CHIARAMONTE (Chiaromonte), Andrea, conte di Modica
Di, nobile famiglia siciliana, nel marzo del 1391 succedette a Manfredi (III) Chiaramonte nella titolarità delle contee di Modica, di Chiaramonte, di Malta, e negli uffici di vicario generale e di ammiraglio del Regno di Trinacria.
Per quanto nella letteratura storica si ripeta generalmente che il C. fosse figlio di Manfredi, questa affermazione non sembra trovare conferma nelle fonti a noi note e, in particolare, nel testamento che lo stesso Manfredi redasse nel settembre del 1390, poco prima della sua morte. In questo documento il C. non viene mai nominato, a differenza delle cinque figlie che il nobile siciliano aveva avuto dalla seconda moglie, Eufemia Ventimiglia: il C. non pare dunque nato da lei. Se ci si basa sul testamento, tuttavia, sembrerebbe inoltre di dover anche escludere che fosse uno dei figli che Manfredi aveva avuto dalla sua prima moglie, Margherita Passaneto, e che - secondo quanto riferisce il cronista Michele da Piazza - vennero assediati nel corso dell'inverno 1360-1361 da Artale d'Alagona nel castello vecchio di Lentini, da dove furono poi tradotti prigionieri a Catania insieme con la loro madre. Di Margherita Passaneto e dei suoi figli, dopo questi avvenimenti, non sappiamo più nulla, per il silenzio delle fonti, a parte il fatto che la donna morì intorno al 1368 e che il maggiore dei suoi figli - il quale potrebbe anche identificarsi col C. - era in quegli anni ancora molto giovane. Dal testamento, comunque, risulta in ogni caso evidente che a Manfredi non doveva sopravvivere nel settembre del 1390 alcun figlio maschio: nel documento, infatti, il vecchio conte di Modica prevedeva, assegnando i suoi beni alle figlie, sia l'ipotesi della nascita di un figlio postumo, sia quella del trasferimento della sua eredità a un nipote maschio, il quale avrebbe assunto il nome e le armi dei Chiaramonte. Per queste stesse ragioni sembra quindi da escludere anche l'esistenza di un figlio illegittimo di Manfredi, nel quale potersi identificare il Chiaramonte. L'ipotesi avanzata dal Sorge, che il C. fosse un figlio naturale di Matteo Chiaramonte, il conte di Modica morto senza lasciare eredi legittimi nel 1377, non è quindi da rifiutare. Contro tali conclusioni ostano tuttavia due considerazioni: i dubbi sollevati da alcuni storici sulla autenticità del testamento di Mantredi, pervenutoci attraverso una copia cinquecentesca non priva di lacune e di interpolazioni, e soprattutto il fatto che, alla morte di Manfredi, il C. gli succedette immediatamente e senza apparenti contrasti o difficoltà sia nei domini feudali ereditari, sia negli uffici di vicario generale e di ammiraglio del Regno.
Dopo il 1380 il C. aveva già assunto una posizione di rilievo nell'ambito della famiglia e del partito chiaramontano, affiancandosi in tal modo nell'azione politica a Manfredi ormai avanti negli anni, se dalla Spagna il duca Martino di Montblanc, fratello del re Giovanni I d'Aragona, stabilì anche con lui - oltre che con il conte Manfredi - rapporti epistolari e diplomatici diretti, volti a preparare un terreno favorevole ad un suo intervento in Sicilia. Nel luglio del 1382 gli scrisse infatti una prima lettera, e nel marzo dell'anno successivo rinnovò gli approcci, promettendogli beni ed onori se si fosse schierato in suo favore. Nel giugno del 1389 il duca Martino, giunse a proporre al C., per il tramite di un suo inviato, il matrimonio con una sua nipote, figlia di Ferran Lopez de Luna. Il progetto non ebbe tuttavia ulteriori sviluppi, ed il C. sposò invece una Isabella, di cui non ci è noto il casato, che gli dette un solo figlio, Giovanni. Morto Manfredi nel marzo 1391, il C. gli succedette subito come capo della famiglia e del partito, rivestendo gli stessi suoi titoli e ricoprendo le stesse sue cariche; già il 1º aprile di quell'anno infatti il pontefice Bonifacio IX gli si rivolgeva riconoscendogli il titolo di ammiraglio del Regno di Trinacria.
La situazione sul piano internazionale si era intanto fatta più tesa e, di fronte al pericolo ormai imminente dello sbarco in Sicilia del duca Martino di Montblanc con l'appoggio del re d'Aragona, il C. strinse alleanza con Manfredi d'Alagona. L'accordo, a difesa dell'indipendenza dell'isola dall'invasione aragonese, fu steso e ratificato nel convegno che - per iniziativa forse dello stesso conte di Modica - si tenne nella chiesa di S. Pietro presso Castronovo, in territorio chiaramontano, il 10 luglio 1391; al convegno parteciparono i quattro vicari del Regno e i maggiori baroni siciliani di entrambe le "parzialità", latina e catalana. L'alleanza ricevette impulso e sostegno dal pontefice Bonifacio IX, il quale, temendo il passaggio dell'isola all'obbedienza del papa avignonese Clemente VII, verso il quale. andavano le simpatie del duca Martino, inviò in Sicilia un proprio nunzio e riconobbe ufficialmente l'avvenuta spartizione dell'isola in quattro vicariati. La compattezza del fronte baronale in funzione anti-aragonese non durò però a lungo. Le relazioni col duca Martino non vennero del resto interrotte nemmeno dal C.: sappiamo infatti che questi nell'ottobre 1391 aveva inviato alla corte di Barcellona una galea con suoi messaggeri, di cui aveva in un secondo tempo interrotto il viaggio, facendoli rientrare a Palermo, per dar loro nuove istruzioni. Di fronte ai primi cedimenti degli altri baroni, era logico che il C. rimanesse incerto se persistere nella linea dura o ammorbidire la sua posizione. Comunque, il 23 ottobre, gli ambasciatori del conte di Modica giunsero in Catalogna. Non conosciamo i risultati della missione. Quando però nel marzo del 1392 il duca di Montblanc sbarcò in armi a Favignana con il figlio Martino il Giovane e la nuora, la regina Maria figlia di re Federico IV di Trinacria, il C. fu uno dei pochi baroni che non si recarono a rendergli omaggio. Del resto Martino lo aveva già ritenuto reo di alto tradimento e colpevole, con tutti i precedenti capi della sua famiglia, di avere usurpato, tra l'altro, in quarantatré anni di guerre civili, i diritti della Corona sulle città demaniali di Palermo, Agrigento, Siracusa, Trapani, Lentini, Salemi, Marsala, Monte San Giuliano, Nicosia e Corleone, tanto che il 1º dic. 1391 aveva concesso ad altri i beni che il conte di Modica possedeva in territorio di Messina. Da Favignana, il 22 marzo 1392, il duca gli intimò di presentarsi a Mazara entro sei giorni per prestargli il dovuto servizio militare, minacciandolo altrimenti delle sanzioni previste dal diritto feudale. Iniziò allora tra le due parti uno scambio di messaggi, ed il C. reiterò la richiesta - che il duca ritenne insultante e rifiutò perciò sdegnosamente - di ricevere un salvacondotto. Intanto attraverso Salemi, Alcamo, Calatafimi, Martino si avvicinava col suo esercito a Palermo, mentre la signoria chiaramontana si andava progressivamente sgretolando. Il 5 apr. 1392 il duca di Montblanc entrò a Monreale: era ormai vicinissimo a Palermo. Il Comune gli inviò ambasciatori per negoziare la pace anche a nome del Chiaramonte. Alle trattative, che proseguivano senza esito, intervennero, in favore del grande ammiraglio, anche gli arcivescovi di Palermo e di Monreale. Il 7 aprile Martino d'Aragona pose l'assedio, per terra e per mare, alla capitale del Regno, entro le cui mura il C. si rinchiuse: il 4 aprile il duca aveva concesso a Guglielmo Raimondo Moncada la contea di Malta con altri feudi già appartenuti al Chiaramonte. Tutti i beni dell'antico vicario del Regno venivano ormai divisi tra sudditi e baroni fedeli a Martino. Ad una ad una caddero le resistenze nei territori rimasti ancora fedeli alla casa Chiaramonte, mentre pare che nella stessa Palermo il pretore stringesse segretamente accordi col duca. Il 13 maggio, infine, dopo più di un mese di strettissimo assedio, furono riprese le trattative di pace e due giorni dopo giunsero a conclusione. L'accordo stipulato il 15 maggio prevedeva fra l'altro la sottomissione e il perdono, del conte di Modica. Anche Palermo e le altre terre rimaste ancora fedeli ai Chiaramonte ottennero il perdono e la conferma di tutti i privilegi. Il 17 maggio il C. comparve dinanzi al duca Martino il Vecchio e ai sovrani di Trinacria. Il giorno dopo tornò nell'accampamento aragonese, accompagnato dall'arcivescovo di Palermo, per perorare la sua conferma nei feudi da lui sin'allora posseduti e nelle cariche ricoperte. Fu però fatto immediatamente arrestare sotto l'accusa di avere cospirato contro i principi aragonesi, organizzando una sommossa contro di loro, che sarebbe dovuta scoppiare all'ingresso dei sovrani e del duca nella capitale ed avrebbe avuto come scopo quello di togliere loro la vita. Non è dato sapere se l'accusa fosse fondata e se il C. avesse davvero preparato un tranello al duca; come non possiamo affermare se l'accusa fu soltanto un pretesto accampato da Martino il Vecchio per eliminare dalla scena politica l'avversario per lui più temibile e la cui fine aveva forse già deciso da tempo. Contemporaneamente all'arresto del C., a prevenire ogni eventuale reazione da parte chiaramontana, gli uomini del duca arrestarono in Palermo un fratello dell'ammiraglio, forse Enrico Chiaramonte (se crediamo il C. figlio di Matteo), ed altri parenti ed amici, i quali vennero tenuti prigionieri, al largo delle coste palermitane, nelle galee regie che ne bloccavano il porto. Vennero arrestati anche Manfredi d'Alagona e il figlio Giacomo. Il duca prese poi possesso della città e conferì a Bernardo Cabrera la carica di ammiraglio del Regno.
Il processo contro il C. fu rapidissimo e si concluse il 22 con la condanna a morte. Il 1º giugno 1392 la sentenza venne eseguita: secondo la tradizione popolare, il C. venne decapitato a Palermo, nella piazza antistante il grandioso palazzo di famiglia, lo Steri, di cui, dopo il saccheggio da parte delle sue truppe, Martino aveva preso possesso, stabilendovi poi la sua residenza.
Dopo la morte del marito, la vedova del C., Isabella, si chiuse in un convento di Agrigento. Il figlio Giovanni, ancora in giovanissima età, fu affidato in custodia al capitano di Catania, probabilmente per timore che in futuro si potesse fare di lui il simbolo di un eventuale tentativo di riscossa chiaramontana, e più tardi venne affidato ad alcuni parenti di sicura fedeltà alla Corona aragonese. La contea di Modica fu concessa il 5 giugno 1392 a Bernardo Cabrera, quella di Chiaramonte e Caccamo, il 22 giugno, a Galdo Queralt.
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