Chi udisse tossir la malfatata
Primo dei sonetti di D. nella tenzone con Forese (Rime LXXIII), di cui satireggia l'insufficienza maritale, ritratta nell'infreddatura perpetua della moglie, tossicosa e vogliosa, e nella querimonia, in contrappunto, della suocera, piangente la sorte della figlia malmaritata. Enunciato equivocamente al v. 8 (merzé del copertoio c'ha cortonese), il tema si fa esplicito al v. 11 (per difetto ch'ella sente al nido) smentendo l'interpretazione innocentistica dei molti (Torraca, Cian, Rossi...) per i quali il poeta mirerebbe " solo a dipingere in un quadretto d'interno lo squallore della casa di Forese, la miseria in cui questo era caduto " a forza di gozzoviglie e dissipazioni. Dopo il mordente allusivo del copertoio cortonese e del freddo polare che assidera quell'interno anche di mezzo agosto, le connotazioni di squallore non sono separabili dallo specifico vuoto di abbandono che affligge la donna di Forese, disamorato disertore del letto coniugale (se non ‛ impotente ', come altri legge, prescindendo dal quinto componimento della serie). Come la struttura del sonetto gravita sull'arguzia sorniona del v. 11, così il tono di esso, cui bisogna, in definitiva, richiamarsi se non si desidera confondere un intento presunto con l'esito effettivo, è ludico, furbesco e compiaciuto: da assimilare ai modi comico-giocosi delle rime di Rustico o di Cecco intese allo scherzo, alla caricatura, alla parodia; e tale da non legittimare, ci sembra, la troppo calda difesa tentata dal Russo della genesi morale del sonetto (o, come scrivono E. Bartlett e A. Illiano, il suo carattere di " protesta mortalmente seria nel fondo "). Un attacco sottinteso, provocatorio, castigatore al marito che passa le notti fuori di casa? Sia pure: ma divertito, equivocante e tutto risolto nell'acre insistenza del ritratto muliebre.
L'esemplare studio del Barbi e i saggi di commento del Maggini, del Contini, dei Foster e Boyde, del Pézard, per non dire del Mattalia del Marti del Vitale, hanno messo in luce l'area culturale e letteraria da cui il poeta poté attingere la favola-dottrina del ghiaccio che si converte in cristallo in paesi remoti, la legge degli umori caldi o freddi in rapporto all'età e all'uso maritale, il proverbio del raffreddore a mezz'estate, il detto spregiativo dei fichi (secchi o no), il gusto di accozzi verbali come corto e cortonese, tutta la normativa tonale, retorica e metrica caratteristica del genere; e il felice processo di fusione e ricreazione, che a quegli elementi sparsi diede ritmo e impronta danteschi; e, infine, il complesso significato di un'esperienza di stile in aperta antitesi con le ‛ dolci rime ', che il Contini allaccia all'antecedente prova del Fiore (da lui attribuito a D.) e che certo precorre, in relativa misura, non solo alcune fasi ulteriori dell'opera di D. ma un atteggiamento di fondo, realistico e possessivo o, diremmo, esaustivo del suo linguaggio.
In un tale contesto, il sussiego anagrafico notarile del v. 2 (moglie di Bicci votato Forese) risulta più scherzoso e pungente se si consideri intenzionale anziché conforme a un uso non rarissimo la trasposizione di nome e sopranome (Bicci= Biccicocco?); al v. 4 (ove si fa 'l cristallo, in quel paese), sembra preferibile rispettare - col Pézard - l'apparente inversione del testo, e sottolineare la mimica allusività del dimostrativo quel paese. Per calzata del v. 7, che, su un esempio del Sacchetti, il Contini spiega: " sotto una coperta ben rimboccata ", il Barbi propone: " senza scalzarsi "; e il Pézard: " con le calze ", così motivando: " Nel suddetto esempio calzandosi ha un complemento necessario: con esso (copertoio); nel sonetto il verbo ha il suo senso proprio, assoluto ".
La struttura metrica, di quartine a rime alternate e terzine a tre rime pure alterne, ha carattere di modulo aperto e, per così dire, disponibile al seguito: bene, quindi, si adegua alla battuta iniziale della tenzone.
Al v. 8, il trittongo -oio di copertoio (come di cuoio al v. 4 del sonetto Ben ti faranno il nodo Salamone) mantenuto nel testo si pronunziava probabilmente oi , " anzi con la classica riduzione toscana o', coperto' (" choperto " scrive il Chigiano) ", Contini.
È stato rilevato che il v. 14 (messa l'avre"n casa del conte Guido) è uno dei pochissimi endecasillabi danteschi (arcaici) con accento di quinta (Fasani).
Nell'esatto risvolto di questi versi, che si legge in Pg XXIII 85-96, il nomignolo Bicci cede luogo al nome proprio dell'amico, Forese, teneramente ripetuto; la " malfatata " sua moglie assume un nome, Nella, e altro volto; lo scherzo e lo scherno s'illimpidiscono in giudizio, nell'alto placato lume del poema.
Per la tradizione manoscritta e per la bibliografia relativa, si veda TENZONE CON FORESE.