Heston, Charlton (propr. John Charlton Carter)
Attore e regista cinematografico e teatrale statunitense, nato a Evanston (Illinois) il 4 ottobre 1924. Interprete di formazione teatrale maturata sui testi classici e dotato di una presenza scenica vigorosa, ha impersonato l'eroe per antonomasia dei kolossal hollywoodiani, dalla metà degli anni Cinquanta alla metà dei Sessanta, fino a sfiorare lo stereotipo. La bellezza severa e l'austerità espressiva hanno consentito a H. di interpretare, nel corso della sua prolifica carriera, una galleria di personaggi biblici, storici e avventurosi, rendendoli espressione emblematica dei valori più tradizionali della cultura americana. Nelle sue prove migliori ha però dimostrato un talento più sfaccettato, sovrapponendo all'esteriorità dell'eroe atletico il carisma tormentato dell'interprete shakespeariano. Insignito di un Oscar come migliore attore protagonista nel 1960 per Ben Hur (1959) di William Wyler, si è distinto per l'attivismo civile e umanitario ed è stato premiato nel 1977 dall'Acade-my Awards con il Jean Hersholt Humanitarian Award.
Cresciuto a St. Helen, nel Michigan, dopo la separazione dei genitori assunse il cognome del patrigno e intraprese studi di recitazione presso la Northwestern University's School of Speech. Nel 1941 fu protagonista di un film amatoriale in 16 mm, Peer Gynt (riedito nel 1965), diretto dal compagno di studi David Bradley, per il quale interpretò nel 1949 un altro film a basso budget, Julius Caesar, uscito nel 1952. Durante la guerra servì l'Air Force nelle Aleutine; congedatosi nel 1947, cominciò a lavorare come regista teatrale, ma fu la televisione a consentirgli di sostenere diversi ruoli da protagonista nella serie di drammi Studio one della CBS. H. attirò l'attenzione di Hal Wallis, produttore della Paramount Pictures che lo ingaggiò per dodici film, il pri-mo dei quali fu Dark city (1950; La città nera) di William Dieterle. Due anni dopo Cecil B. DeMille gli offrì la sua prima parte importante: Brad Braden, il rude manager del circo in The greatest show on Earth (1952; Il più grande spettacolo del mondo). In questa prima fase della carriera, H. interpretò uomini d'azione ombrosi, combattuti tra un rigido senso di responsabilità e la violenza del desiderio in drammi esotici o in costume come Ruby gentry (1952; Ruby, fiore selvaggio) di King Vidor, The president's lady (1953; Schiava e signora) di Henry Levin e The naked jungle (1953; Furia bianca) di Byron Haskin.Nel 1956 con il ruolo di Mosè in The ten commandments (I dieci comandamenti) di DeMille, fu promosso stella internazionale e inaugurò trionfalmente la sua stagione 'eroica': dopo The big country (Il grande paese) di Wyler e The buccaneeer (I bucanieri) di Anthony Quinn, entrambi del 1958, arrivarono Ben Hur di Wyler e quindi El Cid (1961) di Anthony Mann, The greatest story ever told (1965; La più grande storia mai raccontata) di George Stevens, The agony and the ecstasy (1965; Il tormento e l'estasi) di Carol Reed e Khartoum (1966) di Basil Dearden. Kolossal spesso magniloquenti che ottennero un grande successo popolare, nei quali H. mise a frutto qualità fisiche e doti drammatiche. Intanto alternava interpretazioni di personaggi più inquieti che incrinavano la sua immagine di 'divo': in Touch of evil (1958; L'infernale Quinlan) di Orson Welles è Vargas, un uomo di legge in balia del titanico protagonista, in 55 days at Peking (1963; 55 giorni a Pechino) di Nicholas Ray la sua possente fisicità fa risaltare, per contrasto, l'umana inadeguatezza del suo personaggio, mentre in Major dundee (1965; Sierra Charriba) di Sam Peckinpah, si manifestano apertamente la violenza e la rabbia che serpeggiano in molti ruoli in precedenza interpretati. La splendida caratterizzazione, soffusa di malinconia e amarezza, del cowboy solitario in Will Penny (1968; Costretto ad uccidere) di Tom Gries, e la figura decisa ma dolente del capitano Taylor in Planet of the apes (1968; Il pianeta delle scimmie) di Franklin J. Schaffner permisero a H. di rivelare una decisa espressività, improntata al realismo del dettaglio. All'intensità di film interessanti come Soylent green (1973; 2022: i sopravvissuti) di Richard Fleischer affiancò anche ruoli più di routine, risolti con mestiere, in opere minori e di genere catastrofico, come eroe salvatore della Terra (Airport 1975, 1974, Airport '75 di Jack Smight; Earthquake, 1974, Terremoto di Mark Robson), mentre fu interprete anche di un horror di gusto raffinato come The awakening (1980; Alla trentanovesima eclisse) diretto da Mike Newell.
Nel 1972 H. aveva diretto il suo primo film, Antony and Cleopatra (All'ombra delle piramidi), un fiacco omaggio al personaggio di Marco Antonio, il suo ruolo teatrale più amato; risale invece al 1982 la sua seconda regia, Mother Lode (Mother Lode: i predatori della vena d'oro), nel quale interpreta, con impeto istrionico, un personaggio ossessivo. La sua presenza sul grande schermo durante gli anni Ottanta e Novanta è rimasta confinata per lo più in brevi apparizioni all'interno di film prestigiosi come Tombstone (1993) di George Pat Cosmatos e Hamlet (1996) di Kenneth Branagh, fino a tornare protagonista nel ruolo di Josef Mengele in un film girato nel 2002 da un giovane regista italiano, Egidio Eronico, Papà rua Alguem 5555. Ha inoltre lavorato spesso in show, serial e film televisivi, alcuni dei quali sono stati diretti dal figlio Fraser, con cui, nel 1981, H. ha fondato la casa di produzione Agamemnon. H. si è poi dedicato con crescente impegno alla politica e dopo aver partecipato, negli anni Sessanta, alle lotte per il movimento dei diritti civili al fianco di M. Luther King, ha inasprito il suo conservatorismo patriottico fino a sostenere entusiasticamente i due mandati Reagan e a diventare, nel 1998, il presidente della National Rifle Association, potentissima lobby statunitense delle armi (incarico spietatamente deriso nel documentario di Michael Moore Bowling for Columbine, 2002, Bowling a Colombine). Ha scritto The actor's life: Journals, 1956-1976 (1978) e In the arena: an autobiography (1995).
J. Williams, The films of Charlton Heston, Farncombe 1977²; B. Crowther, Charlton Heston: the epic presence, London 1986; M. Munn, Charlton Heston, New York 1986.