Chiesa copta
Si indica così, nell’uso corrente, la Chiesa ortodossa orientale di Alessandria, maggioritaria fra la popolazione cristiana egiziana (➔ ). Teologicamente e storicamente la dottrina caratteristica della Chiesa ortodossa orientale è quella monofisita, adottata dopo il Concilio di Calcedonia (451) dal patriarcato di Alessandria, in opposizione al credo calcedoniense sostenuto dagli imperatori bizantini. Da questo derivò il cattolicesimo melchita (➔ Chiesa melchita), che fu anche scelto da altre minoranze della comunità cristiana egiziana, nella quale sono pure presenti le Chiese greco-ortodossa e protestante. La conquista araba (641) ebbe l’effetto di sottrarre alle persecuzioni bizantine i copti monofisiti, considerati comunità protetta, seppure sottoposti a esazione fiscale. La decadenza dei regni islamici che si successero in Egitto dopo il 13° sec., se peggiorò le condizioni di vita della comunità, ne promosse il riavvicinamento alla Chiesa di Roma. Nel 19° sec., la C.c. conobbe una ripresa parallela a quella della popolazione copta, culminata sotto il patriarcato di Cirillo IV (1854-61). La C.c. è autocefala: al vertice siede il patriarca e papa di Alessandria, detto anche patriarca del seggio di S. Marco, l’evangelista considerato il fondatore della Chiesa copta. Lo affiancano una quarantina di metropoliti e vescovi membri del Santo sinodo ed altri vescovi con incarichi speciali o residenti fuori d’Egitto. La C.c. è distinta dalla C.c. ortodossa etiope e da quella eritrea, da essa derivate e a essa connesse per dottrina e per gerarchia, delle quali è stata riconosciuta l’autocefalia rispettivamente nel 1959 e nel 1993.