Perrault, Charles
Fiabe alla corte del re di Francia
Nella Francia del Seicento, alla corte di Luigi XIV, il Re Sole, nacque la moda letteraria delle storie di fate. Lo scrittore Charles Perrault, in questo clima culturale, raccolse dalla tradizione popolare undici fiabe e le rielaborò servendosi di un linguaggio colto e insieme vivace. Per farle maggiormente apprezzare a corte vi aggiunse una o più morali. Quelle fiabe sono ancora oggi famose nel mondo. Di regola, tuttavia, nelle edizioni moderne destinate ai ragazzi le morali sono tolte
Charles Perrault nella prefazione al suo libro di fiabe scriveva che scopo delle fiabe è penetrare piacevolmente nello spirito del lettore, in maniera da istruirlo e divertirlo nello stesso tempo; e che inoltre bisognava offrirgli storie allegre, vivaci, in modo da fargli sperimentare il piacere della lettura.
Dati i tempi, lo scrittore doveva sentirsi un po’ preoccupato perché all’epoca parlare di lettura ‘piacevole’ non era una cosa apprezzata. Per questo in qualche modo lo scrittore si giustificava, scrivendo che la fiaba, anche se possiede qualche spunto satirico o polemico, non contiene amarezze e malignità, anzi nella sua semplicità «diverte e muove al riso, senza che madre, sposo o confessore possano trovarvi nulla da ridire».
Perrault era, nel 17o secolo, uno degli uomini più colti di Francia e non aveva paura a sostenere che le sue fiabe, anche se apparivano bagattelle, cioè storie di poco conto, nella realtà contenevano una morale utile e insegnavano come bisogna comportarsi. Dalle fiabe insomma è possibile trarre utili insegnamenti per l’esistenza umana. Lo scrittore aveva compreso il valore delle fiabe e affidava alla lettura di persone di cultura un’opera che lo avrebbe reso famoso e che realizzava un’idea semplice semplice: scrivere racconti attingendo dalla fantasia della tradizione popolare per far divertire i lettori di ogni età.
Perrault raccolse nel 1697 quelle fiabe in un volume, oggi noto col titolo I racconti di mamma Oca. Egli mise in questo lavoro un impegno molto particolare. Fino ad allora le fiabe erano state raccolte soprattutto in dialetto; Perrault invece usò un linguaggio elegante e colto e riuscì a mantenere uno stile brillante e vivace, come quello di un narratore appassionato.
Nato a Parigi nel 1628, Perrault studiò per diventare avvocato. Grazie al fratello più grande, Claude, architetto e scienziato famoso, riuscì a ottenere, tramite le sue conoscenze alla corte del re, incarichi nell’amministrazione pubblica.
All’età di 42 anni fu nominato membro dell’Académie française: era una carica importante, riservata a persone di cultura. Qui Perrault partecipò alla famosa Disputa tra antichi e moderni, che metteva a confronto scrittori antichi con scrittori moderni. Perrault si schierò con coloro che sostenevano l’importanza degli scrittori moderni e delle idee nuove. Molta fama ebbe anche un suo studio su Gli uomini illustri che sono apparsi in Francia durante il 16° secolo. Come è facile capire, questo lavoro, anche se famoso, rimase legato all’epoca in cui fu scritto; mentre I racconti di mamma Oca vinsero il tempo e sono giunti fino a noi.
Delle undici fiabe, Perrault preferì scriverne tre in versi e otto in prosa. Le fiabe in versi erano: Griselda, I desideri sciocchi e Pelle d’asino. Quelle in prosa erano: La bella addormentata nel bosco, Cappuccetto rosso, Barbablù, Il gatto con gli stivali, Cenerentola, Pollicino, Le fate, Enrichetto del Ciuffo. Le fiabe in versi furono successivamente tradotte anche in prosa perché, soprattutto per i ragazzi, erano di difficile comprensione.
È interessante capire perché Perrault, uomo di notevole e vasta cultura, si sia dedicato con tanta attenzione alle fiabe. Si era in pieno Seicento; in Francia regnava il re Luigi XIV, il famoso Re Sole; la corte di Versailles era all’apice del suo splendore con feste, eleganza raffinata, ricerca di una cultura al passo con i tempi. E proprio a corte cominciò a diffondersi la moda letteraria dei cosiddetti racconti di fate. Così dame e gentiluomini di corte, letterati e studiosi, si misero a scrivere e a trascrivere fiabe.
L’opera di Perrault, uomo sensibile e colto, nasce e si sviluppa in questo clima. Infatti I racconti di mamma Oca, pubblicati un anno prima senza autore e con altro titolo (Storie e racconti del tempo passato), comparvero poi con la firma del figlio Pierre e con una dedica alla nipote del re. In verità Perrault voleva ottenere la benevolenza della corte nei confronti del figlio, perché il ragazzo scapestrato aveva ucciso un coetaneo in duello ed era sotto processo. Questi erano i tempi e gli intrighi, e così si ottenevano i favori.
Le fiabe di Perrault furono scritte per essere lette e apprezzate alla corte del re di Francia: le vicende sono molto lineari, ridotte alla massima semplicità e soprattutto contengono alla fine una o più morali (cosa insolita per una fiaba). Cenerentola, già narrata da Giambattista Basile in dialetto napoletano, contiene passaggi molto complicati e la personalità della fanciulla è assai diversa. La Cenerentola proposta da Basile non è proprio buona, difatti uccide la prima matrigna cattiva, si reca alla messa e non al ballo alla reggia, si fa aiutare da un dattero fatato e non da una fata e così via. Perrault invece, che sicuramente conobbe le fiabe di Basile, scrisse una Cenerentola molto più semplice e allo stesso tempo più raffinata. Anche se rimane il suo nome, che significa «che sta in mezzo alla cenere» (perché, sbrigate le faccende, si sedeva nell’angolo del camino sulle ceneri calde), Cenerentola, bellissima e un po’ ambiziosa, andrà al ballo con vesti sontuosissime e scarpette di cristallo.
Nelle morali finali si mette in evidenza che nella vita sono sì importanti la bellezza e la grazia, ma allo stesso tempo sono importanti le protezioni (oggi diremmo le raccomandazioni). Scrive infatti in una morale finale Perrault: «È senza dubbio di grande utilità avere spirito, coraggio, nobiltà, buon senso, e altri talenti che sono dono del cielo. Ma tutte queste belle cose per la vostra carriera nella vita resteranno inutili se non ci saranno, a farle valere, padrini e madrine». Era la realtà della vita all’epoca di Perrault: per fare carriera occorreva sicuramente avere la protezione di qualche personaggio influente alla corte del re.
Facciamo un altro esempio. La fiaba di Cappuccetto rosso termina, nella versione di Perrault, con il lupo che mangia la bambina e non c’è il cacciatore che viene a salvarla. E lo scrittore aggiunge una prima morale di questo genere: «Si vede qui soprattutto che le ragazze, in particolare molto giovani, belle e gentili, sbagliano a dare ascolto a ogni sorta di persone, per cui non è poi cosa davvero strana che il lupo ne mangi tante». Nella seconda morale si dice invece che esistono lupi di tanti tipi, che non tutti sono violenti, anzi molti si presentano come persone dolci, si offrono con molta gentilezza di accompagnare le ragazze fin nelle case. Ma, conclude, «ahimè, ahimè, chi non sa che i lupi smancerosi sono di gran lunga i più pericolosi?!».
Le fiabe raccolte da Perrault – che morì a Parigi nel 1703 – oggi sono note in tutto il mondo e vengono proposte ai bambini in forma di grandi libri illustrati. Alcune, come Cenerentola e La bella addormentata nel bosco, sono diventate più famose dopo che Walt Disney decise di trasformarle in cartone animato.
Anche la fiaba di Pelle d’asino è stata in Francia portata sullo schermo nel 1970.