazione si sovrappongono in modo indelebile.
Nelle successive prefazioni a Oliver Twist, Dickens deve difendersi dagli attacchi che gli vengono da più parti, per scene o personaggi definiti sordidi e brutti; sulla base della precisione e della fedeltà ai fatti, Dickens ribatte – secondo la tipica strategia del romanziere realistico – che quello che descrive è perfettamente corrispondente alla realtà, che è “vero". Il romanziere vittoriano ritiene infatti che quanto scrive sia un rispecchiamento o una rappresentazione fedele del mondo; è quello che possiamo definire il “realismo moralistico", con funzione inquietante, ma nello stesso tempo rassicurante.
Come negli altri romanzi sociali della stessa epoca, i mali della società vengono anatomizzati in figure rappresentative che ne sono le vittime e poi risolti con la soluzione dei loro problemi. In questo modo lo scrittore, risolvendo i problemi dei protagonisti delle sue storie, dà al lettore – al quale richiede un processo di identificazione – l’illusione di risolvere i problemi generali del mondo. Questo giustifica, da una parte, l’uso di dettagli di forte realismo e, dall’altra, protegge l’autore – data la sua motivazione sociale – da un’identificazione eccessiva, cioè da un deterministico autobiografismo. La voce del narratore è sempre quella di Dickens stesso, ma attraverso la tecnica mista dell’ironia e del sentimento egli si pone come il reietto, l’escluso dalla società, producendo in questo modo un effetto di straniamento che oggettivizza le esperienze delle vittime e anche le sue, rendendole universali. Il distacco del narratore dagli eventi che descrive è parte fondamentale del metodo realistico usato da Dickens. Il fine moralistico, infatti, è ottenuto proprio tramite questo procedimento di distanziamento, che può convincere i lettori della "verità" di quanto viene narrato.
L’uso della prima persona, quale prova diretta dei fatti riportati, contribuisce a questo effetto di realtà, soprattutto quando il ciclo della memoria filtra i fatti dell’esperienza attraverso il ricordo e una testimonianza ormai purificata dalla distanza, come avviene nei maggiori romanzi di Dickens, da David Copperfield a Great Expectations.
Lo sperimentalismo dell’ultima fase
A cominciare dagli anni Quaranta la fantasia di Dickens viene attirata anche da altre forme di generi narrativi, in una sperimentazione continua che tuttavia non intacca l’unità dell’opera nel suo complesso. Al genere del romanzo storico si ispirano Barnaby Rudge (1840-1841), incentrato sui Gordon Riots del 1780, una sanguinosa rivolta provocata da fanatici presbiteriani contro una maggiore libertà di culto concessa ai cattolici, e il più tardo Racconto di due città (1859), ambientato nel periodo della Rivoluzione francese, in cui l’autore rivela le varie facce della violenza, in una visione decisamente amara della storia.
In questi stessi anni Dickens decide di dare una svolta decisiva alla sua vita, sia nell’ambito privato sia in quello pubblico.
Accettato il fallimento del suo matrimonio, Dickens lascia la moglie e intrattiene un nuovo rapporto con l’attrice Ellen Ternan, intensificando con successo le letture pubbliche di brani tratti dai suoi romanzi.
Queste esibizioni nei teatri portano il narratore a evidenziare l’aspetto scenico, teatrale appunto, delle sue messe in scena letterarie. Ma attraverso tali readings, Dickens medita anche profondamente sulla propria arte e sulla propria vita, in un viaggio conoscitivo che diventa, secondo le sue parole, “un modo di interpretare me stesso”.
Nei romanzi della fase più matura, iniziata già con David Copperfield, l’atmosfera si fa sempre più cupa e l’intreccio più complicato, incentrato sui problemi della criminalità e della miseria. Casa desolata (1852-1853) è una satira durissima contro la meschinità e l’inumanità del sistema giudiziario inglese; Tempi difficili (1854), invece, attacca la filosofia dell’utilitarismo e le condizioni della società industriale, mentre Piccola Dorritt (1855-1857) critica il sistema dell’amministrazione pubblica. In uno degli ultimi romanzi, Grandi speranze (1860-1861), Dickens ritorna parzialmente all’umorismo che caratterizza la prima fase della sua produzione: in questo romanzo si ritrova allora il Dickens filantropo e sentimentale, umorista e maestro nella caricatura e nel bozzetto, in una fase di grande maturazione artistica. La nostra lettura viene qui guidata attraverso gli occhi del giovane Pip, che insieme al suo candido protettore, il fabbro ferraio Joe, ci offre alcune pagine di alta poesia e di mirabile invenzione verbale nonsensical.
Charles Dickens
David Copperfield, Cap. I
Diranno queste pagine se l’"eroe" della mia vita sono stato proprio io, o se invece tale appellativo non convenga meglio a qualcun altro. Intanto, per principiare la mia "vita" col principio della medesima dirò che io nacqui (così mi venne detto, e così credo) un venerdì, a mezzanotte. Fu notato che l’orologio cominciò a batter le ore e io cominciai a vagire, simultaneamente.
In considerazione del giorno e dell’ora della mia nascita, l’infermiera e alcune rispettabili matrone del vicinato, che avevan preso vivo interesse alla mia persona parecchi mesi prima di ogni possibile conoscenza diretta, dichiararono: primo, che non avrei avuto fortuna nella vita; secondo, che avrei goduto il privilegio di vedere spiriti e fantasmi. Inevitabili prerogative entrambe, secondo la loro fermissima convinzione, di tutti gli sventurati fanciulli, d’ambo i sessi, nati nelle prime ore di una notte di venerdì.
Intorno al primo punto del pronostico, nulla dirò qui, poiché la storia della mia vita mostrerà, meglio d’ogni altra cosa, se esso si sia, o no, avverato; quanto al secondo mi limiterò a osservare che, a meno di non aver goduto di quella mia prerogativa quando ero ancor lattante, sono tuttora in attesa di farla valere. Ma non mi lagno di una simile privazione: e se qualcuno si trovasse in questo momento favorito in tal seconda vista al posto mio, se la tenga pure in santa pace che, per me, gliela cedo senz’altro.
Io nacqui con l’amnio in capo, o, come volgarmente si dice, con la camicia, e questa venne offerta agli amatori, per mezzo di annunci nei giornali, al modico prezzo di quindici ghinee. Forse la gente di mare era, in quel momento, a corto di quattrini, forse anche era a corto di fede e preferiva affidar la propria pelle a cinture di sughero: non so bene, certo si è che un’unica offerta ci pervenne, da un agente di cambio che offrì due sterline in contanti e il resto in vino di Xeres, ma rifiutò di pagare un prezzo maggiore la sicurezza di non morire annegato. Così ci rimettemmo le spese dell’inserzione (la povera cara mamma, che cercava proprio allora di vendere il suo, d’un vino di Xeres, non volle saperne di aumentare la scorta) e la "camicia" fu messa, dieci anni più tardi, in lotteria tra la gente del vicinato: cinquanta biglietti da mezza corona ciascuno; e il vincitore doveva versare in più cinque scellini. Ero presente anch’io al sorteggio, e ricordo il senso d’imbarazzo e di confusione che m’invase nel veder disporre così di una parte di me stesso. La "camicia" toccò, ricordo, a una vecchia signora che portava un piccolo paniere dal quale estrasse, con somma riluttanza, i cinque scellini pattuiti, tutti in monetine da mezzo penny: mancavano due pence e mezzo e ci volle un tempo immenso e un grande sfoggio di calcoli per cercare, senza d’altronde alcun successo, di farglielo capire. Un fatto sarà per molto tempo ricordato come notevolissimo, in paese: la vecchia signora non annegò mai, e morì trionfante nel suo letto all’età di anni novantadue. Ho sentito dire che sino all’ultimo suo giorno ella si vantò di non esser mai andata sull’acqua - tranne quando attraversava un ponte - e che bevendo il tè, di cui era ghiottissima, ella, sino all’ultimo suo giorno, non si stancò mai di deplorare l’empietà dei marinai e delle altre persone che avevan la presunzione di "andare a zonzo" pel mondo. Inutile farle notare che molte comodità dell’esistenza, - e fra le altre, forse anche il tè - eran frutto per l’appunto di quelle deplorevoli spedizioni. Ella ribatteva sempre con maggior enfasi e con un’istintiva conoscenza della forza della propria obbiezione: "No! Non si deve assolutamente andare a zonzo!".
Ma non voglio neppur io "andare a zonzo", e mi affretto a ritornare alla mia nascita.
Io nacqui a Blunderstone, nella contea di Suffolk, e sono un figlio postumo. Mio padre aveva chiuso gli occhi da sei mesi alla luce di questo mondo, quando io apersi i miei. Anche ora, quando ci penso, mi sembra strano ch’egli non mi abbia mai veduto; e più strana ancora mi sembra la pallida rimembranza delle mie prime visite infantili alla bianca pietra che lo ricopriva, nel cimitero presso la chiesa, e il sentimento di indefinibile compassione che sentivo per quella tomba solitaria, nella notte oscura, mentre il nostro tinello era così tepido e luminoso, col focolare e le candele accese, e le porte di casa eran chiuse e sprangate in un modo che mi sembrava quasi crudele.
Charles Dickens, David Copperfield, trad. di E. Piceni, Milano, Mondadori, 1965
Un’incursione nella detective story si intravede negli ultimi romanzi, legata anche all’influsso dell’amico Wilkie Collins, autore di The Moonstone, e alle discussioni con Edgar Allan Poe durante il secondo viaggio di Dickens in America.
Il nostro comune amico (1864-1865), una storia densa di mistero, incentrata sul potere corruttore del denaro, colpisce per le immagini drammatiche dei corpi annegati nel Tamigi e per l’uso particolare del tema del “doppio". Un’aura di mistero ancora più inquietante si ritrova nell’ultimo romanzo incompiuto di Dickens, The Mystery of Edwin Drood, iniziato nel 1869 e interrotto dalla morte dell’autore, sopraggiunta il 9 giugno 1870, per emorragia cerebrale.
Il protagonista di questo romanzo, John Jasper, persona rispettabile di giorno e frequentatore di equivoci locali di notte, è un altro esemplare di “doppio" che ritroveremo in modo più esplicito nella letteratura di fine secolo, dal Dr Jekyll e Mr Hyde di Stevenson a Il ritratto di Dorian Gray di Oscar Wilde, che chiudono definitivamente l’età vittoriana.