chiostra
Il termine, derivato dal latino claustra, plurale di claustrum (cfr. claudere), compare spesso all'epoca di D., e in D. tre volte, sempre in rima.
In due casi, l'uso di c. appare ancora legato all'etimologia, in quanto il sostantivo vale " cerchio ", " bolgia infernale ", ed è chiaro che il traslato è reso possibile dal fatto che le bolge dantesche sono luoghi chiusi di forma circolare. In If XXIX 40 Quando noi fummo sor l'ultima chiostra / di Malebolge, sì che i suoi conversi / potean parere a la veduta nostra, i commentatori, anche i più antichi, sono incerti se l'idea dei dannati come conversi porti all'idea della bolgia vista come c., o non piuttosto il contrario; della prima opinione sembrano essere, ad esempio, l'Ottimo e Benvenuto; della seconda, che si rivela la più giusta, sono il Buti, il Daniello, e fra i più moderni, il Castelvetro e il Venturi. Fra i contemporanei, il Grabher è quello che più si sofferma sul passo: " Dante qui non fa dell'ironia, ma certo c'è un senso amaro, triste, poiché i peccatori sono chiusi per forza là dentro, fatti conversi di quel chiostro infernale " (e si veda anche la puntuale nota di G. Mariani, nella sua ‛ lectura ' del canto [1962], in Lect. Scaligera I 1042 n. 2). Riassumendo, D. dice chiostra perché la bolgia è un luogo ‛ chiuso ', ma siccome c. significa anche comunemente " chiostro di convento ", i peccatori che vi sono ‛ rinchiusi ' possono essere detti conversi (v. anche CLAUSTRO).
L'uso di questo passo chiarisce quello di Pg VII 21 (dimmi se vien d'inferno, e di qual chiostra) in cui c. sembra avere assunto il più comprensivo significato di " cerchio ", " girone ", e non soltanto " bolgia " di Malebolge. La terza occorrenza (Pd III 107) ci presenta il termine nel senso di " chiostro di convento ", o meglio, per sineddoche, di " convento ", luogo che Piccarda non può fare a meno di chiamare dolce: " Et vere claustrum dulce est et quasi umbra paradisi in mundo, ubi saeculum est amarum et infernus viventium " (Benvenuto). V. anche CHIOSTRO.