CHIAVELLI, Chiavello
Figlio di Guido, fu signore di Fabriano. Dapprima affiancò nel governo il padre e dal 1404, morto quest'ultimo in età avanzata, gli successe come capo della famiglia. Condivise ufficialmente il potere con il nipote Tomasso (morto nel 1435), figlio del fratello Nolfo quasi sicuramente non sopravvissuto a Guido. Taluno ritiene partecipi del governo altri due fratelli del C., Tornasso e Alberghetto.
Anche a causa della distruzione dell'archivio familiare, avvenuta nel 1435, molti sono gli errori genealogici, ora accertati, nei quali incorsero gli storici cinquecenteschi e che per secoli vennero ripetuti. Detti genealogisti, fatto morire Guido intorno agli anni '80 del XIV secolo, furono costretti a presumere una generazione intermedia fra quella del vecchio dinasta e il C.; a questa ascrissero Tomasso e un Alberghetto, e assegnarono la paternità del C. a quest'ultimo. In realtà il C., nei pochi documenti recuperati, soprattutto a partire dagli ultimi cento anni, figura sempre inequivocabilmente, al pari del Tomasso senior, figlio di Guido. E Alberghetto - anche se i documenti non offrono al riguardo precisazioni - potrebbe essere uno dei fratelli del Chiavelli.
La tradizione riserba un trattamento di tutto favore al C., a Tomasso e ad Alberghetto, probabilmente anche per accentuare la ignavia o la pravità degli ultimi Chiavelli soppressi nella congiura del 1435.
Tomasso di Guido, virtuosissimo, sarebbe stato costretto ad occuparsi della cosa pubblica per imposizione di popolo. Vivamente pregato ad intervenire come paciere in una controversia scoppiata nell'ambito del Comune, "per importuna violenza del popolo amorevole" non si sarebbe potuto dedicare più alle sole cure familiari come era suo vivo desiderio. Anche da signore avrebbe comunque atteso ad opere di pace, fondando fra l'altro il convento di S. Lucia Nuova per ospitarvi i domenicani e destinando nella chiesa un luogo per la sepoltura dei Chiavelli. Eresse un ospedale per i poveri e facilitò il matrimonio a molte nubili povere costituendo per esse la dote. Sarebbe morto nel 1409 e avrebbe trovato sepoltura nella chiesa da lui fondata.
Alberghetto, parimenti virtuoso, sarebbe stato l'umanista della famiglia: studioso di lettere greche e latine, ottimo oratore, raffinato bibliofilo, avrebbe fondato, o comunque incrementato in modo determinante la biblioteca familiare finita bruciata nel 1435 ad opera dei congiurati. Come uomo di governo avrebbe dedicato particolare cura all'amministrazione della giustizia. Si attribuisce a lui l'ampliamento delle mura nei pressi di porta Cervara e di porta del Piano fino a S. Nicola. Sarebbe morto nel 1415 mentre era in procinto di partire alla volta di Milano per porsi al servizio di Filippo Maria Visconti. Avrebbe avuto sepoltura in S. Lucia Nuova.
A prescindere dalle poche notizie biografiche riguardanti i fratelli del C., è da credere che gli anni a cavallo fra il XIV e il XV secolo trascorsero realmente propizi per Fabriano: molte opere pubbliche ed edifici, sorti o ristrutturati in quel tempo e giunti fino a noi, testimoniano ancora la liberalità dei Chiavelli. Lo stesso Guido, del resto, tornato al comando della Terra in modo così drammatico per la stessa, aveva attivamente cercato di rimarginare le piaghe provocate dal sacco cui era stato costretto ad abbandonarla. Prosperano le industrie della carta e dei panni di lana nelle quali gli stessi Chiavelli investono. Fabriano è piena di legisti, di medici, di cavalieri; fornisce capitani di ventura a molte potenze. Sono gli anni in cui Gentile da Fabriano fiorisce nella scuola locale per passare, poi, nei principali centri italiani della pittura.
Le prime notizie sul C. risalgono al 1393: il padre Guido e il C. sarebbero dovuti comparire a Perugia, davanti a Bonifacio IX, il 21 febbraio, per render conto, insieme ad altri nobili, della usurpazione di terre nella Marca. Lo stesso giorno il papa, preso atto della mancata comparizione, fissò una nuova udienza per il 10 marzo. Il 14 maggio di quell'anno Bonifacio IX assolse dalla scomunica, comminata per l'adesione alla obbedienza avignonese, Guido, Chiavello e il nipote Tomasso di Nolfo. Nella stessa data il papa conferiva a Guido il vicariato apostolico per Fabriano: si può ritenere che il C., all'epoca dei fatti accennati, fosse già stato associato al governo. Successivamente nel 1397 egli, insieme con sua moglie ed altri rappresentanti di famiglie signorili, intervenne alle solenni nozze di Biordo Michelotti celebrate a Perugia. Nel 1402 il C. era al servizio di Gian Galeazzo Visconti e partecipò alla grande battaglia di Casalecchio del 26 giugno di quell'anno contro Giovanni Bentivoglio. Il 28 luglio 1400 risulta redatto il testamento con cui suo zio Gualtiero lo istituì erede insieme con il monastero di S. Caterina. Nel giugno 1403, con Guido degli Ottoni di Matelica e Gentile da Varano di Camerino, il C. presenziò all'atto di transazione fra il capitolo di S. Venanzio (principale chiesa di Fabriano) e l'Ordine dei frati minori per una controversia sorta sulla corresponsione della quarta parrocchiale dovuta dalla chiesa di S. Francesco per funerali o lasciti testamentari. Il 7 sett. 1404 il C., qualificato come vicario apostolico, rimette quietanza, anche a nome del nipote Tomasso di Nolfo, a Pietro di Marco di Cicco, camerario generale, per tutti i proventi esatti nell'esercizio del suo ufficio. La quietanza assegna al C. e al nipote una partecipazione ufficiale al governo della Terra non estensibile ai fratelli sopra ricordati.
Il 3 genn. 1405 prese in affitto per un quadriennio, dal commendatario Francesco Carbone, vescovo di Sabina, l'abbazia di S. Vittore al canone di cento ducati annui. Il 24 febbr. 1407 gli olivetani di S. Caterina di Fabriano, grati al C. che precedentemente era intervenuto presso Innocenzo VII, entrarono in possesso di S. Vittore. È evidente che anche il precedente atto era stato stipulato per scopi di liberalità verso gli stessi religiosi. In una procura a vendere conferita, nel dicembre 1405, dalle monache di S. Maria di Valdisasso a ser Giacomo di Matteo è indicato come compratore dell'Eremita di Valdisasso e di alcuni appezzamenti di terreno il Chiavelli. I beni acquistati furono immediatamenti concessi in uso ai francescani dell'osservanza, allora comunemente chiamati zoccolanti. Il 3 febbr. 1412 il C. pronunciò un lodo arbitrale nella lite per questioni di dote fra Giovanna e Filippo, coniugi non meglio identificabili.
Il 6 giugno 1412, ad integrazione di precedente testamento, legò dieci libre di denari al vescovo di Camerino e stabilì che ogni anno si versassero venticinque fiorini d'oro ai frati di S. Lucia e cinque ai frati dell'Eremita; al nipote Tomasso e ad altri affidò la costruzione di gualchiere da carta che, debitamente locate, avrebbero assicurato continuità alle due elargizioni.
Il C. sarebbe morto poco dopo a Venezia, precisamente il 7 agosto 1412, mentre si trovava colà in veste di capitano al soldo della Serenissima. In punto di morte avrebbe disposto di essere seppellito all'Eremita de' zoccolanti. Secondo il Wadding, che non cita alcuna fonte, esecutrice di questa volontà sarebbe stata la moglie Lagia, che due anni dopo la morte avrebbe curato il rientro in patria delle spoglie. Altri ritengono invece che il C. scelse l'Eremita perché vi riposava già la sposa morta nel 1410. Nel 1929 i resti dei due coniugi furono trasferiti in S. Francesco di Camporegio.
Fonti e Bibl.: Si tramanda che l'archivio dei Chiavelli andò distrutto nel 1435 per un incendio appiccato dai congiurati che sterminarono la famiglia. Un nucleo di documenti, molti dei quali di scarso interesse biografico per i Chiavelli qui ricordati, sono conservati nell'Arch. stor. comun. di Fabriano, sez. Cancelleria Clavellorum, fascicoli 10. Si vedano inoltre i regesti seguenti: R. Sassi, Le pergamene dell'Arch. domen. di S. Lucia di Fabriano, in Fonti per la st. delle Marche, Ancona 1939, nn. 208-209, p. 120; Id., Documenti chiavelleschi,ibid., ibid. 1955, ad Indicem, sotto i nomi dei Chiavelli ricordati nel testo; Id., Le carte del monastero di S. Vittore delle Chiuse sul Sentino, Milano 1962, n. 683, p. 213; n. 688 p. 215. Sono inoltre da consultare sul C.: G. A. Gilio, Topica poetica, Venezia 1580, p. 77; F. Sansovino, Della origine et de' fatti delle famiglie illustri d'Italia, Vinegia 1582, ff. 197r-198v; P. Pellini, Dell'hist. di Perugia, Venezia 1664, II, p. 90; L. Wadding, Annales Minorum, IX, Romae 1734, p. 91; F. Lancellotti, Uomini ill. di Fabriano, in G. Colucci, Delle antichità picene, XVII, Fermo 1792, p. 166; G. D. Scevolini, Dell'istorie di Fabriano,ibid., pp. 103-106; G. Tiraboschi, Storia della letter. ital., VI, t. V, 2, Milano 1823, pp. 867 s.; A. Theiner, Codex diplomaticus Dominii temporalis S. Sedis, III, Rome 1862, n. XXVI, p. 76; O. Marcoaldi, Guida e statistica della città e comune di Fabriano, Fabriano 1874, pp. 51 ss.; F. Montani, Lettere su le origini di Fabriano, Fabriano 1922, ad Indicem (sotto i nomi dei Chiavelli indicati nel testo); V. Benigni, Compendioso ragguaglio delle cose più notabili di Fabriano, Tolentino 1924, p. 81; R. Sassi, I Chiavelli..., Fabriano 1934; B. Molaioli, Guida artistica di Fabriano, Fabriano 1936, passim (soprattutto il sommario stor., pp. 8 ss., redatto dal Sassi); A. Talamonti, Cronist. dei frati minori della prov. lauretana delle Marche, III, Sassoferrato 1941, pp. 102 ss., 409-13; R. Sassi, L'albero geneal. dei Chiavelli,signori di Fabriano, in Atti e memorie della Deput. di storia patria per le Marche, s. 9, XI(1956), pp. 15-26; A. Esch, Bonifaz IX. und der Kirchenstaat, Tübingen 1969, ad Indicem.