FOX, Charles James
Uomo politico, statista, oratore inglese, nato a Londra (Westminster City) il 24 gennaio 1749, morto a Chiswick (Devonshire) il 13 settembre 1806. Terzo figlio di Enrico Fox lord Holland, il F. discendeva da una delle più nobili famiglie del regno, imparentato per parte di madre con gli Stuart e con la maggior parte dell'aristocrazia inglese. Il padre militava con passione nel partito conservatore, ma il giovane F. non mostrò nella prima giovinezza le medesime inclinazioni e godé dell'ampia libertà che il padre gli concedeva. In un anno di permanenza a Napoli sedicimila ghinee di debiti furono pagate: il conto dell'amministrazione paterna si chiude alla morte di lord Holland nel 1774, con un esborso di oltre tre milioni di lire a favore di Carlo Giacomo. La passione per il gioco non lo abbandonò mai. Il suo esordio politico si svolse sotto l'egida paterna e la protezione dei conservatori al governo. Ma lo spirito indipendente del F. mal sopportava la disciplina: sicché, dopo aver ottenuto la carica di lord tesoriere poco più che ventenne, se ne allontanò bruscamente. Oratore brillante e irruente, facile alla sferzata tagliente, il suo spirito doveva portarlo naturalmente all'opposizione, anche se non divideva pienamente i programmi dei liberali coi quali in un primo tempo venne a trovarsi; ma la sua conoscenza dell'Europa, il contatto avuto con gli uomini più spregiudicati del tempo (in uno dei suoi viaggi aveva conosciuto e avvicinato Voltaire) lo facevano poco adatto a seguire la politica misoneista e gretta dei conservatori del tipo di lord North. In quel tempo la lotta per l'indipendenza delle colonie d'America si combatteva con avversa fortuna per gl'Inglesi e spesso in parlamento si levava la parola del F. invocante un accordo che egli riteneva necessario per evitare maggiori umiliazioni.
I suoi sentimenti liberali in politica estera affermava con energia: cosicché, quando stava per sorgere un conflitto con la Russia a proposito di certe fortificazioni del Mare del Nord che il governo inglese voleva impedire, il F. difese il diritto della Russia e i suoi discorsi ebbero così larga eco che l'imperatrice Caterina volle eretto nel proprio palazzo un busto di lui, che ella pose fra quello di Demostene e quello di Cicerone.
Intanto sorgeva l'astro del Pitt, conservatore, gallofobo, antitesi vivente del Fox. E questi non esitò ad allearsi con tutti quelli che combattevano il Pitt, anche se erano i suoi nemici di ieri. Tutte le occasioni erano buone, e sugli argomenti più diversi il F. pronunciò discorsi formidabili (celebre quello sugli scandali della Compagnia delle Indie), che fecero di lui ben presto il capo dell'opposizione.
Abbattuto il Pitt una prima volta, il F. nel 1783 fece parte di quel governo che firmò la pace con gli Stati Uniti (20 gennaio). Questa era la conclusione di un lungo periodo di lotte e di amarezze per il F., che aveva sempre auspicato questa pace contro la quale si ostinavano coloro che, con gli ammiragli e col Pitt, speravano di risollevare il prestigio inglese con qualche clamorosa vittoria.
L'annuncio della pace scatenò una violenta opposizione contro il F., che si era alleato frattanto col suo antico avversario Lord North. I primi mesi del 1783 annoverarono clamorose battaglie parlamentari con sedute notturne, nelle quali si alternavano discorsi di Pitt, North, Fox e dei maggiori oratori: spesso il re Giorgio III dovette intervenire e chiamare i capi partito per calmare la violenza del dibattito, essendosi egli reso conto dell'ineluttabilità della indipendenza delle colonie d'America.
Ma la lotta contro il F. non doveva calmarsi: odî potenti egli si era guadagnati nella sua campagna contro la Compagnia delle Indie, i quali si esplicarono in un pullulare di libelli e di satire. Inoltre la coalizione che lo aveva sostenuto nel momento della lotta per la pace con l'America si era andata sfaldando. Il Pitt ormai aveva la via libera per il potere, che assumeva il 20 agosto 1784.
La lotta implacabile fra F. e Pitt è ricca di episodî: il F., rieletto a Westminster, si vide contestata l'elezione e rientrò ai Comuni quale rappresentante di un piccolo sconosciuto comune scozzese; ma la contestazione apparve tanto iniqua che fu poi respinta, e il F. promosse e vinse il processo per danni da lui intentato al presidente del collegio elettorale e ne ottenne un'indennità di 2000 sterline, che egli fece distribuire ai poveri di Westminster. Si può dire che la storia parlamentare d'Inghilterra dal 1784 fino al 1806, allorché il Pitt precede di pochi mesi nella tomba il suo grande competitore, si riduce al duello dei due capi. Essi rappresentavano veramente due correnti opposte del pensiero inglese: tradizionalista, tenace, intransigente il Pitt; duttile, audace, moderno il F. Lo scatenarsi della Rivoluzione francese e le ripercussioni enormi degli avvenimenti di Parigi in tutto il mondo divise ancor più gli spiriti a Londra: il F. non nascose le sue vive simpatie verso la Rivoluzione, soprattutto nei primi tempi, pur ripugnando al suo spirito umanitario e aristocratico gli eccessi sanguinosi: e se una volta scandalizzò i convitati di un banchetto, allorché levò un brindisi a "sua maestà il popolo sovrano", tentò poi con la sua parola, sia pure invano, di chiedere l'intervento del governo inglese per salvare dal patibolo Luigi XVI.
I riposi della lotta parlamentare il F. dedicava alla preparazione della sua Storia dei regni di Giacomo I e Giacomo II, che doveva apparire solo dopo la sua morte.
Con la stessa tenacia posta nell'invocare la pace con le colonie d'America, egli avrebbe voluto la pace con la Francia come mezzo di pacificazione europea. Quando nel 1801, in una delle parentesi della lotta inglese contro Napoleone, si recò a Parigi dove ebbe accoglienze festose, s'incontrò col Primo Console: nacque in quell'occasione una reciproca simpatia che non poté fruttificare.
Solo nel 1806 dopo la morte del Pitt, il F., ripreso il potere, tentò l'intesa con Napoleone. Questo tentativo, che si svolse attraverso un carteggio intenso per il tramite del Talleyrand, rimane una delle pagine più interessanti ed anche misteriose della vita del F. Nessuno dubita della sua sincera volontà di raggiungere un accordo: ma, per quanto le trattative rimanessero segrete, qualcosa ne trapelò e nell'ambiente militare che circondava l'imperatore si pensava che esse fossero una prova di debolezza o una perfidia dell'Inghilterra. Così esse proseguirono tra l'incertezza e la diffidenza, tuttavia l'accordo sembrava vicino, quando la morte del F. lasciò incompiuto il suo sogno di pace. Molti anni dopo Napoleone lo ricordò nel Memoriale di Sant'Elena, dicendo che la morte del F. fu una sventura per l'Europa, confermando così l'importanza dell'opera da lui svolta a favore di una pacificazione generale che i suoi successori non vollero, sebbene dell'insuccesso dessero costantemente la colpa all'ambizione del Bonaparte.
F. era di grossa corporatura, ma di fattezze simpatiche e signorili. I suoi discorsi, pubblicati a cura del nipote lord Holland, sono, anche letterariamente, di notevole valore.
Opere: Speeches, con intr. di lord Erskine, voll. 6, Londra 1811; Memorials and Correspondence, ed. da J. Russell, voll. 4, Londra 1853-57.
Bibl.: Lord J. Russell, Life and times of Ch. J. Fox, voll. 3, Londra 1859-66; G. O. Trevelyan, Early Hist. of Ch. J. Fox, Londra 1880; J. Hammond, Ch. J. Fox, Londra 1903; J. Drinkwater, Ch. J. Fox, Londra 1927.