Chilone
Lacedemone, figlio di Damageto, fiorito all'inizio del VI secolo a. Cr., fu uno dei sette sapienti. Il suo nome è presente, oltre che in Platone (Protag. 343a), che accenna alla leggenda dei sette sapienti come a un fatto già universalmente noto, in quasi tutte le fonti successive. Com'è noto, tale leggenda subì modificazioni e alterazioni, riguardanti talora gli stessi nomi, tanto che dalle liste delle varie fonti si può ricavare un elenco di ventidue sapienti, ma si conservò sostanzialmente immutata attraverso i peripatetici, Plutarco, Diogene Laerzio, Ausonio, s. Agostino, sino al Medioevo e dopo.
Di C. sappiamo ben poco. Fu giudice abilissimo e saggio in controversie assai difficili. Come agli altri sapienti, gli si attribuiscono aneddoti e sentenze, conservati soprattutto da Plutarco e Diogene Laerzio (I 68-73), la cui genuinità non potrà naturalmente esser mai provata, ma che certamente contengono un fondo di verità. Carattere precipuo delle sue sentenze era la brevità, tipicamente spartana. La notizia che lo vuole eforo nel 560 o nel 556 a. C. non ha fondamento storico; più probabile è che egli sia stato l'autore della riforma dell'istituto dell'eforato. Morì di gioia nell'apprendere la notizia della vittoria del figlio nelle gare olimpiche.
D. ricorda C. come uno dei sette sapienti in Cv III XI 4, dove, riprendendo l'episodio appena accennato alla fine del secondo trattato, illustra il significato e l'origine del termine ‛ Filosofia ', dopo aver osservato che prima di Pitagora erano chiamati li seguitatori di scienza non filosofi ma sapienti, sì come furono quelli sette savi antichissimi, i cui nomi vengono ricordati immediatamente dopo. Sua fonte è s. Agostino (Civ. XVIII 25).
Bibl. - Per le sentenze: H. Diels - W. Kranz, Fragmente der Vorsokratiker, Berlino 19345, I 63, e cfr. Niese, sub v. Chilon, in Real-Enziklopädie III (1899) col. 2278 ss.; per le fonti latine che menzionano C. cfr. I. Perin, Onomasticon totius latinitatis, sub. v.; per il periodo medievale Vincenzo Di Beauvais, Speculum histor. II 119; infine P. Renucci, D. disciple et juge du monde gréco-latin, Parigi 1954, 262 ss. (che considera il passo dantesco alla luce di s. Agostino Civ. XVIII 25).