MATRAINI, Chiara
– Nacque a Lucca il 4 giugno 1515 da Benedetto e da Agata Serantoni. L’anno successivo rimase orfana del padre e fu affidata alla tutela dello zio paterno Rodolfo.
La famiglia Matraini, giunta a Lucca verso la metà del secolo XIV dal borgo di Matraia, era in origine formata da piccoli tessitori, ma nel tempo raggiunse un discreto prestigio: nel 1453 un Lorenzo Matraini, tintore, fu eletto nel Consiglio cittadino. Tra i familiari della M. solo i fratelli Luiso e Lodovico e lo zio Rodolfo emergono con un profilo netto in quanto protagonisti nelle vicende pubbliche cittadine. Il primo, eletto nel Consiglio cittadino nel 1524, subì un grave scacco personale quando, tre anni dopo, fu allontanato per sempre dalle cariche pubbliche a causa di una condanna per sodomia. Il discredito si riversò sul gruppo familiare e la fama dell’intera famiglia era ancora compromessa al momento dell’elezione di Rodolfo in Consiglio, il 4 maggio 1531 (cfr. Berengo, pp. 126 s.). Insieme con un altro parente, il chierico Lorenzo Matraini, Luiso e Rodolfo furono tra i protagonisti del moto degli straccioni, la rivolta che nel 1531 tentò di incrinare il sistema oligarchico della Repubblica di Lucca con l’obiettivo di consentire alla piccola nobiltà e alla media borghesia (rappresentata soprattutto dai tessitori e dai tintori) di accedere stabilmente alle cariche pubbliche. Il fallimento del moto, scontato data la rigidezza del sistema politico, ma particolarmente traumatico per la rapidità e la durezza della repressione, incise profondamente sulla storia della famiglia e sulla personalità della Matraini. Con Luiso, dopo la fine della rivolta, fu incarcerato anche un Filippo Matraini, che riuscì a evadere e rimase per sempre bandito da Lucca, condannato a morte in contumacia; Luiso, invece, morì in prigione in condizioni fisiche deplorevoli, nell’aprile 1535, dopo aver testato a favore della Matraini. Lodovico fu decapitato il 19 apr. 1532 e i suoi beni furono confiscati; solo Rodolfo rimase indenne, ma lasciò gli uffici e si ritirò a vita privata.
Prima della caduta in disgrazia della famiglia, la M. era stata data in sposa a Vincenzo Cantarini: le nozze furono celebrate il 15 maggio 1531 (la dote, di 300 scudi, era stata versata nel giugno 1530). Il fatto che fosse già entrata da un anno in un’altra cerchia familiare quando i Matraini si trovarono nel vortice dell’insurrezione popolare non diminuì affatto l’impatto negativo sulla M., dato il ruolo di Giuliano Cantarini, cugino di Vincenzo, che con la sua delazione agli Anziani fece fallire, nel novembre 1532, il tentativo dei fuorusciti di rientrare in città con un colpo di mano ordito da Vincenti Di Poggio e dal prete Lorenzo Matraini.
Nel 1533, quando la bufera non si era ancora placata, la M. diede alla luce Federigo, battezzato il 1° marzo. Mancano notizie sulla M. da quel momento fino all’inizio degli anni Quaranta.
Nel 1542 era vedova e inserita in una dimensione pubblica: non è chiaro quando iniziò quel mutamento nella M., ora più distaccata dalla sfera privata e familiare in cui la sua vita si era fino ad allora svolta. La Vita di Gherardo Sergiusti (umanista e storico lucchese) di B. Baroni, tendenziosa ma piena di riferimenti controllabili, narra la turbolenta e scandalosa passione scoppiata all’altezza del 1547 tra la M., già nota come poetessa e musicista, e Bartolomeo Graziani, genero di Sergiusti. Secondo la romanzata ricostruzione che della vicenda si legge nella Vita, Graziani aveva «missa in casa sua, per satisfare la scelerata vedova» una accademia, dove stavano «la notte, non che il giorno da tutte l’ore a ridere, burlare, dir mille sporcitie e fare infinite cose disoneste (perché vi andavano molti giovani secolari, che di Pisa erano venuti a Lucca nelle vacantie)» (c. 211r). Da questa vicenda nacque una sorta di scandalo che finì per coinvolgere altri lucchesi di qualche fama: tra cui un Arnolfini e un Pessini a fianco della Matraini. Lo stesso Graziani rimase vittima di un assassinio che non fu chiarito. Al di là dei risvolti inquietanti, emerge che a quella data la M. si era incamminata verso l’attività letteraria e coltivava le sue passioni per la musica e la poesia, in contatto con la gioventù colta di Lucca e di Pisa con tracce di frequentazione di ambienti eterodossi: risale al 1552 la prima menzione della M. «nobile poetessa lucchese» nei Sette libri di cataloghi di Ortensio Lando (Venezia, G. Giolito, p. 475). Di quegli anni, della vicenda amorosa con Graziani e della sua fine violenta restano testimonianze nel canzoniere della M., Rime e prose (Lucca, V. Busdraghi, 1555).
L’esordio della M. come verseggiatrice è accompagnato da due scritti in prosa singolari per una donna letterata: una epistola indirizzata a un destinatario sconosciuto (M. L., forse da interpretare come Messer Ludovico, cioè Ludovico Domenichi, con cui la M. era allora in rapporti) in difesa della materia amorosa (platonicamente intesa) in letteratura, in cui spicca una autopresentazione segnata dall’orgoglio della propria nascita; segue l’Orazione dell’arte della guerra, in difesa dei valori etici e civili della milizia per la difesa della propria patria: un esercizio retorico cui non è estranea una qualche immedesimazione. La parte lirica resta comunque prevalente e si presenta come un vero e proprio canzoniere, ossia come la rappresentazione di una storia d’amore dai suoi esordi (innamoramento e lode dell’amato) alla conclusione (morte dell’amato e chiusa religiosa). Motivo ispiratore delle Rime è la inquieta relazione con Graziani. Di questa vicenda emergono nitide impronte, indelebili anche sotto la dominante petrarchesca (la canzone Chiara, eterna, felice e gentil alma, esemplata sulla celebre canzone bembesca in morte del fratello, si lascia andare a un preciso riferimento alla morte violenta di Bartolomeo: «perch’io, sentendo il tuo mortale affanno, / in orribil visione, atra e funesta, / vidi farti lasciar la mortal vesta»: vv. 73-75). Ma alla cifra autobiografica se ne sommano altre, quali un generico platonismo e il riflesso delle relazioni intrattenute dalla M. nel biasimato salotto letterario degli anni Cinquanta, le quali, nel loro intrecciarsi, danno alla raccolta una coloritura moderatamente sperimentale, presente anche sotto il profilo delle scelte metriche (varietà dei madrigali, frequenze di sestine e ottave).
D’ora in avanti l’esistenza della M. fu scandita dalle frequentazioni letterarie. Lodovico Dolce e soprattutto Ludovico Domenichi, attivo a Lucca e a Pescia verso la metà degli anni Cinquanta, aiutarono la M. nel suo intento di autopromozione. Nel 1556 vide la luce il volgarizzamento dell’orazione pseudoisocratea A Demonico (Orazione d’Isocrate a Demonico figliuolo d’Ipponico, circa a l’essortazione de’ costumi, che si convengono a tutti i nobilissimi giovani: di latino in volgare tradotta), pubblicata, con dedica a Giulio de’ Medici, a Firenze, per L. Torrentino, e lo stesso anno l’intero canzoniere del 1555 trovò posto nelle Rime dei signori napolitani, e d’altri (Venezia, G. Giolito e fratelli) curate da Dolce, mentre singole composizioni furono accolte in Delle rime di diversi eccellentissimi autori allestita da Domenichi (Lucca, V. Busdraghi, 1556) e ne La fenice di Tito Giovanni Scandianese (Venezia, G. Giolito, 1557, 2a ed. con aggiunte), opera in larga parte miscellanea che celebrava la stamperia giolitiana.
Emerge già chiaro nella M. il progetto di non affidare la propria immagine al solo genere lirico e l’intenzione di aprirsi a contenuti intellettuali più impegnativi. A queste ambizioni non seguì l’effetto, in parte per le traversie personali cui la M. andò incontro, in parte forse per una non perfetta rispondenza dell’orizzonte cittadino ai suoi sforzi, se non pure per l’incrinatura dei rapporti con Domenichi, come fa supporre l’assenza della M. dalla prima corposa silloge al femminile del secolo, curata da Domenichi a Lucca nel 1559, per Busdraghi, Rime diverse d’alcune nobilissime, virtuosissime donne.
Sul fronte della vita privata, risale con ogni probabilità al 1560 l’incontro con Cesare Coccapani, carpigiano, di famiglia legata agli Estensi, presente a Lucca come auditore di Rota (a Reggio Emilia si era rifugiato il cugino della M., Filippo, transfuga da Lucca). Nacque un intenso sodalizio spirituale e intellettuale, che durò nel tempo ed è documentato dal carteggio conservato nell’Archivio di Stato di Lucca (Mss., 1547: Lettere e poesie del sig. Cesare Coccapani auditore di Lucca e di donna incerta lucchese). Tuttavia le notizie sulla biografia della M. tra gli anni Sessanta e Settanta sono rarefatte: è certo un soggiorno a Genova compreso tra il 1562 e il 1565, durante il quale avvenne una furibonda lite con strascichi giudiziari (in parte seguiti da Coccapani) con il figlio Federigo, che non voleva restituire i soldi della dote alla madre, per la quale la somma rappresentava la possibilità di indipendenza economica. Non è noto quando la M. fece ritorno a Lucca: gli anni 1566-75 sono di nuovo anni oscuri. Nel 1576, ormai protetta, data l’età, dal rumore degli scandali passati, era in patria e faceva costruire un altare e una cappella in S. Maria Forisportam, scelta per la propria sepoltura.
A decorazione della cappella avrebbe dovuto esservi un ritratto della M. in persona della Sibilla. Il quadro fu effettivamente dipinto (commissionato ad Alessandro Ardenti, fu terminato da Francesco Cellini) ed è conservato a Lucca nel Museo di Villa Guinigi (La Sibilla cumana).
Dopo il rientro in patria la M. orientò con decisione la sua produzione letteraria verso contenuti spirituali. Tra il 1581 e il 1590 videro la luce per la tipografia di V. Busdraghi le seguenti opere: Meditazioni spirituali (a istanza di O. Guidoboni, 1581); Considerazioni sopra i sette salmi penitenziali del gran re, e profeta Davit (1586); Breve discorso sopra la vita e laude della Beatiss. Verg. e Madre del Figliuol di Dio (1590).
Dopo molti anni e vicissitudini, nel 1581 le Meditazioni spirituali mettono in primo piano la questione della religiosità della M.: il radicamento di idee evangeliche e filoprotestanti nell’ambiente lucchese e la conoscenza dell’opera erasmiana e valdesiana che sembra emergere dietro alla vetrina del petrarchismo ortodosso delle rime e dietro alle prose ha fatto pensare a una prossimità verso orientamenti ereticali, sebbene non esibite e dunque difficilmente dimostrabile. Dalle rime emerge una vera e propria venerazione per Vittoria Colonna, proposta non solo quale modello letterario, ma vero esemplare a tutto tondo di spiritualità e di vita; tuttavia anche questo dato va letto nel solco ormai irreversibile che il concilio di Trento aveva scavato. I contenuti delle Meditazioni sono incanalati in una sicura ortodossia dottrinale e formale: alla prima meditazione sulla confessione e il pentimento ne seguono altre sui peccati capitali e sulla necessità di rimediare alle colpe. In ossequio a una combinazione di prosa e poesia che la M. non abbandonerà più, ogni testo prosastico è seguito da un componimento in versi a commento.
Le opere successive hanno un carattere meno impegnativo e ancora più chiara emerge la volontà di cimentarsi con temi esemplari. Le Considerazioni sui sette salmi penitenziali costituiscono un passaggio tradizionale, rinverdito in età tridentina: contigui alla M. sono I sette salmi penitenziali con una breve e chiara sposizione… del lucchese Flaminio Nobili (Venezia 1583), al 1564 risalivano I sette salmi penitentiali del santissimo profeta Davit tradotti da Laura Battiferri (Firenze). Sulla stessa scia devozionale si colloca la Vita della Vergine, tema molto caro alla M., confezionato in maniera squisitamente ortodossa (nella stampa seguono le Annotazioni del napoletano Giuseppe Mozzagrugno, canonico della chiesa di S. Salvatore). È questa l’opera della M. di maggiore fortuna, grazie al risultato felice dell’incontro fra una sincera professione di fede, la conoscenza non superficiale delle Scritture e qualche consapevole apertura verso i Vangeli apocrifi (le sue fonti sull’infanzia di Maria).
Del 1595, sempre per Busdraghi, è la riedizione delle rime giovanili: Lettere con la prima e seconda parte delle sue Rime.
Il ritorno, dopo quarant’anni dalla prima pubblicazione, a una scrittura profana con la riedizione del canzoniere nel 1595 non poteva non portare i segni di una lunga attività letteraria spesa in generi di ispirazione religiosa e meditativa: da specchio di un’inquieta e ambiziosa letterata in cerca di affermazione, il libro di rime si trasforma in meditazione di una matura e saggia dama, anche se permane, a uno sguardo approfondito, più di un’eco dell’originaria impostazione.
Nel 1602 videro la luce a Venezia i Dialoghi spirituali con una notabile narrazione alla grande Academia de’ Curiosi e alcune sue rime e sermoni, opera da retrodatare al ventennio Sessanta-Ottanta, mentre resta sconosciuta l’istituzione cui fa riferimento il frontespizio.
La M. morì a Lucca nel novembre 1604, dopo aver testato per la quarta volta; fu sepolta il giorno 9 in S. Maria Forisportam, secondo la sua volontà, nella tomba da lei stessa fatta costruire.
Dell’opera della M. le sole Rime e lettere sono edite modernamente e con criteri filologici, a cura di G. Rabitti, Bologna 1989; poesie della M. sono accolte nell’Antologia della poesia italiana, a cura di C. Ossola - C. Segre, II, Torino-Parigi 1998, pp. 746-774 e in Poetesse italiane del Cinquecento, a cura di S. Bianchi, Milano 2003, pp. 71-87. Una scelta antologica è in C. Matraini, Selected poetry and prose: a bilingual edition, con introduzione di G. Rabitti, a cura di E. Maclachlan, Chicago 2008.
Fonti e Bibl.: Lucca, Biblioteca civica, Mss., 1109: B. Baroni - G.V. Baroni, Notizie genealogiche delle famiglie lucchesi, c. 177 (famiglia Cantarini); 1114, c. 542r (famiglia Graziani); 1119, c. 887r (famiglia Matraini); Mss., 553: G. Matraia, Guida monumentale delle città e diocesi di Lucca fino a tutto il 1860, c. 260r; 926: B. Baroni, Memorie e vite d’alcuni uomini illustri, Vita di Gherardo Sergiusti. celebre col nome di Gherardo Diceo, cc. 204-216; 1574: G. Pera, Miscellanea lucchese, cc. 397-425 passim; G. Tommasi, Sommario della storia di Lucca, Firenze 1847, passim; M. Berengo, Nobili e mercanti nella Lucca del Cinquecento, Torino 1965, pp. 126 s.; L. Baldacci, C. M., poetessa lucchese del XVI sec., in Paragone. Letteratura, IV (1953), 42 pp. 53-67; G. Rabitti, Linee per il ritratto di C. M., in Studi e problemi di critica testuale, 1981, vol. 22, pp. 141-165; Id., La metafora e l’esistenza nella poesia di C. M., ibid., 1983, vol. 27, pp. 109-145; Id., Le lettere di C. M. tra pubblico e privato, in Per lettera. La scrittura epistolare femminile tra archivio e tipografia, secoli XV-XVII, a cura di G. Zarri, Roma 1999, pp. 209-234; D. Marcheschi, C. M. e la letteratura delle donne nei nuovi fermenti religiosi del ’500, Lucca 2008.