CHIMICA
. Chimica analitica (X, p. 100). - Analisi potenziometrica. - Si fonda sulla misura della variazione del potenziale durante la reazione, che è praticata nelle stesse condizioni dell'analisi volumetrica. Essa sostituisce quest'ultimo metodo in tutti quei casi nei quali o non si disponga di un adatto indicatore, oppure il colore delle sostanze reagenti sovrasti quello dell'indicatore, o infine quando la presenza dell'indicatore sia incompatibile con le sostanze reagenti. Per gli scopi dell'analisi è essenziale conoscere la variazione di concentrazione di uno degli ioni interessati nella reazione e, in particolare, che sia facilmente rilevabile, dalla curva di titolazione potenziometrica, il punto equivalente o stechiometrico della reazione.
Nella figura rispettivamente in a) e b), sono riportate le curve che si ottengono titolando una soluzione 0,1N di AgNO3 con una soluzione di equivalente concentrazione di NaCl. In a), sull'asse delle ordinate, sono riportate le variazioni della concentrazione dello ione Ag.; in b) quelle del potenziale dell'elettrodo ad argento durante le successive aggiunte di cloruro di sodio. Come si vede è identico il tipo di curva nella quale il tratto verticale corriponde in a) ad una brusca variazione della concentrazione dello ione Ag+, e in b) ad un'altrettanto brusca variazione del potenziale dell'elettrodo corrispondente, come conseguenza della modificazione della concentrazione dello ione interessato nella titolazione. Il punto mediano di questo tratto verticale o quasi, corrisponde al punto equivalente della titolazione.
Curve del medesimo tipo di quelle riguardanti la precipitazione di composti poco solubili, come gli alogenuri di argento, si ottengono nelle reazioni di neutralizzazione e in quelle di ossido-riduzione. Il metodo potenziometrico viene quindi ad assumere validità generale essendo applicabile a qualunque tipo di reazione utilizzabile negli ordinarî metodi volumetrici e con le stesse limitazioni.
Per seguire potenziometricamente la variazione della concentrazione durante la titolazione è necessario costituire una pila di cui un semielemento è la soluzione dove avviene la reazione, con immerso un elettrodo che sia particolarmente sensibile alle variazioni di concentrazione dello ione interessato nella titolazione. Questo elettrodo prende il nome di elettrodo indicatore. L'altro semielemento della pila è un appropriato elettrodo di confronto che è indifferente alle variazioni di concentrazione degli ioni interessati nella reazione. La misura della f. e. m. si fa di solito col metodo di compensazione di Poggendorff bilanciando la f. e. m. sconosciuta con quella di un elemento galvanico di f. e. m. conosciuta, che è fatta variare a piacimento. Le due f. e. m. sono esattamente bilanciate quando un galvanometro, inserito nel circuito, mostra che non vi passa corrente.
Una delle principali applicazioni del metodo potenziometrico è la misura precisa del pH in base al valore della f. e. m. della pila di concentrazione di cui un semielemento è la soluzione in esame nella quale è immerso un elettrodo di platino compatto, e l'altro semielemento è l'elettrodo normale a idrogeno. Inserendo questa pila nel circuito di compensazione e misurandone la f. e. m., si calcola il pH in base alla relazione:
dove E è la f. e. m. misurata.
L'uso dell'elettrodo normale a idrogeno per la misura del pH soffre di alcune limitazioni per cui in molti casi si ricorre ad elettrodi di confronto di tipo diverso come l'elettrodo a calomelano, l'elettrodo a chinidrone, o a quello d'uso più generale, che è l'elettrodo di vetro. Per gli scopi dell'analisi il metodo potenziometrico presuppone la disponibilità di un certo numero di elettrodi adatti oltre quelli già nominati. Numerosi sono infatti gli elettrodi necessarî per rivelare, volta per volta, la variazione del potenziale al variare della concentrazione degli ioni interessati nella titolazione e cioè gli elettrodi indicatori. Per le reazioni di neutralizzazione, o ad esse assimilabili, si può adoperare l'elettrodo a chinidrone con la limitazione che il pH non superi il valore di 9, e quindi che si titolino gli acidi con le basi e non viceversa. Quello di uso più generale per questo tipo di titolazioni è l'elettrodo di antimonio. Per le reazioni di precipitazione, e in particolare per l'argentometria, si adopera l'elettrodo di argento oppure l'argento stesso ricoperto di un sottile strato di alogenuro o di solfuro di argento. Quest'ultimo serve pure nelle reazioni di precipitazione del rame o della formazione dei suoi complessi. Per la precipitazione del ferrocianuro doppio di zinco e potassio si adopera il platino come elettrodo indicatore. Il platino serve poi costantemente quale elettrodo indicatore nelle reazioni di ossido-riduzione.
Il più semplice apparecchio per la titolazione potenziometrica, a parte lo strumento di compensazione o altro dispositivo potenziometrico, consiste in un bicchiere nel quale sono immersi e mantenuti in posizione rigida i due elettrodi, e in una buretta preferibilmente graduata in 1/20 dì cc., dalla quale si sgocciola la soluzione. Un agitatore meccanico deve assicurare il continuo mescolamento del liquido onde favorire il rapido raggiungimento dell'equilibrio chimico. L'esattezza della titolazione dipende dalla precisione con la quale possono essere lette sui rispettivi strumenti di misura la quantità di soluzione titolante aggiunta volta per volta e le variazioni conseguenti del potenziale. Essa dipende altresì dalla entità delle porzioni di soluzione volta per volta aggiunte, le quali dovrebbero essere tanto più piccole quanto più ci si avvicina al punto equivalente della titolazione.
Elettrodeposizione. - Un miglioramento del metodo originario, in cui la f. e. m. viene applicata dall'esterno, risulta dalla scarica spontanea di una cella galvanica nella quale la soluzione da analizzare costituisce il catolita. Questo nuovo metodo nel quale il potenziale al catodo è automaticamente regolato, prende il nome di elettrolisi interna e quantunque richieda un'apparecchiatura più complicata di quella necessaria per il metodo ordinario, offre in compenso la possibilità di determinare piccole quantità di sostanza e di operare separazioni altrimenti difficili o addirittura impossibili.
Tra i miglioramenti tendenti ad abbreviare il tempo di elettrolisi, senza ricorrere al meccanismo di rotazione di uno degli elettrodi, è degno di menzione quello che consiste nell'avvolgere il recipiente di elettrolisi con un solenoide la cui forza magnetica sia sufficiente per provocare un movimento di rotazione dell'elettrolita la cui corrente passa attraverso gli elettrodi. In virtù di ingegnose apparecchiature il metodo di deposizione elettrolitica è stato applicato alla microanalisi sia per la esigenza di operare su quantità estremamente limitate di sostanza, sia per ricercare e dosare tracce di metalli in volumi proporzionalmente enormi di soluzioni.
Degno di nota ancora è l'impiego, nelle analisi per elettrodeposizione, di elettrodi atti ad impedire la codeposizione di metalli relativamente vicini nella scala delle tensioni.
Analisi per via colorimetrica (Colorimetria). - Si basa sulla variazione del colore di un sistema, che in generale è una soluzione al variare della sua concentrazione. Il colore è di solito dovuto, o alla presenza di uno ione colorato, o di un composto non ionizzato, ottenuti mediante appropriate reazioni. Non tutte le reazioni colorate si prestano a misure quantitative colorimetriche e non di rado, anche quelle che sono utilizzabili a questo scopo, lo sono solo in un determinato e più o meno ampio intervallo di concentrazioni.
Ciò si deve alla condizione che la variazione del colore in funzione della concentrazione, per un determinato spessore del liquido colorato, obbedisca alla legge di Beer-Lambert.:
dove It e Io sono rispettivamente le intensità della luce trasmessa e di quella incidente, s lo strato dello spessore assorbente, c la concentrazione della soluzione e K il coefficiente di estinzione che varia da sostanza a sostanza. Il coefficiente di estinzione viene di solito definito come il reciproco dello spessore (s in cm.) necessario per abbassare fino ad 1/10 l'intensità della luce incidente. Il suo valore dipende dal modo di esprimere le concentrazioni; se c esprime queste in molecole per litro, K diventa il coefficiente molecolare di estinzione che è uguale al valore reciproco dello spessore di una soluzione molare (c = l), capace di ridurre ad 1/10 l'intensità della luce incidente. In pratica due soluzioni di un medesimo composto colorato delle quali una costituisce il campione e la cui concentrazione c1 è conosciuta, vengono introdotte in un apparecchio di comparazione a vaschette e lo spessore della soluzione c2, di concentrazione sconosciuta, viene aggiustato in modo da ottenere lo stesso colore, ciò che corrisponde alla medesima intensità della luce trasmessa dai due strati colorati. In queste condizioni, ammessa la validità della legge di BeerLambert, sussisterà la relazione: s1 c1 = s2 c2 dalla quale essendo noto c1 e potendosi misurare sullo strumento i valori di s1 e s2, si ricava il valore di c2.
La legge di Beer-Lambert, è di solito verificata per un intervallo bastantemente ampio di concentrazioni se la struttura dello ione colorato o del composto non ionizzato non subiscono modificazioni al variare della concentrazione. Questo è il caso degli ioni Mn O4- e Cr O4-- e anche di molti coloranti e composti organici colorati. Piccole concentrazioni di elettroliti non influiscono sensibilmente sull'assorbimento luminoso, ma forti concentrazioni provocano spesso uno spostamento nel massimo di assorbimento col conseguente cambiamento del coefficiente di estinzione. Se lo ione o il composto colorato si trovano in equilibrio coi prodotti di ulteriore ionizzazione o di altra forma di scissione, in generale l'equilibrio si sposta al variare della concentrazione e la legge di Beer-Lambert non è più rispettata. In questi casi l'analisi colorimetrica è condizionata alla esplorazione di un campo sufficientemente ampio di concentrazioni per la verifica della proporzionalità tra concentrazione e spessore per una determinata intensità della luce assorbita. Si costruisce cioè una curva di taratura riportando sulle ordinate i valori letti sulla scala del colorimetro e in ascisse i valori delle concentrazioni.
La comparazione del colore per osservazione visiva in luce bianca, sia col metodo della serie campione entro tubi cilindrici (Tubi di Nessler), sia coi vasi comparatori tipo Duboscq, nei quali si arriva all'uguaglianza del colore delle due vaschette accoppiate aggiustando lo spessore dei due strati liquidi, ha una accuratezza limitata per due ragioni: sia perché l'occhio umano ha una capacità limitata ad apprezzare l'uguaglianza di due colori, capacità che è poi diversa da persona a persona, sia per l'impiego stesso di una luce composta. Un sensibile miglioramento si ottiene se non proprio con l'impiego di luce monocromatica, come richiesto per misure spettrofotometriche, con una radiazione filtrata della quale sia ridotto l'intervallo di lunghezza d'onda. All'inconveniente della soggettività dell'apprezzamento visivo si rimedia coi comparatori fotoelettrici nei quali una cella fotoelettrica raccoglie il fascio di luce emergente dalla vaschetta contenente la soluzione colorata. Per l'uniformità dei responsi di questi strumenti, è essenziale la costanza dell'intensità della sorgente luminosa durante il corso delle esperienze e, nello stesso tempo, della sensibilità della cella. Allo scopo di porre i risultati al riparo dalle fluttuazioni di intensità luminosa della sorgente e della sensibilità della cella fotoelettrica (effetto di fatica), gli strumenti perfezionati sono muniti di due celle fotoelettriche che raccolgono la luce dalla medesima sorgente: una quella emergente dal solvente puro, l'altra quella emergente dalla soluzione colorata. Le correnti che si originano nelle due celle, la cui differenza corrisponde alla intensità luminosa assorbita, sono bilanciate con un circuito di compensazione in cui è inserito un galvanometro.
Nefelometria e turbidimetria. - I fenomeni che accompagnano il passaggio della luce attraverso i sistemi dispersi (soluzioni colloidali, sospensioni), sono in stretta relazione con la materia dispersa nel mezzo. Tuttavia le misure che scaturiscono da questa relazione possono essere fatte con tre metodi diversi: 1) Misurando la diminuzione della intensità della luce emergente come effetto della dispersione dovuta al mezzo torbido (Turbidimetria); 2) Misurando l'intensità della luce riflessa (per confronto con appropriati campioni di riferimento) dalle particelle sospese nel mezzo torbido (Nefelometria); 3) In base ad una accurata misura del rapporto tra l'intensità della luce dispersa e quella della luce incidente. Dal punto di vista dell'analisi questi metodi sono applicabili a tutte quelle reazioni nelle quali si possa ottenere una dispersione uniforme e stabile entro i limiti di tempo necessario per la misura. Tuttavia le misure possono essere influenzate dal modo e dal tempo coi quali vengono mescolati il liquido in esame e il reattivo, dal rapporto tra le loro concentrazioni, dalla temperatura, dal grado di stabilità del sistema disperso, dall'effetto della presenza di sostanze estranee alla reazione: elettroliti e non-elettroliti.
Questi metodi sono particolarmente utili per la determinazione di piccole quantità di sostanze. Nel caso di precipitati di colore bianco il metodo turbidimetrico non può essere impiegato dovendosi preferibilmente misurare l'intensità della luce riflessa.
Nel campo dell'analisi inorganica vengono comunemente determinate con questi metodi piccole quantità di Ba++ o di SO4--, sotto forma di sospensioni di BaSO4 e quelle di Cl-, Br-, J-, CNS- nei loro composti con Ag+. Quale esempio di applicazione all'analisi di composti organici si può citare la determinazione di piccole quantità di alcaloidi, come la nicotina, per precipitazione con acido silico-tungstico.
I comuni apparecchi per misure colorimetriche possono essere facilmente adattati per la turbidimetria e la nefelometria; nel colorimetro di Duboscq le usuali vaschette o i tubi cilindrici sono sostituiti con tubi di vetro aventi l'estremità opaca.
Analisi fluorometrica (Fluorescenza). - L'idea di utilizzare per scopi analitici il colore di fluorescenza risale al Lehmann (1910) e da allora quasi tutte le sostanze naturali e artificiali sono state esaminate e classificate per il loro comportamento in luce ultravioletta. A ciò ha contribuito il rapido perfezionamento della lampada a vapori di mercurio che, munita di filtro di Wood, costituisce un mezzo semplice per ottenere una radiazione u. v. arricchita.
In molti casi la semplice esposizione della sostanza alla luce u. v. permette di riconoscerla dal colore caratteristico di fluorescenza o di differenziarla da altre per confronto con un campione genuino (fibre tessili, olî e grassi, olî minerali, pigmenti, ecc.). Spesso il colore di fluorescenza è indice o meno di raffinazione di certi prodotti nei quali questo fenomeno dipende da alcune impurezze contenute. La comparsa di una fluorescenza caratteristica, dopo l'aggiunta di un determinato reattivo, equivale ad una reazione chimica di riconoscimento talvolta anche assai sensibile. In presenza di alluminio, per es., la morina che è il colorante (pentaidrossiflavone) estratto dal legno fustico, produce una fluorescenza verde che consente di scoprire con un saggio alla tocca su carta da filtro e in luce u. v., 0,005 γ (γ = 1/1000 di mgr.) di alluminio contenuto in una goccia di soluzione. Utili indicazioni si possono ricavare, profittando del fenomeno di capillarità, immergendo una strisciuola di carta bibula in una soluzione e osservandola in luce u. v., dalle zone colorate corrispondenti alla distribuzione selettiva delle varie sostanze disciolte (analisi capillare di fluorescenza). Come pure l'esposizione in luce u. v. della colonna cromatografica (v. cromatografia, in questa App.), consente di distinguere varie sostanze separatesi per adsorbimento selettivo e che non sarebbero riconoscibili in luce ordinaria.
Altrettanto utile si dimostra l'uso della luce u. v. per indagini e ricerche di polizia scientifica: rilievi di impronte digitali, di inchiostri invisibili, di falsi su documenti. È inoltre particolarmente utile per scoprire restauri su opere d'arte di pittura dimostrabili altresì mediante la documentazione fotografica.
Per gli scopi dell'analisi quantitativa si ricorre alla comparazione fotometrica del colore di fluorescenza, fornito dalla sostanza in una determinata reazione, con quello ottenuto da una soluzione campione trattata nelle stesse condizioni (determinazione della vitamina B1, reazione del tiocromo). Più spesso l'analisi quantitativa richiede misure spettrofluorometriche dell'intensità delle bande di assorbimento nel campo delle lunghezze d'onda inferiori a 4000 Å. Serve a questo scopo uno spettrografo con l'apparato ottico in quarzo.
Quali mezzi ausiliarî per l'analisi volumetrica si usano talvolta gli indicatori di fluorescenza (v. indicatori, in questa App.).
Analisi microchimica (XXIII, p. 213). - Lo sviluppo dei metodi della microanalisi è legato ai nomi di F. Emich per l'analisi inorganica e di F. Pregls per l'analisi organica. In entrambi i campi la necessità, e talvolta anche l'opportunità di lavorare su quantità di sostanza dell'ordine di qualche mgr., hanno obbligato a modificare la tecnica tradizionale e ad adattarvi gli strumenti appropriati. In generale gli apparecchi sono stati ridotti alle proporzioni della scala desiderata e la loro sensibilità, come nel caso della microbilancia, è stata conseguentemente accresciuta in proporzione.
Poiché i criterî dell'analisi tanto per via gravimetrica, quanto per via volumetrica, sono almeno fino al momento presente insostituibili, le operazioni meccaniche sono sostanzialmente comuni alla scala ordinaria e a quella ridotta.
Ma la diminuzione della quantità di sostanza sulla quale si opera, oltre alla proporzionale riduzione delle dimensioni dei varî strumenti e apparecchi, ha obbligato ad escogitare un gran numero di accorgimenti, talvolta anche assai ingegnosi, per eseguire senza perdite la filtrazione, il lavaggio, l'essiccamento dei precipitati, oppure l'evaporazione, la titolazione, l'elettrolisi di soluzioni. Le esigenze pratiche hanno dimostrato altresì che in alcuni casi torna comodo attenersi ad un criterio intermedio che risulta dal compromesso tra la scala ordinaria e quella micro e perciò detta semi-micro. Quantunque non si possano stabilire delle linee nette di demarcazione tra i differenti criterî della scala, questi sono di solito riferiti alla quantità di sostanza sulla quale si opera nell'analisi quantitativa e qualitativa. Per l'analisi quantitativa nella scala ordinaria non si scende, di regola, al di sotto di gr. 0,2 di sostanza solida o di 10 cc. di soluzione per la volumetria. Nella scala intermedia (semi-micro) non s'impiegano quantità inferiori a 1 cgr. di sostanza solida e ad 1 cc. di soluzione. Nella scala inferiore (micro) si scende addirittura al mgr. e alle sue frazioni. Analogo criterio vige per l'analisi qualitativa, nel qual campo i metodi di ricerca su scala ridotta si vanno sempre più affermando specialmente in virtù della tecnica microscopica e di quella cosiddetta alla tocca. Nel primo caso una goccia o frazione di goccia della soluzione da esaminare viene mescolata con la quantità equivalente del reattivo sul vetrino portaoggetti e l'osservazione microscopica consente di espletare l'indagine esaminando il colore, i caratteri morfologici, cristallografici, ottici del precipitato formatosi nella reazione.
Nella tecnica alla tocca si opera su una o due gocce di soluzione o su qualche mgr. di sostanza solida. Le reazioni si fanno su carta da filtro di qualità diversa a seconda che si debba formare una macchia colorata, oppure si vogliano utilizzare gli effetti di capillarità per la formazione di anelli colorati intorno alla zona di reazione. Talvolta si opera nelle cavità di un piattello di porcellana o in vetrino da orologio. Per le leghe metalliche si opera direttamente sulla loro superficie provocandone la solubilizzazione con una goccia di un reattivo di attacco appropriato e procedendo poi ai singoli saggi di riconoscimento.
Analisi polarografica: v. polarografia, in questa App. Analisi cromatografica: v. cromatografia, in questa App. Analisi per via spettroscopica: v. spettroscopia, Applicazioni analitiche, in questa App.
Bibl.: G. Canneri, Nozioni di Chimica analitica, Bologna 1947. Analisi potenziometrica: W. Böttger, Leitfähigkeit Elektroanalyse und Polarographie, Lipsia 1936; W. Hiltner, Ausführung potentiometrischer Analysen, Berlino 1935; J. M. Kolthoff e N. H. Furman, Potentiometric titrations, New York 1931. Colorimetria: B. Lange, Kolorimetrische Analyse, Berlino 1941. Nefelometria e turbidimetria: F. V. Hahn, Dispersoidanalyse, Dresda 1928. Analisi per fluorescenza: J. A. Radley e J. Grant, Fluorescence Analysis in u. v. Light, Londra 1933; G. Bernheim e M. Guyot, Traité d'Analyses par les Rayons u. violets filtrés, Parigi 1932. Analisi microchimica: F. Pregls, Quantitative organic microanalysis, Londra 1937; F. Hecht e J. Donau, Anorganische Mikrogewichtanalyse, Vienna 1940; J. Mika, Die exakten Methoden der Mikromassanalyse, Stoccarda 1939; F. Feigl, Tüpfelreaktionen, Lipsia 1935.
Chimica bromatologica.
Ramo della chimica applicata che studia le sostanze alimentari, per stabilirne la composizione, la genuinità, lo stato di conservazione, gli inquinamenti, le sofisticazioni. Per la composizione degli alimenti v. alimentazione, II, p. 498.
Il concetto di genuinità degli alimenti è in sostanza convenzionale: nella preparazione e conservazione degli alimenti possono essere effettuati diversi trattamenti ed aggiunte di altre sostanze, che ne modificano più o meno profondamente la composizione. Il prodotto che ne risulta viene considerato genuino se i trattamenti e le aggiunte sono previsti e consentiti dalla legge.
Ad esempio, è genuino il vino cui siano stati aggiunti, durante la vinificazione, anidride solforosa o solfiti, solfato di calcio, acido tartarico, enocianina, perché tali aggiunte e trattamenti sono consentiti dalla legge, e per lo stesso motivo è considerato genuino il burro cui sia stato aggiunto, come agente di conservazione, non più del 2% di borato di sodio. Debbono essere invece considerati non genuini i vini colorati artificialmente o dolcificati con saccarina, perché la legge proibisce l'aggiunta al vino di coloranti ed edulcoranti artificiali.
Le sofisticazioni e le adulterazioni, intenzionali ed eseguite allo scopo di trarne un illecito guadagno, consistono nell'aggiungere agli alimenti sostanze estranee alla loro normale composizione onde mascherarne i difetti, migliorarne artificialmente i caratteri organolettici, aumentarne il volume ed il peso. Secondo alcuni autori, i due termini sofisticazione e adulterazione sono sinonimi; secondo altri, invece, la sofisticazione ha il solo scopo di migliorare l'aspetto del prodotto, mentre l'adulterazione ne altera profondamente la composizione e quindi il valore alimentare. Da questo punto di vista è sofisticazione la colorazione artificiale delle conserve o delle paste alimentari, adulterazione l'annacquamento del vino o del latte.
In chimica bromatologica si tende ad impiegare procedimenti analitici per quanto possibile semplici e rapidi, tali da consentire il controllo continuo e sistematico degli alimenti e delle bevande che vengono posti in commercio, allo scopo di accertarne la buona qualità e la rispondenza ai requisiti fissati dalla legge. Come del resto in tutti i campi della chimica analitica, si va diffondendo sempre più l'applicazione dei metodi fisici di analisi: microscopici, rifrattometrici, polarimetrici, colorimetrici elettrolitici, conduttometrici, potenziometrici.
Particolare importanza riveste la determinazione dell'acqua o, reciprocamente, del residuo secco, cioè della percentuale di prodotto anidro. perché con tale dato sono in relazione il valore alimentare e quello commerciale come pure la conservabilità dell'alimento. La determinazione si esegue frequentemente stabilendo la perdita di peso che subisce il prodotto tenuto per un tempo conveniente in stufa a 100°; in altri casi, si sottopone a distillazione il prodotto addizionato di un solvente ad alto punto di ebollizione e non miscibile con acqua (di solito, xilolo): l'acqua distilla insieme con il solvente, e riesce poi facile misurare il volume di acqua presente nel distillato.
La determinazione delle sostanze azotate (protidi, amminoacidi, basi organiche, ecc.) si esegue con il metodo Kjeldahl: si determina in tal modo l'azoto totale dell'alimento, ma con opportuni procedimenti riesce possibile determinare separatamente l'azoto contenuto nel prodotto nelle sue diverse forme (proteico, ammidico, ammoniacale, ecc.). La determinazione delle sostanze grasse è fondata sulla facile solubilità dei grassi in alcuni solventi organici come l'etere etilico, il cloroformio, l'etere di petrolio; l'operazione (estrazione) si esegue comunemente in apparecchio estrattore Soxhlet. Nell'analisi dei grassi e degli olî si determinano inoltre, per stabilire la genuinità dei prodotti e svelare le eventuali frodi, le costanti fisiche (peso specifico, punto di fusione o di solidificazione, indice di rifrazione) e gli indici analitici (di acidità, di saponificazione, di iodio, ecc.) e si eseguono le reazioni cromatiche caratteristiche dei diversi olî.
Gli zuccheri si determinano con procedimenti fisici (densimetrico, rifrattometrico, polarimetrico) ovvero con metodi chimici, basati sulla misura della loro azione riducente verso soluzioni ossidanti di titolo noto (liquido di Fehling, ferricianuro di potassio in ambiente alcalino, ecc.). Le destrine e l'amido possono determinarsi dosando gli zuccheri che si formano nella loro idrolisi per mezzo di acidi; la cellulosa si determina per pesata diretta, dopo averla isolata solubilizzando ed eliminando con opportuni procedimenti idrolitici gli altri componenti dell'alimento. Sotto la denominazione di sostanze estrattive non azotate si comprendono gli zuccheri, le destrine e l'amido, come pure le gomme, le mucillagini, gli acidi organici, ecc.
Le sostanze minerali si ricercano, ed eventualmente si determinano, con i procedimenti normali della chimica analitica, nelle ceneri, cioè nel residuo che si ottiene per prolungato arroventamento all'aria del prodotto. In altri casi, in particolar modo quando nell'incenerimento del prodotto potrebbe verificarsi una perdita dell'elemento che deve essere ricercato, si segue il procedimento di mineralizzazione per via umida, basato sulla distruzione della materia organica per trattamento con un adatto ossidante (acido nitrico fumante, clorato potassico ed acido cloridrico, ecc.).
Nell'analisi degli alimenti e delle bevande notevole importanza rivestono le ricerche degli antisettici o antifermentativi, dei coloranti artificiali e degli edulcoranti sintetici. Gli antifermentativi (anidride solforosa e solfiti, acido borico e borati, fluoruri, formalina, urotropina, acido benzoico, acido salicilico, ecc.) sono consentiti entro determinati limiti per alcuni alimenti (ad es., l'anidride solforosa per i vini, il borato sodico per il burro), proibiti invece per altri; così pure è consentita in alcuni casi (marmellate, sciroppi di frutta, ecc.) la colorazione artificiale, purché sia dichiarata e venga effettuata con sostanze coloranti, naturali o artificiali, riconosciute non nocive. È proibita in ogni caso, invece, l'aggiunta di edulcoranti sintetici (saccarina, dulcina).
Bibl.: A, Bömer, A. Juckenack, J. Tillmans, Handbuch der Lebensmittelchemie, Berlino 1933; E. Sernagiotto, La bromatologia, Torino 1936; G. Issoglio, La chimica degli alimenti, Torino 1927; A. Beythien, Laboratoriusmbuch für den Lebensmittelchemiker, Dresda e Lipsia 1942; G. Buogo, Trattato di chimica applicata all'igiene, Bari 1945.