Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Il problema dei rapporti fra Stato e Chiesa è sempre stato centrale nella storia europea e nel XVIII secolo riveste un’importanza non minore rispetto a due o tre secoli prima. Tuttavia, già a livello di governo, proprio nel Settecento si verificano alcune innovazioni che avviano una grande trasformazione e una riduzione del ruolo della Chiesa.
La nuova forza del mondo laico e la Chiesa
Nella seconda metà del secolo nei confronti della Chiesa si impostano politiche e si adottano misure che testimoniano il consistente cammino percorso su questa strada nella prima metà del Settecento. Così lo storico italiano Franco Venturi ricorda:“la laicizzazione della cultura e della scuola, il sempre maggiore distacco delle classi colte dalle credenze e superstizioni tradizionali, la liquidazione del più importante ordine della Controriforma, la Compagnia di Gesù, le limitazioni e i controlli imposti agli altri ordini religiosi, i ripetuti tentativi di limitare e di intaccare i beni del clero, la riaffermata autonomia dei governi dalla curia papale, la sempre più ardita politica illuminista”. E su questo terreno ci si muove con sempre maggiore determinazione, da quando si avverte che la Chiesa va esaurendo la formidabile spinta che per oltre un secolo ne ha promosso la tanto vigorosa azione; grazie a quella spinta, con papa Paolo III e i suoi immediati successori, la Chiesa aveva reagito alla sfida totale e frontale del movimento protestante, intraprendendo un grandioso sforzo di rinnovamento. Ma alla fine del XVII secolo il peso diplomatico e politico di Roma nel sistema degli Stati europei e nel gioco delle grandi potenze, che aveva toccato uno dei suoi vertici con la pace di Westfalia (1648), era di gran lunga diminuito. Contemporaneamente, una profonda trasformazione morale e culturale – la cosiddetta “crisi della coscienza europea” – porta il pensiero e il sentire degli Stati europei su strade nuove. I valori civili e politici acquistano sempre più una loro piena e autonoma identità e i valori morali vengono distinti da quelli religiosi. Il mondo laico inizia così a rivestire autonomia e personalità proprie, anche maggiori di quanto si era fino ad allora rivendicato.
Infatti non è tanto la Chiesa a deperire, quanto il mondo laico a crescere in forza, potenza, ricchezza e cultura, in misura e su sentieri tali da rendere oltremodo difficile ogni sforzo di confronto con il mondo ecclesiastico e con la cultura religiosa, quali si erano venuti configurando – e anche, con il tempo, irrigidendo – nel corso della Controriforma.
Superata con successo la grande sfida del XVI secolo, la Chiesa rimane come prigioniera di quella vittoria, senza più riuscire a seguire la crescita tumultuosa e imponente dell’Europa moderna. Di fronte a essa, se non contro di essa, si profila ora un mondo laico che persegue interessi, idee e valori nuovi e si allontana sempre più dal precedente schema dei suoi rapporti con il mondo ecclesiastico, ma anche – cosa ben più importante – dal proprio passato. E questa trasformazione avviene ai vertici del potere, nelle classi dirigenti, nella vita economica e sociale come in quella politica e culturale. La Chiesa,che per oltre un secolo aveva controllato – soprattutto attraverso l’educazione impartita nei collegi dei suoi ordini religiosi – la formazione morale e il comportamento sociale delle classi dirigenti, vede così diminuire il suo potere di controllo. In parte è il rinnovamento delle classi dirigenti a introdurre nei luoghi di potere elementi nuovi che non sono legati ai vecchi sistemi educativi e formativi, in parte è la spinta innovativa della società politica e civile a ostacolare i vecchi sistemi di controllo sociale e culturale.
Il privilegio ecclesiastico e l’attacco
Nel corso del Settecento l’attacco alle posizioni della Chiesa è generale e dunque comprensibile sia nella sua genesi, sia nella forza che esso assume gradualmente.
Una demitizzazione critica della storia ecclesiastica si accompagna allora a una demonizzazione – spesso non altrettanto criticamente equilibrata – delle posizioni e delle attività della Chiesa nella vita contemporanea. La ragione è sempre più contrapposta alla fede e non come in passato su un piano di filosofia generale, quanto su quello delle constatazioni e delle esigenze legate alla trionfale affermazione della scienza moderna. Ma è soprattutto nella vita sociale che emergono questioni di scontro fondamentali. Il privilegio ecclesiastico diviene il perno preminente nel sistema dei privilegi a cui si oppone la crociata illuminista. Esso lede infatti più degli altri la sovranità degli Stati, perché non si esaurisce nella cornice della loro vita interna, come gli altri tipi di privilegi in vigore, ma rimanda a un’autorità esterna come quella romana. L’applicazione del Concilio di Trento (1545-1563) aveva aggravato il problema, tanto che nel XVII secolo in Francia si era già delineata una reazione statale. Le grandi corporazioni religiose, primi fra tutti i Gesuiti, danno poi del privilegio ecclesiastico e del suo fondamento estero una versione ancora più nociva di quella dovuta al clero secolare e rappresentano una spina nel fianco, una “quinta colonna” che l’autorità laica vuole controllare.
A risentire di tale privilegio non è solo la sovranità dello Stato nell’esercizio della sua giurisdizione, ma tutta la società civile nelle sue esigenze di autonomia e di sviluppo, e ci si chiede perché non ridurre il privilegio ecclesiastico come si era fatto con quello aristocratico. In ogni Paese una parte consistente della ricchezza (specialmente fondiaria) è nelle mani della Chiesa e si configura come una “mano morta” parassitaria, più che come un elemento attivo e dinamico, in tempi di nuova e grandiosa espansione dell’economia europea. Dai confessionali dei sovrani e degli aristocratici a quelli delle più povere parrocchie di campagna o di montagna, dalle scuole vescovili e parrocchiali a quelle degli ordini religiosi, dall’indottrinamento catechistico alla censura sulla stampa, al controllo della vita culturale e universitaria, il clero proietta l’ombra del suo dominio, dei suoi interessi, delle sue arretrate dottrine e superstizioni sulla vita politica e sociale. L’ortodossia politica impone quella religiosa sia nei Paesi cattolici sia nella grande maggioranza di quelli protestanti, e rende più grave il problema delle rivendicazioni di libertà o di autonomia che avanzano sempre più nei confronti dello stesso potere politico, anche se della convergenza fra il trono e l’altare il secondo si avvantaggia più del primo.
Il generale attacco del mondo laico contro la Chiesa porta a riforme che toccano il loro culmine tra il 1740-1750 e il 1765-1775 (e più avanti con la Rivoluzione francese) ma realizzano solo in parte la molteplicità e radicalità dei loro motivi, anche se – come giustamente dice ancora Venturi – si conseguono“risultati irreversibili, non più cancellati neppure dalla stanchezza e dalla reazione che pur finirono con il raffrenarlo [l’attacco] al di là dei primi anni Settanta”.
Il ruolo della Chiesa
Il privilegio, l’arretratezza e il parassitismo non esauriscono, però, interamente il ruolo della Chiesa e il suo rapporto con la società. Essa è infatti profondamente radicata nello spirito europeo – di cui il cristianesimo è una componente basilare e imprescindibile – e ciò è vero non solo a livello popolare, con le relative superstizioni, ma anche ai più vari livelli della società. Perciò, quando l’attacco della Chiesa finisce per varcare la frontiera dei motivi fondati che l’hanno giustificato, si ha una reazione che segna una svolta profonda nella storia morale e nella vita culturale europea, ben al di là dei movimenti reazionari, con i quali alla fine del secolo la Chiesa ritrova una notevole forza.
Del resto la Chiesa non è un blocco indifferenziato: al suo interno si agitano forze e istanze diverse e le sue attività hanno valori e fondamenti non tutti qualificabili all’interno della stigmatizzazione confessionale. Proprio nel campo culturale, ad esempio, la metodologia storica moderna è debitrice aibollandisti, ai maurini, fino a grandi autori come Ludovico Muratori, di quanto viene fatto sul versante cattolico. Né si può sottacere l’adesione del clero a molte istanze di rinnovamento del Settecento, così come non si può prescindere dal significato del lungo contrasto fra i giansenisti e i loro avversari. Molti appartenenti al clero aderiscono addirittura alla massoneria e nei giorni della Rivoluzione francese non si schierano dalla parte della conservazione e della reazione. È inoltre evidente che, individuata la Chiesa come anello debole del sistema dei privilegi contro cui si intende lottare, molte forze dirottano in quella direzione l’attacco più generale al privilegio, per allontanarlo da sé. Perfino nel campo dell’assistenza e della carità, criticato dagli illuministi con osservazioni per molti versi fra le più acute e giuste, la Chiesa esercita le sole funzioni di rilievo sociale in quel periodo e la sua presenza è difficilmente disconoscibile o sostituibile. Infine, la Chiesa rappresenta anche una tradizione di resistenza all’invadenza della politica e dello Stato che ne ha fatto la grandezza nella storia d’Europa. Non tutto di questa sua tradizione manca nel duello con l’Europa del rinnovamento e, poi, della rivoluzione. E la difesa della propria tradizione è insieme una difesa delle tradizioni sociali e civili, morali e culturali, nazionali (si può ormai cominciare a dire) e territoriali che il successivo pensiero europeo non avrebbe mancato di riconoscere.
Riportare la Chiesa nei limiti a essa propri, in quanto istituzione di libertà e non di dominio confessionale, e impedire allo Stato di assumere un potere totale e opprimente, non più bilanciato da istituzioni alternative rimane, dunque, come il grande voto di fede liberale, il grande atto di liberazione – ancora in gran parte da compiere – che il Settecento trasmette alla storia successiva: “libera Chiesa in libero Stato”, dirà Cavour.