CHAROPINOS (Χαροπῖνος)
Ipotetico scultore di Paro, attivo a Delfi nella seconda metà del VI sec. a. C., probabile autore - secondo il Pomtow - del fregio S e O del thesauròs dei Sinî. Invero, si posseggono solamente due dediche uguali da parte dei suoi figli, entrambe trovate a Delfi. La prima è incisa su una base rettangolare scoperta nel 188o ai piedi del muro poligonale, tra la colonna dei Nassi e il portico degli Ateniesi, conservata ora nel locale museo (sala del thesauròs di Marsiglia). La base, in marmo pario, arrotondata agli angoli, presenta sulla faccia superiore la dedica incisa lungo il bordo anteriore e sinistro, mentre al centro uno spazio all'incirca ovale mostra il plinto ancora incastrato e, ad esso aderente, la parte anteriore dei piedi di una statua in marmo. La statua perduta è facilmente ricostruibile: rientrava certamente nella tipologia dei koùroi arcaici, in posizione non completamente frontale, ma un poco girata: ciò indica la posizione dei piedi fissi al suolo, l'uno avanti all'altro, un poco divergenti, simili alle basi del colosso d'Apollo a Delo, del koùros del Sunio, ecc. L'Homolle, che poneva l'opera nel gruppo pario-nasso, differente dal gruppo chiota, credette di identificare la statua in un torso cosiddetto d'Apollo, trovato a Delfi nel 1895; ma le dimensioni del torso sono maggiori di quelle che si deducono per la statua. La seconda dedica appare incisa verticalmente su una colonna ionica a 16 scannellature, in marmo pario, rinvenuta divisa in due pezzi; al di sopra doveva essere collocato l'anàthema. Si data essa pure alla seconda metà del VI secolo.
Davanti alla ripetizione della dedica, formulata in uguali termini ("I figli dedicarono a Ch. di Paro"), l'Homolle affermava che tale fama veniva certo al padre dalla sua attività di scultore, e ritiene perciò Ch. un artista chiamato dall'isola a Delfi, quivi trattenutosi coi figli che non dimenticano però la patria d'origine e la proclamano nella dedica: le due opere dovevano quindi essere sculture dello stesso Charopinos. Il Pomtow proseguendo nello stesso indirizzo, attribuisce a Ch. non solo queste due opere, ma anche due lati del fregio del thesauròs dei Sifnî, attribuendo invece gli altri due (N ed E) ad un suo ipotetico figlio Deiochos. In verità non c'è nessuna ragione che permetta di annoverare Ch. tra gli scultori.
Bibl.: B. Haussoullier, in Bull. Corr. Hell., VI, 1882, p. 445, n. 75; F. Winter, in Ath. Mitt., XIII, 1888, p. 129; Th. Homolle, in Bull. Corr. Hell., XX, 1896, p. 582, nota 4; W. Deonna, Les "Apollons archaïques", Ginevra 1909, pp. 55, 180, n. 69; Th. Homolle, Fouilles de Delphes, IV (i), 1909, p. 54, n. 23, fig. 24; n. 24; H. Pomtow, in Pauly-Wissowa, Suppl. IV, 1924, c. 1255, s. v. Delphoi; Ch. Picard, Manuel, I, Parigi 1935, p. 576; P. de La Coste-Messelière, Au Musée de Delphes, Parigi 1936, nota i; G. Lippold, Die Plastik, in Handb. d. Arch., Monaco 1950, p. 68; I. Marcadé, Recueil d. Sign. d. Sculpt. gr., Parigi 1953, I, 21, tav. V (4).