CASATI, Cherubino
Nulla si sa della sua famiglia: nato probabilmente a Milano, nell'anno 1551, al fonte battesimale gli venne imposto il nome di Giovanni Ambrogio. Il 25 marzo del 1566 vestì l'abito della Congregazione dei chierici regolari di S. Paolo, che aveva la sua sede in S. Barnaba a Milano. In questa occasione mutò il nome in quello di Cherubino. Il 25 maggio dell'anno successivo, Alessandro Sauli, da poco eletto generale, riceveva i voti del giovane novizio.
Compiuti gli studi teologici e filosofici a Pavia, nel 1573 fu ordinato sacerdote. In quello stesso anno, essendo state istituite presso S. Barnaba le scuole di Sacra Scrittura, teologia scolastica, filosofia morale e logica, al ventiduenne C. venne affidato l'insegnamento della morale e a lui toccò inaugurare i corsi il 1° ottobre con una prolusione latina. Nel 1582 fu inviato a Cremona, dove però non rimase a lungo, perché nel 1584 veniva trasferito al collegio di S. Biagio in Roma a sostituire il preposto Maino, divenuto assistente del generale. Nel capitolo dell'anno successivo fu nominato preposto di Vercelli: durante i tre anni che ricoprì la carica, diede nuovo slancio alla vita religiosa, aprì le scuole delle quali il collegio era privo, fece della comunità un centro di irradiazione spirituale.
Scaduto il mandato triennale, il C. si dedicò interamente alla predicazione, guadagnandosi presto quella larga fama che lo avrebbe poi accompagnato sino alla fine dei suoi giorni: già nel 1588 egli si faceva conoscere a Roma attraverso i sermoni quaresimali tenuti nella basilica di S. Lorenzo in Lucina. All'attività di predicatore, egli doveva, negli anni successivi, alternare nuove responsabilità M Seno alla Congregazione: nel 1590 venne infatti chiamato a ricoprire la carica di preposto del collegio di S. Alessandro, fondato da poco. Fu poi inviato a Cremona e a Casale e, successivamente, nel 1596, per una seconda volta a Vercelli, sempre in qualità di preposto.
Nel 1601 i barnabiti subentravano agli oratoriani nel santuario della Vergine dei Lumi, a San Severino nelle Marche: il C., che già attraverso l'opera svolta a Vercelli aveva messo in luce le proprie doti di efficiente organizzatore, venne nominato preposto del nuovo collegio. Sotto il suo impulso fu fondata la Confraternita del Salvatore e creato un nuovo oratorio: la vita religiosa del circondario ricevette così nuovo stimolo ed il concorso popolare al santuario si accrebbe rapidamente.
Il successo conseguito a San Severino rendeva l'opera del C. particolarmente preziosa per la Congregazione, che si trovava in quel momento in fase di espansione: perciò, alcuni anni più tardi, avendo il vescovo di Vigevano, Marsilio Landriani, manifestato il desiderio di fondare un collegio nella città, il generale affidava al C. il non facile compito di impiantare la nuova casa. Malgrado gli ostacoli frapposti da altri Ordini religiosi che non vedevano di buon occhio l'arrivo dei barnabiti, egli riusciva a stabilire una comunità regolare nel 1609.
Nell'ottobre 1610 lo ritroviamo a Milano, da dove scrive all'arcivescovo, che in quel momento si trovava a Roma, per chiedere il suo intervento presso il papa allo scopo di ottenere la nomina di un cardinale protettore cui venga affidato il compito di ripristinare in seno alla Congregazione l'osservanza dell'antica disciplina. Negli anni successivi, il C. si dedicò interamente alla predicazione ed alla stesura dei due primi volumi dei Discorsi sopra il Simbolo Apostolico. Colpito da apoplessia mentre attraversava il lago di Como nel corso di un giro di prediche, morì al suo ritorno a Milano il 22 sett. 1618.
L'unica testimonianza rimastaci dell'arte oratoria del C. è affidata ai tre volumi dei Discorsi sopra ilSimbolo Apostolico. Idue primi, dati alle stampe nel 1615 a Milano, sono dedicati a Ferdinando: Gonzaga, duca di Mantova; il terzo fu pubblicato postumo, sempre a Milano, nel 1619, a cura del confratello Innocenzo Chiesa. Si tratta di cento prediche svolte a commento del Credo:ogni articolo dell'atto di fede - il Simbolo Apostolico, appunto - serve da argomento per uno o più "discorsi", secondo una tecnica assai simile a quella del "concetto predicabile", che tanta diffusione avrà nei successivi decenni del secolo. Sebbene la presenza di un filo conduttore conferisca un carattere di organicità all'opera e, per ciò stesso, costituisca un elemento inconsueto rispetto ai consimili lavori del tempo, i cento Discorsi non si discostano dai principî retorici in voga: le abbondanti citazioni dei testi sacri, l'abuso dello stile metaforico, l'enfasi e la magniloquenza adombrano già gli aspetti deteriori della predicazione tardo-secentesca. Ma è, probabilmente, in questa adesione ai gusti ed alle tendenze dell'epoca che va individuata la ragione del successo della predicazione del Casati.
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