Singleton, Charles Southward
Studioso nord-americano, nato a Mc Land, Oklahoma, nel 1909, professore alla John's Hopkins University di Baltimore. Il S. arriva alla formulazione del nucleo più importante delle sue proposte esegetiche su D. nel decennio tra il 1948 e il 1958. Negli anni precedenti prevalgono in lui interessi per testi rinascimentali (Canti carnascialeschi del Rinascimento, Bari 1936; Nuovi canti carnascialeschi del Rinascimento, Modena 1940) o per il Decameron del Boccaccio, di cui egli si fa editore per la collezione degli Scrittori d'Italia di Laterza (Bari 1955). Il primo libro dantesco del S. dedicato alla Vita Nuova (An Essay on the Vita Nuova, Cambridge, Mass., 1949; traduz. ital. Saggio sulla " Vita Nuova ", Bologna 1968) mira a recuperare, a illustrazione del testo, le premesse culturali, tipicamente medievali, che lo sostengono. Procedendo lungo la strada maestra di una ricerca restaurativa, lo studioso dà perciò subito il dovuto rilievo a quegli aspetti della terminologia del racconto che al lettore moderno potrebbero apparire maggiormente alterati dal camuffamento metaforico. Egli sottolinea a questo fine la funzione che assume nella trama del libello lo scriba, il personaggio che nel trascrivere dal libro de la memoria gli avvenimenti del passato che Dio vi ha impresso a caratteri indelebili è chiamato a decifrare del passato, oltre che l'ineluttabilità, la pregnanza, la direzione significante. Lo strumento soggettivo di partecipazione agli avvenimenti trascritti dalla speciale rubrica del libro della memoria che tratta della " vita nuova " è dato dalle glosse, sia che queste aprano la prosa a disquisizioni numerologiche (la bellezza, centralità e perfezione del numero nove) o ad accertamenti filosofici improntati alla scolastica (dibattito sulla natura accidentale di amore nel capitolo XXV), sia che segnalino procedimenti d'interferenza giustificati dalla forza retrospettiva di persuasione che emana dal presente inteso come chiave di decifrazione di un passato costellato di segni premonitori.
La chiave interpretativa della Vita Nuova è per il S. in un'analogia di azione tra Beatrice e Cristo, poiché Beatrice, come Cristo, apporta nella sua miracolosa peregrinazione terrena un crisma di beatitudine e, come lui, ritorna al cielo da cui proviene. Beatrice però non è nella Vita Nuova personaggio allegorico; non è né grazia né carità come nella Commedia: ella rimane sì fedele alla sua natura di apparizione folgorante e miracolosa, ma ha un destino umano in quanto opera e muore creaturalmente. Il fatto stesso che la sua azione sia registrata nel libro della memoria è segno che essa si è svolta nel tempo e appartiene al tempo. Tuttavia, senza Beatrice, l'affettuosa fantasia di D. non avrebbe raggiunto mai il punto focale di perfezione e di riposo a cui è pervenuta percorrendo i tre gradi dell'ascesi amorosa: purgativo, illuminativo, intuitivo; senza la sua morte e il suo ritorno al cielo, il sospiro amoroso di D. non avrebbe potuto mai penetrare, al di là della sfera di azione propria alla poesia provenzale stilnovistica, nel luogo di beatitudine dove Beatrice dimora: Oltre la spera che più alta gira (XLI 10 1).
Nella ricostruzione capillare delle ragioni narrative del libello dantesco il S. ha il merito di avere accertato gli agganci realistici del linguaggio di D., cioè la consuetudine di riferimenti a costanti intellettuali che assumono, nel racconto, la loro giusta funzione. L'attenzione estensiva che egli presta all'immagine del libro della memoria, lo sforzo che egli compie per rendere accessibile alla mente moderna la trasformazione che ha luogo nella Vita Nuova di frasi concettualmente memorabili in realtà narrative, sono da riferirsi a quel rapporto, così medievale e dantesco, tra sistemi d'idee e sistemi d'immagini, che egli isolerà più tardi nell'ambito della Commedia, illustrandolo attraverso la sua teoria dei ‛ campi semantici '. Già però nel secondo libro su D. (Commedia: Elements of Structure. Dante studies I, Cambridge, Mass., 1954; traduz. ital. Studi su Dante. I. Introduzione alla D.C., Napoli 1961), il pensiero del S. si precisa e si amplia in direzione della realtà di un'immagine consueta: quella del libro inteso come ineccepibile segno di un'altra realtà intellettuale e morale, da cui la prima riceve giustificazione e sostegno. Si passa dalla trascrizione operata dallo scriba dal libro della memoria, all'imitazione di un altro libro, quello della Bibbia, imitazione realizzata da un poeta che nell'assumere su di sé l'onere del viaggio per tutta l'umanità diventa il pellegrino proteso verso la propria redenzione e pur sempre retrospettivamente attenta al destino di altri pellegrini che, sulla terra, percorrono, al pari di lui, quel viaggio nel transeunte che è la loro vita di uomini. Dal punto di vista della storia interna dell'opera dantesca, si passa da una vicenda edificante senza allegoria, la Vita Nuova, a un trattato filosofico, il Convivio, scritto secondo l'allegoria dei poeti dove la lettera è bella menzogna e solo conta quello che la lettera significa, alla Commedia che è scritta a imitazione del libro di Dio, secondo l'allegoria dei teologi, dove vera è la lettera e vero è anche il significato secondo che la lettera annunzia.
Occorre a questo punto dire che se nel riconoscimento della veridicità del viaggio, del fatto cioè che esso ci viene presentato nella concretezza dei suoi accadimenti, il S. può affidarsi senza remore all'ipotesi di recettività dell'assunto da parte della nostra mente educata, dal Romanticismo, a usufruire dello spessore drammatico delle immagini, nell'attribuire a esso un significato secondo o allegorico, egli è giustamente portato a supporre un più netto distacco tra il principio di costruzione adoperato da D. e il lettore moderno reso a esso recalcitrante da un lungo tirocinio di consuetudini estetico-immanentistiche. È questo forse il nesso più delicato e personale della critica dantesca del S., il versante di verità che ha richiesto da parte sua la maggiore sollecitudine d'intelligenza e il maggior sforzo di persuasione.
Se il simbolismo della Commedia si traduce nella gravitazione dinamica del viaggio verso il suo fine, nell'allegoria, che è rivelazione attraverso la forma del senso del viaggio a partire dalla sua conclusione, prevale la visione retrospettiva del racconto (The vistas in retrospect, in Atti del Congresso internaz. di studi danteschi, I, Firenze 1965, 279-303). Come il personaggio platonico di Diotima si volge indietro a considerare la strada percorsa, così il pellegrino dantesco apprende in proprio, in speciali, cruciali momenti e comunica nel suo messaggio allusivo al lettore, la verità del viaggio. Codesta verità, gradualmente dischiusa al pellegrino, non poteva né può per il S. essere comunicata al lettore che tenendo conto della gradualità del suo rivelarsi. Per dare un esempio della strategia di lettura che il S. suggerisce anche all'altezza del commento, si può far ricorso all'esempio, significativo in quanto rivelatore di questa verità narrativa che si riverbera a partire dalla fine, delle tre ruine di cui si parla nell'Inferno dantesco. Il S. ridà vigore all'antica interpretazione inserendola nel suo suggerimento di lettura teleologica della Commedia che si affida al concetto di una causazione dinamica degli eventi giustificata a partire dal loro punto di approdo.
Nella gravitazione simbolica del viaggio verso il suo finale destino di gloria il linguaggio dantesco raggiunge punti di cristallizzazione concettuale che il critico non manca di esplorare. Il viaggio verso Beatrice (Journey to Beatrice. Dante Studies II, Cambridge, Mass., 1957; traduz. ital. Viaggio a Beatrice, Bologna 1968) gli appare come una conversione (movimento dell'animo verso Dio) e una giustificazione (movimento verso la giustizia) che preludono all'episodio conclusivo dell'avvento. Beatrice è personaggio ambivalente poiché è per Virgilio filosofia e contemplazione, per il D. che ne accetterà la guida dopo la scomparsa di Virgilio sapienza in senso cristiano, grazia santificante che rende possibile la partecipazione della creatura al non creato sapere. Vi è, dice il S., un molteplice movimento verso Dio, movimento dell'intelletto e movimento del volere. Beatrice è luce dell'intelletto, ma rappresenta anche la giustizia meritoria che l'anima ottiene insieme alla grazia santificante e alle virtù infuse; quale Grazia e Sapienza ella rappresenta il secondo avvento di cui parla Bernardo in uno dei sermoni della passione dell'avvento, quello del Cristo che visita l'anima ogni qualvolta la giustizia prevalga in essa; ella è inoltre contemplazione e come tale permette all'uomo di superare le vicende della sfera sublunare dove sono custodite le cose mutevoli. La Beatrice dell'Eden perfeziona quella riconosciuta da Virgilio e appare quando questo si allontana. Beatrice è analogia di Cristo: venne sulla terra quando si rivelò al giovane D. nella Vita Nuova, ritorna ora nel Purgatorio a giudicare il suo amante come Cristo verrà nel giorno del giudizio a giudicare gli uomini; alla stregua di Cristo, visita in quanto Sapienza il cuore del cristiano ogni volta in cui esso appaia pacificato dalla giustizia.
Quasi a conferma del movimento di attenzione alternativamente dedicato al simbolismo e all'allegoria danteschi, un altro scritto del S., intitolato The Irriducible Vision, in Illuminated Manusc ripts of the Divine Comedy, a c. di P. Brieger, M. Meiss e C.S.S. (Princeton 1969), si assume il compito di guidare il lettore lungo un cammino in tutto complementare a quello seguito dal critico nel tracciare le coordinate del Journey to Beatrice. In questo saggio il S. con maestria e acuta percezione dei fatti letterari segue il tracciato concettuale o " pattern of Thought " fino al suo approdo nel punto focale dell'immagine mobilitata a trascriverlo in un quadro dal violento spessore iconico.
Tra gli altri scritti danteschi del S. giova ricordare: End of a Poem, in " Hudson Review " VI (1953) 529-539; recens. a N. Lankeith: D. and the Legend of Rome, in " Speculum " XXIX (1954) 127-131; Virgil recognizes Beatrice, in " Annual Report D. Society of America " LXXIV (1956) 29-38; Stars over Eden, ibid. LXXV (1957) 1-18; The Irreducible Dove, in " Comparative Literature " IX (1957) 124-135; In exitu Israel de Aegypto, in " Annual Report D. Society of America " LXXVIII (1960) 1-24; Inferno X: Guido's disdain, in " Modern Language Notes " LXXVII (1962) 49-65; The Poet's number at the center, in " Modern Language Notes ", Italian issue, genn. 1965, 1-10; Inferno XIX: O Simon Mago, ibid. 92-99. Il S. ha inoltre curato la seconda ediz. del Dictionary of Proper Names and notable matters in the Works of D., di P. Toynbee (Oxford 1968). Ha poi iniziato presso la " Bollingen series " una traduzione in prosa della Commedia di cui conosciamo per il momento il testo e il commento dell'Inferno (1970) e del Purgatorio (1973). Presso la Harvard University Press, il S. ha anche presentato la riedizione del testo e del commento alla Commedia del Grandgent; il testo risulta esemplato sull'edizione del Petrocchi.
Bibl. - G. Contini, in " Romance Philology " IX (1956) 463-467; R. Montano, Il problema della allegoria e del simbolismo in D. e gli studi di Ch. S. S., in " Delta " n.s., 11-12 (1957)1-16; D. Della Terza, Studi danteschi in America, in " Rassegna Lett. Ital. " LXIV (1960) 218-230; N. Sapegno, La critica dantesca dal 1921 ad oggi, in Atti del Congresso internazionale di studi danteschi, II, Firenze 1965, 263-274; J. Freccero, recens. a E. Auerbach, Studi su D., in " Modern Language Notes " LXXX (1965) 105-108; R. Hollander, Allegory in Dante's Commedia, Princeton 1969; J. Pépin, D. et la tradition de l'allégorie, Montréal 1970; J. Scott, Dante's allegory, in " Romance Philology " XXVI (1973) 558-591.