Attore e regista cinematografico (Londra 1889 - Vevey 1977). Dopo un'infanzia difficile nei quartieri poveri di Londra, entrò a far parte, molto giovane, della compagnia di pantomime di Fred Karno, con cui debuttò in teatro nel 1906. Arrivato negli Stati Uniti, nel 1911, fu scritturato nel 1913 da Mack Sennet, per la produzione Keystone; per questa interpretò numerosi cortometraggi comici nei quali venne gradualmente definendo un costume e un tipo: bombetta, baffetti, scarpe larghe, canna, pantaloni larghi e giacchetta corta, un inconfondibile modo di camminare, che diventeranno universalmente noti come costitutivi della maschera di Charlot; questo personaggio, debole ma scaltro, vagabondo ma con toni da signore, comico ma con larghe aperture verso il patetico e più tardi il tragico, è la più originale creazione di Chaplin. Nel luglio del 1914 Ch. cominciò a dirigere sé stesso; raggiunta una discreta fama, cambiò successivamente varie case di produzione. Sono di questo periodo, per citare solo alcuni titoli: The tramp, The bank, Carmen del 1915, The vagabond, The count, The pawnshop del 1916, The cure, The immigrant, The adventurer del 1917, l'amaro ritratto d'ambiente di A dog's life (1918), la satira che è già atto di accusa di Shoulder arms (Charlot soldato, 1918), la critica sociale e la descrizione della solitudine di The kid (1921, il primo lungometraggio), cui seguono i più brevi Pay day (1922) e The pilgrim (1923). Nel 1919 fondò con M. Pickford e D. Fairbanks la società United Artists, per la quale produsse in seguito i suoi film, a cominciare da A women of Paris (1923), un film non comico, finissimo ritratto psicologico (in cui, caso unico, Ch. non compare come attore, neppure secondario), fino a Limelight (1952). Alla fine del 1952, espulso dagli Stati Uniti per una indegna campagna scandalistica, tornò in Inghilterra (dove avrebbe diretto ancora A king in New York, 1957, e A countess from Hong Kong, 1967), e dal 1953 visse prevalentemente in Svizzera, dove scrisse anche le sue memorie (My autobiography, 1964; trad. it. 1964). Convogliando nella sua opera elementi culturali (l'origine ebraica ha il suo peso) e forme espressive specifiche, quali la pantomima e il circo (per cui non mancano debiti a M. Sennet, M. Linder, allo stesso F. Karno), portò queste forme ad un livello di assoluta originalità. Nei suoi film osserviamo i meccanismi del comico "puro": la rottura del rapporto tra causa ed effetto, il ritmo che tende alla geometrizzazione, la stilizzazione dei gesti, l'imprevedibilità che tradisce le attese e le abitudini dello spettatore, lo sconvolgimento della logica. Assieme a questo troviamo la carica ribellista: il protagonista appare nel suo sfondo concreto, da cui si stacca come isolato. Da un lato allora c'è la descrizione dell'apparente "normalità" di tante situazioni accettate, delle regole e delle convenzioni del perbenismo borghese, dei cerimoniali che vengono da C. portati al grottesco. Dall'altro lato quella società è vista, però, soprattutto come un limite o una esclusione della libertà individuale: da ciò il rapporto del vagabondo con la società che lo espelle, le sue difficoltà di integrazione, che arrivano spesso al rifiuto o al fallimento. Nei film in cui l'esito finale è positivo si palesa il tema dell'amore (l'alto esito di The circus, 1928), l'auspicio di una generale fratellanza, che trae origine in un sottofondo umanistico di tipo individualista. È l'aspetto sentimentale di Charlot, non esente da venature autobiografiche; è la spinta che provoca l'alternanza dei toni, per cui la comicità si fonde con l'amarezza, o si ritorce in una tragicità contenuta. Il patetico della tradizione melodrammatica e popolare (che trova la sua punta in City lights, 1931) può essere talora di impaccio al racconto o di peso, come remora convenzionale. L'impatto diretto tra il personaggio e la realtà trova i suoi momenti più alti e chiarificatori in taluni capolavori: The gold rush (1925) descrive la corsa all'accumulazione del denaro, Modern times (1936) la meccanizzazione e lo sfruttamento dell'individuo, The great dictator (Il grande dittatore, 1940) è una satira direttamente politica (nazismo e fascismo come degenerazioni), Monsieur Verdoux (1947) parte dal ritratto di un personaggio per arrivare ad analizzare i modi di gestione della società, sulla base del binomio denaro-sopraffazione. Anche nelle opere della maturità (tra cui è da ricordare soprattutto Limelight), pur in presenza di nuove indicazioni, restano molti elementi tipici delle prime comiche. ▭ Tra i figli di Ch. che si sono dedicati al cinema come attori, solo Geraldine (n. Santa Monica 1944) ha raggiunto una certa notorietà, lavorando in Doctor Zhivago di D. Lean e in numerosi film di C. Saura. ▭ Tav.