CANCELLIERI (de Cancellieri, de Cancellariis, Cancellarius), Chiaretto Costanzo
Nacque a Pistoia nella seconda metà del secolo XV, anche se non siamo in grado di indicare con precisione la data, da ser Raffaele della nobile famiglia dei Cancellieri, che costituiva in Pistoia una fazione politica numerosa e potente. Il più noto dei suoi antenati è Vanni, detto Focaccia, guelfo bianco, che viene ricordato con infamia da Dante fra i traditori dei propri parenti (Inf., XXXII, 63).
La notizia riportata dal Crescimbeni (p. 191), che il C. "fiorì circa il 1495" inducea collocare la data della sua nascita tra il 1455 e il 1465. Ilpadre Raffaele era connestabile dei fanti del Reggimento bolognese, come si ricava da un documento datato 15 febbr. 1473, citato dal Malagola (p. 72n. 5). Il Cosenza (p. 817)attribuisce tale carica allo stesso C., fraintendendo probabilmente il passo del Malagola. Ad ogni modo non è possibile anticipare la data di nascita del Cancellieri.
Il C. studiò accuratamente le lingue antiche e i poeti volgari e si addottorò in filosofia greca e latina presso l'università di Bologna. Nel 1491 Giovanni II Bentivoglio lo inviò come ambasciatore presso Lorenzo de' Medici, affinché intercedesse con i Faentini, che non volevano restituirgli i beni dotali della figlia Francesca, dopo le confuse vicende capitate in Faenza alla morte di Galeotto Manfredi (1488). Dell'ambasciata del C. Lorenzo fu preavvertito da una lettera di Pandolfo Collenuccio (Archivio di Stato di Firenze, Mediceo avanti il Principato, XLII, c. 68).
Nel 1496, a chiusura della Quaestio de praedicatione reali ad mentem Aristotelis et commentatoris Averrois, pubblicata a Bologna da Tiberio de' Bazalieri, professore di logica "ordinaria" presso lo Studio locale, il C. aggiungeva una breve elegia di cinque distici in cui esortava i lettori a un paziente esame del difficile problema filosofico (c. 32r). È probabile che Giovanni II Bentivoglio, ricordato nella sottoscrizione dell'opera come signore di Bologna, abbia aiutato il C. in questi anni e ne abbia facilitato l'ascesa tra i professori universitari della città.
Il C. fu amico di altri studiosi del tempo, come il filologo Urceo Codro, al quale dedicò un epigramma (sta in Sacratissimo Emanueli primo Portugalliae... Regi servulus Henricus Caiadus, raccolta di poesie latine di Enrico Caiado stampata in Bologna da Giustiniano de Rubiera forse nel 1496, c. 59). Inoltre il giurista e poeta portoghese Enrico Caiado indirizzò al C. carmi ed epigrammi in cui gli attestava la sua stima (Aggiogae et Sylvae et epigrammata Hermici, Bononiae 1501, c. 154).
Nel 1504 il C. pubblicava sette suoi componimenti (tre brevi elegie latine e quattro sonetti volgari) nelle Collettanee grece, latine e vulgari per diversi auctori moderni, volume miscellaneo di poesie raccolte da Giovanni Filoteo Achillini per onorare la morte del nipote Serafino (Bologna 1504).
Nella I elegia latina il C. svolge il concetto che Serafino non era destinato a "fruire della condizione umana" (c. Ciiv); nella II immagina che di fronte al compianto delle Muse Serafino spezzi il marmo del sepolcro e sia accolto poi da Calliope, concludendo con il gioco di parole "non obit ille... sed abit discrimine mortis"; nella III, sviluppando un tema properziano, immagina che Serafino dalla tomba dialoghi con un "viator" e gli ricordi la sua opera poetica. Sono poesie di fattura accurata ed elegante, intarsiate di reminiscenze tibulliane e ovidiane e rispettose della prosodia.
Nel primo dei sonetti volgari il C. afferma che la fama conseguita da Serafino nelle sue poesie è l'unico rimedio contro la morte (c. Kiir); nel secondo si insiste sull'immortalità della fama poetica di Serafino, nel terzo si parla del prematuro ritorno di Serafino al cielo "chè in fango mai non sta troppo fin oro" (c. Kiiv); nel quarto si afferma che la "petra" della sua tomba si diletta "dentro..: al suon de la sua cethra". È palese in questi sonetti l'influsso di modelli classici (Properzio, Ovidio). La lingua è pura e lo stile elegante, non alieno da latinismi e da movenze petrarchesche.
Durante l'annata 1504-05 il C. fu lettore di filosofia greca e latina presso l'università di Bologna (Dallari, p. 188); qui, il 28 febbr. 1505, conseguì inoltre il dottorato in medicina e filosofia, che dobbiamo intendere come una specie di libera docenza e non come una laurea (cfr. Malagola, p. 102 e n. 1). Nel 1505 pubblicava, sempre a Bologna presso Benedetto Ettore, la propria traduzione latina del Luciani Philopseudes sive apiston, dove appunto è designato come "artium et medicinae doctor in Bononiensi gymnasio philosophiam graece profitens".
L'opera è dedicata al vescovo Erasmo Vitelli, ambasciatore del re di Polonia Alessandro presso la S. Sede, e fu eseguita, come leggiamo nella prefazione (c. Air), per tacito invito di due amici del C., Leonardo "Polonus" e Angelo "Cospius", non altrimenti noti. La traduzione, che non si discosta dalle consuete versioni umanistiche letterali e piuttosto sciatte, nasce da un intento divulgativo, e il C. si scusa di non aver potuto, da filosofo qual egli è, conferirle un'eleganza di tipo oratorio; d'altronde egli antepone la "verità alla grazia stilistica" (c. Aiv). Suo scopo è fare cosa gradita al Vitelli e ottenerne l'approvazione e l'invito a stampare nuove opere (c. Aiirv). Alla traduzione segue un epigramma del C. in onore del vescovo.
Da Bologna, probabilmente alla fine del 1506, il C. passò in Polonia, come risulta da una lettera che egli stesso inviò all'editore Aldo Manuzio (inedita, cod. Ambr. lat. E 36 inf., f.1r) da Cracovia in data 23 sett. 1507.
Con l'avvento al trono di Sigismondo il Vecchio la Polonia conobbe uno dei periodi più fulgidi della sua storia culturale e attirò parecchi artisti e maestri italiani. Fra questi il C., che fu chiamato a Cracovia (certo per interessamento del vescovo Vitelli e di Leonardo "Polonus", menzionato appunto nella lettera al Manuzio) onde insegnare latino e greco presso lo Studio locale.
In questa lettera il C. si lagna con Aldo Manuzio per l'aumento di prezzo di una fornitura di libri e testi classici, e gli raccomanda di "stampare un manuale di letteratura greca" per le sue esigenze scolastiche. In seguito, ma non possiamo dire quando, il C. fece ritorno a Bologna, e lo troviamo ancora ricordato tra i lettori di filosofia e medicina presso lo Studio per l'anno 1511-12 (Dallari, p. 211). Dopo questa data se ne perdono le tracce e non si conoscono né l'epoca né la circostanza né il luogo della morte, che comunque non sarà di molto posteriore al periodo dell'ultimo incarico accademico.
Fontie Bibl.: Per la sopravvivenza dei manoscritti, cfr. nella Bibl. Ambrosiana il cod. Ambr. lat. E 36 inf., f. 1r; P. O. Kristeller, Iter Italicum, I, 1963, p. 323 (tuttavia il C. non viene menzionato fra i corrispondenti di Aldo Manuzio in E. Pastorello, L'epistolariomanuziano, Firenze 1957). Per le opere a stampa cfr. G. M. Crescimbeni, Commentari intorno alla sua Istoria della volgar poesia, II, Venezia 1730, pp. 190 s., F. S. Quadrio, Della storia e della ragione d'ogni poesia, II, Milano 1761, p. 674; C. Malagola, Della vita e delle opere di Antonio Urceo detto Codro, Bologna 1878, p. 102; Gesamtkatalog der Wiegendrucke, III, n. 3750. Notizie biografiche in I Rotuli dei dottori... dello Studio bolognese..., a cura di U. Dallari, I, Bologna 1888, pp. 188, 211; P. A. Orlandi, Notizie degli scrittori bolognesi..., Bologna 1714, p. 95;F. A. Zacharia, Bibliotheca Pisioriensis, Torino 1752, p. 178; G. Fantuzzi, Notizie degli scrittori bolognesi, III, Bologna 1783, p. 176 (con errori); S. Mazzetti, Repertorio di tutti i professori antichi e moderni della famosa università e del celebre istituto delle scienze di Bologna, Bologna 1848, p. 96, s.v. Claretti; Id., Alcune aggiunte e correzioni alle opere dell'Alidosi, del Cavazza, del Sarti, del Fantuzzi e del Tiraboschi, Bologna 1874, p. 74; C. Malagola, cit., pp. 72 s., 102, 127, 263, 266 (con alcune inesattezze); M. E. Cosenza, Dictionary of the Italian Humanists, I, Boston 1962, p. 817.