Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Dopo la rivoluzione chimica di Lavoisier vengono proposti numerosi metodi per calcolare i rapporti di combinazione fra sostanze. Gli scienziati si affidano a ipotesi di natura fisica, come la teoria dell’atomo, oppure a sistemi che fanno riferimento esclusivamente a esperienze chimiche. Soltanto a partire dal 1860 si comincia a trovare un accordo tra le diverse soluzioni, ma l’atomo resterà un oggetto ipotetico sino alla fine del secolo.
La ricerca dei pesi atomici
Nei primi decenni dell’Ottocento la rivoluzione chimica di Lavoisier e l’ipotesi atomica di John Dalton stimolano la creazione di numerosi metodi per calcolare il peso relativo delle particelle elementari delle sostanze.
Alcuni ricercatori si affidano ai risultati degli esperimenti fisici di Joseph-Louis Gay-Lussac sulle combinazioni fra sostanze gassose. Amedeo Avogadro propone di utilizzare l’ipotesi formulata nel 1811, secondo cui volumi uguali di gas contengono lo stesso numero di particelle. E tre anni più tardi André-Marie Ampère utilizza la stessa ipotesi, arricchendola di riflessioni sulla forma geometrica dei cristalli.
L’ipotesi di Avogadro e Ampère viene riproposta da molti scienziati, fra cui Marc-Antoine Augustin Gaudin e Alexandre Edouard Baudrimont.
È la scoperta della pila di Alessandro Volta, il 20 marzo 1800, che apre la strada a un nuovissimo settore di ricerca, l’elettrochimica. Secondo Jöns Jacob Berzelius, durante l’elettrolisi dei composti chimici alcuni elementi assumono elettricità positiva e altri elettricità negativa. Le combinazioni chimiche per Berzelius sono dunque dovute alla mutua attrazione fra elementi elettropositivi ed elementi elettronegativi, e per questo motivo egli ritiene impossibile che due particelle di uno stesso elemento, dotate di cariche elettriche dello stesso segno, siano riunite in una sola molecola. Tale possibilità è invece ammessa dall’ipotesi di Avogadro-Ampère che Berzelius, il più grande chimico dell’Ottocento, è costretto a rifiutare.
Berzelius preferisce affidarsi alle esperienze di Pierre-Louis Dulong e Alexis-Thérèse Petit, da lui stimolate. Nel 1819 Petit e Dulong stabiliscono che il prodotto del peso atomico di molti metalli per il loro calore specifico è costante. Berzelius sostiene inoltre le ricerche di Eilhard Mitscherlich, il quale scopre che molti composti hanno un’identica struttura cristallina. Tale identità può essere utilizzata per determinare il peso molecolare di sostanze delle quali si conosce la formula, ma non la forma del rispettivo cristallo.
La teoria della pila
La scoperta della pila, inoltre, è all’origine di un dibattito, destinato a protrarsi nel tempo, sulla natura della corrente elettrica. Berzelius, assieme a numerosi chimici e fisici tedeschi, ritiene che l’azione della pila risieda soltanto nel contatto fra metalli conduttori. Per Avogadro e altri celebri scienziati, fra cui Auguste de La Rive e Michael Faraday, la corrente è prodotta soprattutto dalla reazione chimica che segue la prima scarica elettrica. In questo settore, inoltre, Faraday è autore di contributi innovativi, sia nel campo della nomenclatura – suoi, per esempio, i termini catodo e anodo – sia nella formulazione di leggi sull’elettrolisi.
L’ipotesi di Prout e gli equivalenti
Un’altra ipotesi, destinata ad aprire discussioni e nuove problematiche, è quella di William Prout. Nel 1815 egli afferma che tutti i pesi atomici sono multipli interi di quelli dell’idrogeno, al quale deve essere attribuito il valore uno. La teoria di Prout riscuote numerosi consensi, ma anche dure critiche, fra cui quella di Berzelius.
Le teorie chimiche costruite sull’ipotesi atomica, pur se fondate su modelli e rappresentazioni strumentali, esprimono la convinzione che la materia possieda una struttura corpuscolare. Per ovviare a questa implicazione ontologica, aggravata dal ripetuto uso del termine atomo, alcuni chimici adottano, per il calcolo dei pesi delle particelle, sistemi che esprimono rapporti numerici di carattere puramente empirico.
È William Hyde Wollaston che introduce l’uso del termine peso equivalente al posto del termine peso atomico, intendendo per equivalente di un elemento la quantità in peso di tale elemento combinata con un grammo di idrogeno. Il metodo di Wollaston riscuote anche l’approvazione di Humphry Davy, grande elettrochimico inglese, noto per aver isolato numerose sostanze quali il sodio, il potassio, il calcio, il bario e il magnesio.
Contemporaneamente in Francia si viene ad affermare un programma di ricerca per le scienze fisiche, favorito dalla diffusione della filosofia di Auguste Comte, che rifiuta l’utilizzazione di modelli per la comprensione della realtà. Ciò determina un’ulteriore diffusione, almeno nel campo della chimica inorganica, del sistema degli equivalenti che in Francia è sostenuto da Jean-Baptiste-André Dumas.
Durante la prima metà dell’Ottocento si sviluppano perciò due indirizzi ben precisi che riguardano la determinazione delle quantità ponderabili dei corpi e dei loro rapporti. Una linea di ricerca che si attiene a esperimenti e dati di natura fisica (Avogadro, Ampère, Berzelius), e un’altra fondata esclusivamente sulle relazioni chimiche fra le sostanze (Wollaston, Dumas).
La teoria della valenza
Un contributo all’affermazione dell’ipotesi atomica sul sistema degli equivalenti è dato dagli studi sulla struttura dei composti organici di Hermann Kolbe e del suo collaboratore Edward Frankland, tra gli anni Quaranta e Cinquanta.
In questo periodo Kolbe scrive regolarmente formule di composti organici, in cui l’atomo di ossigeno si unisce costantemente con altri due elementi e l’atomo di azoto con tre. E Frankland, studiando i composti organo-metallici, dimostra che un atomo di antimonio, di arsenico, di azoto e di fosforo si combina sempre con tre o cinque radicali organici, mentre uno di mercurio, di zinco e di ossigeno si combina con due. Nel 1852, poi, Frankland afferma che il potere di combinazione di un atomo è indipendente dal carattere degli atomi che si uniscono. Il termine valenza (dal latino tardo valentia che significa “forza, vigore”) viene introdotto intorno al 1870.
L’affermazione della teoria della valenza, unitamente al crollo della teoria dualistica di Berzelius, riporta in auge l’ipotesi di Avogadro-Ampère che riscuote successo soprattutto in chimica organica. La teoria della valenza avrà inoltre importanti implicazioni sullo sviluppo delle ricerche di Mendeleev.
La rivoluzione di Cannizzaro
Nel 1858 Stanislao Cannizzaro presenta una soluzione per risolvere la complessa situazione della ricerca sui pesi molecolari delle sostanze, proponendo di superare le distinzioni esistenti tra molecola chimica e molecola fisica, i cui significati devono coincidere. Egli ritiene necessario prendere come base di ogni considerazione sui pesi atomici la legge di Avogadro e di Ampère, anche se, seguendo l’insegnamento di Avogadro, Cannizzaro continua a criticare coloro che attribuiscono all’atomo una realtà assoluta.
Cannizzaro espone le sue idee alla comunità scientifica internazionale in occasione del Congresso di Karlsruhe nel 1860.
Ed è durante il congresso che si scontra con le posizioni di Friedrich Kekulé, il quale sostiene la necessità di continuare a distinguere fra molecola fisica e molecola chimica.
Ma le proposte di Cannizzaro riscuotono anche numerosi consensi, fra cui quello di Dmitrij Ivanovic Mendeleev.
Mendeleev e la tavola periodica
Mendeleev aderisce alla proposta di Cannizzaro e si dedica alla ricerca di un metodo che possa stabilire una classificazione degli elementi chimici, fino a raggiungere risultati concreti nel 1869.
Nel frattempo simili tentativi sono portati avanti anche da John Alexander Reina Newlands, Alexandre Emile Béguyer de Chancourtois e Julius Lothar Meyer.
Per Mendeleev il punto di partenza per la costruzione di un sistema degli elementi chimici può essere soltanto la grandezza dei pesi atomici. Analizzando l’elenco dei pesi atomici in ordine crescente, egli individua così variazioni progressive delle valenze che danno luogo a periodi: il primo periodo è quello dell’idrogeno, a sé stante, poi vengono due periodi di sette elementi ciascuno, quindi Mendeleev ordina altri periodi con più di sette elementi.
La sua opera si pone in perfetta continuità con quella di Lavoisier, Avogadro e Cannizzaro, rifiutando qualsiasi speculazione sulla materia prima delle sostanze. Lo stesso Mendeleev ritiene la sua classificazione uno strumento, aperto e modificabile, per giungere a migliori e ulteriori conoscenze.
Il sistema periodico degli elementi di Mendeleev incontra inizialmente molte diffidenze.
Del resto numerosi chimici rifiutano di aderire alla legge di Avogadro e continuano a utilizzare altri metodi per il calcolo dei pesi atomici. Tuttavia, fra il 1875 e il 1886, vengono scoperti tre elementi – il gallio, lo scandio e il germanio – che vanno a collocarsi esattamente negli spazi della tavola periodica lasciati vuoti da Mendeleev. Queste scoperte destano un’enorme impressione nella comunità dei chimici e contribuiscono in maniera decisiva all’affermazione dell’opera di Mendeleev.
Dalla chimica alla fisica
La teoria atomica continua comunque a essere osteggiata da molti, chimici e fisici, e William Thomson – più noto come Lord Kelvin – definisce l’ipotesi atomica come mostruosa.
Negli ultimi decenni del secolo vengono scoperti ulteriori elementi, fra cui i cosiddetti gas nobili, che danno origine a un nuovo gruppo nel sistema periodico (gruppo zero). Fra il 1896 e il 1898 vengono inoltre individuati alcuni elementi radioattivi, soprattutto per opera di Antoine-Henri Becquerel, di Pierre Curie e Marie Sklodowska Curie. Questa scoperta insieme a quella dei raggi catodici, effettuata da William Crookes (1876), e quella dei raggi X, per opera di Wilhelm Conrad Röntgen (1895), apre la strada alla scoperta delle strutture subatomiche. L’esistenza dell’atomo (dal greco, indivisibile) è dunque confermata proprio quando ne viene dimostrata la sua divisibilità. Da questo momento la chimica cede il passo alla fisica.