CHIMICA BIOLOGICA (o biochimica; X, p. 110)
Nel riferirsi alla definizione che di questa disciplina - che ha acquistato corpo di scienza solo intorno al 1850 per opera di G. v. Liebig - è stata data nella voce citata, sono opportune alcune precisazioni.
La chimica biologica studia, con le proprietà chimiche degli organismi, anche quelle chimico-fisiche, giacché le une e le altre molte volte si presuppongono reciprocamente. Infatti la vita non è solo legata all'esistenza di determinate sostanze costituenti i protoplasmi o da questi elaborate (proprietà chimiche), ma anche all'esistenza di determinate proprietà chimico-fisiche (pressione osmotica, reazione, viscosità, ecc.) dei protoplasmi stessi e dei liquidi che quelli bagnano ed imbevono.
Durante tutta la vita, e, in ogni caso, entro periodi relativamente lunghi di essa, le proprietà chimiche e quelle fisico-chimiche degli organismi si mantengono pressoché immutate, anzi talune di queste proprietà sono talmente fisse da consentire solo oscillazioni estremamente piccole. Questa fissità degli organismi sarebbe facilmente comprensibile se essi fossero dei sistemi statici, sistemi cioè che non attuano scambî, né energetici, né materiali, coll'ambiente che li circonda. All'opposto gli organismi sono continuamente attraversati da un flusso energetico e materiale proveniente dal mondo esterno, e la loro invarianza dipende solo dal fatto che in essi si attua un equilibrio perfetto, che continuamente si rompe e continuamente si ripristina, tra le entrate e le uscite di quel flusso e tra i singoli processi chimici e fisico-chimici che tale flusso provoca negli organismi (metabolismo). Per il costituirsi ed il persistere di un tale equilibrio gli organismi acquistano il carattere di un'invarianza dinamica e vengono a rappresentare un tipo di sistema stazionario. La chimica biologica studia appunto la natura di tale dinamismo e le modalità con le quali i complessi processi biochimici iniziano, evolvono, si esauriscono, per poi rinnovarsi ancora, onde risulti un perfetto compenso tra loro e si mantenga quella stazionarietà che è indispensabile per la continuità della vita.
Si tenga presente che, ad eccezione delle funzioni introspettive, ogni altra funzione si può considerare, da un punto di vista generale, come una manifestazione energetica. E poiché la legge della conservazione dell'energia vige anche per gli esseri viventi, ciascuna funzione è sempre il risultato di trasformazioni di una qualche forma di energia che l'ha preceduta. Nel caso degli animali, l'energia utilizzata per lo svolgersi delle funzioni è rappresentata solo da quella chimica, introdotta con gli alimenti. Le piante invece, oltre ad utilizzare l'energia chimica proveniente dalle sostanze assorbite dalle radici, hanno anche la capacità di utilizzare l'energia raggiante del sole, ma questa energia viene subito trasformata, mediante la sintesi clorofilliana, in energia chimica sotto forma di sostanze organiche ad alto contenuto energetico. Insomma l'energia primitiva, fondamentale, per la quale possono effettuarsi le diverse funzioni degli esseri viventi, vegetali o animali, è sempre l'energia chimica. Ne consegue che lo stabilire quale materiale chimico sia necessario ad un determinato organo per reintegrare le usure somatiche e per poter espletare la sua funzione e, più ancora, lo stabilire quanti e quali trasformazioni chimiche tale materiale subisce per soddisfare a questi scopi, è il compito conclusivo, e quindi fondamentale, della chimica biologica.
I metodi impiegati dalla chimica biologica sono gli stessi della chimica e della fisica, ai quali essa deve però aggiungere quelli proprî della biologia, e ciò per la particolare natura del materiale su cui verte la ricerca biochimica, il quale, o è rappresentato da sostanze che appartengono o hanno appartenuto ad esseri viventi, o addirittura da organismi viventi o da loro parti (organi, tessuti, cellule) che il biochimico deve cercare di mantenere nelle condizioni più vicine possibili a quelle fisiologiche. Una sostanziale differenza fra la chimica e la biochimica, deriva dal fatto che mentre lo studio del fenomeno chimico, o chimico-fisico, si identifica per la chimica con il suo stesso fine, per la chimica biologica lo studio degli stessi fenomeni è semplicemente mezzo per arrivare all'interpretazione del fatto biologico.
A seconda che la chimica biologica si rivolga all'uno o all'altro regno degli esseri viventi, essa si distingue in vegetale o animale, e, a seconda che essa studî organismi sani o malati, si suddivide ulteriormente in chimica biologica normale (detta anche chimica fisiologica) e patologica. Queste suddivisioni hanno però solo valore didattico, in quanto la chimica biologica è una unità inscindibile; i risultati ottenuti dallo studio dei processi biochimici che si svolgono nei vegetali possono servire a chiarire processi che si svolgono negli animali e viceversa; lo stesso dicasi per quanto riguarda la biochimica normale e quella patologica. Tipico esempio in proposito è rappresentato dagli studî fatti sul chimismo della fermentazione alcoolica e sul chimismo della contrazione muscolare, che si sono enormemente avvantaggiati a vicenda, così da permettere il riconoscimento dei diversi anelli che costituiscono la catena dei fenomeni biochimici alla base di questi due processi.
La portata pratica e teorica degli sviluppi conseguiti dalla chimica biologica, in questi ultimi decennî, è stata enorme.
Fino a qualche decennio fa, la fisiologia e la patologia fondavano le loro conclusioni sull'osservazione rispettivamente anatomica ed anatomo-patologica, utilizzando eventualmente, nella interpretazione delle funzioni normali o patologiche, i risultati e le leggi della fisica. Le applicazioni della chimica si riducevano a sommarie ricerche sulla composizione degli organismi e degli escreti e si arrestavano quasi completamente ai limiti dell'assorbimento intestinale. Oggi la medicina in tutte le sue branche, oltre ad appoggiarsi sul vetusto e glorioso indirizzo morfologico, si fonda anche sul nuovo indirizzo biochimico, con notevole arricchimento delle sue concezioni e maggior completezza nelle sue interpretazioni.
Sulla fecondità di questo nuovo indirizzo basterà ricordare che il primo ormone è stato scoperto nel 1900 e la prima vitamina nel 1911 e già l'ormonologia e la vitaminologia costituiscono attualmente due rami vastissimi della biochimica. Il progresso di questi rami fu così rapido e le scoperte così numerose e di tale importanza, che la medicina per loro mezzo poté discriminare interi gruppi di malattie, interpretarle nella loro esatta eziologia e conseguentemente curarle con indirizzo sicuramente efficace.
Non minori progressi la chimica biologica ha compiuto nel campo dell'enzimologia, che per il suo crescente sviluppo va acquistando il carattere di disciplina a sé stante. Con lo sviluppo dell'enzimologia, lo studio del metabolismo intermedio animale o vegetale, che fino a poco tempo fa si presentava come un ostacolo quasi insormontabile, si è potuto perseguire con nuovi fruttuosi metodi ed i risultati, in tal modo ottenuti, hanno aperto alla loro volta alla fisiologia ed alla patologia vie di ricerca non ancora battute, originali concezioni e fecondi indirizzi.
Anche nel campo industriale, i progressi della biochimica hanno consentito il sorgere o lo sviluppo di molte industrie per la produzione di sostanze organiche di largo impiego (alcool, acetone, acido acetico, ecc.).
Bibl.: Periodici: Zeits. f. physiologische Chemie, Berlino (dal 1877); Biochemische Zeits., Berlino (dal 1906); Bulletin de la Soc. de Chimie biologique, Parigi (dal 1921); Exposés annuels de Biochimie médicale, Parigi (dal 1939); The Journal of Biological Chemistry, Baltimora (dal 1907); The Biochemical Journal, Cambridge (dal 1906); Annual Review of Biochemistry, Stanford (dal 1932); Japanese Journ. of Bichemistry, Tōkyō (dal 1922). Trattati: P. Rondoni, Elementi di Biochimica, Torino 1945; G. Quagliariello, Lezioni di Chimica biologica, Napoli 1946; R. Margaria, Principî di Chimica e Fisicochimica fisiologica, Milano 1945; E. Lehnartz, Einführung in die chemische Physiologie, Berlino 1944; C. Oppenheimer, Handbuch der Biochemie der Menschen und der Tiere, 14 voll., Jena 1924-36; E. Abderhalden, Lehrbuch der physiologischen Chemie, Berlino 1942; G. Klein, Handbuch der Pflanzenanalyse, Vienna 1933; F. Lieben, Geschichte der physiologischen Chemie, Lipsia 1935; A. T. Cameron, A textbook of Biochemistry, New York 1945; J. Needham, Chemical Embriology, Cambridge 1931; P. Cristol, Précis de Chimie biologique médicale, Parigi 1942; M. Florkin, Biochimie humaine, Parigi 1946; M. Polonowski, Biochemie médicale, Parigi 1947.