CHIOSTRO
Con il termine c. si indica nell'architettura monastica e in quella canonicale lo spazio a corte che si trova chiuso tra l'edificio di culto e l'organismo residenziale, fornito di gallerie aperte a giorno che corrono lungo il perimetro dell'impianto, di regola quadrangolare. Gli ambulacri, quasi sempre addossati ai corpi di fabbrica, sono spesso provvisti di accessi allo spazio interno adibito a giardino - dove è posizionato un pozzo oppure una fontana - e servono da collegamento riparato tra le diverse unità edilizie dell'insediamento. L'isolamento fisico del c. è determinato dalla disposizione della clausura, costituendo di fatto il luogo deputato alla preghiera e alla meditazione per i singoli appartenenti alla comunità religiosa. In ambito cluniacense si correda, con prerogative escatologiche, di specifici programmi decorativi (scene riprese dal Vecchio e Nuovo Testamento e dai bestiari, iconografie esaltanti la regola, ma anche episodi mitologici e profani), disposti di norma sui capitelli e sulle pareti interne dei sostegni angolari, secondo uno schema che implica anche una correlazione simbolica con le diverse strutture costituenti l'organismo insediativo (chiesa, sagrestia, aula capitolare, refettorio, dormitorio, cellarium). Esso talvolta si arricchisce di appendici architettoniche come il lavabo all'entrata del refettorio (come nei monasteri cistercensi e premostratensi) e cappelle private (come nel duomo di Ratisbona); più di rado il c. è sopraelevato da un giro supplementare di gallerie al livello del dormitorio. Nei prestigiosi impianti claustrali eretti a lato delle cattedrali gotiche gli ambulacri non sempre sono circondati da corpi edilizi residenziali, conservando l'innesto della sola aula capitolare (Inghilterra).P.F. PistilliIl termine lat. claustra (chiavistello, impedimento, barriera, gabbia, baluardo, chiave, limite) divenne, nella letteratura monastica dell'Alto Medioevo (Benedetto da Norcia, Isidoro di Siviglia, Beda il Venerabile), claustrum per indicare il monastero o l'area di clausura. Dagli inizi del sec. 9° accanto a claustrum, che indicava anche la corte del monastero o il c. vero e proprio (ma in quest'ultimo caso con l'ausilio di espressioni esplicative), si trova anche porticus, non sempre però con lo stesso significato. Nel Commento alla Regola di Ildemaro, per es., l'espressione claustra monasterii indica la corte del monastero ("claustra enim dixit de illa curtina ubi monachi sunt"), mentre per porticus si intende la vera e propria galleria del c., "quae est inter porticum et porticum".Dal sec. 12°, accanto all'originario significato di monastero, ambito di clausura e corte del monastero, il termine claustrum si impose a indicare il c. vero e proprio (Bousquet, 1976).Per una storia degli studi relativi al c. devono essere innanzitutto citati i ponderosi contributi di Lenoir (1852-1856) e di Viollet-le-Duc (1858). Il primo, che si occupò anche dei monasteri orientali, attenendosi a un concetto non definito di c., ne postulò l'esistenza fin dalle origini dell'architettura monastica: il secondo invece, che nella sua descrizione sistematica aveva escluso i monasteri orientali, individuò nel c. occidentale una creazione di epoca medievale. Grazie alle pubblicazioni di Vogüé (1865) sui monasteri della Siria, la teoria dell'origine orientale acquistò credito, rafforzandosi anche in seguito agli studi di Butler (1898-1904) e Fendel (1927). Caumont (1868⁵), proponendo l'analogia tra l'impianto a quattro ali e i maggiori complessi della villa rustica, creò la c.d. teoria della villa, di recente sostenuta anche da Horn (Horn, Born, 1979).Alla fine del sec. 19° Schlosser (1889) propose un'ulteriore ipotesi sull'esistenza di un c. già per il monastero di S. Benedetto a Montecassino; attraverso l'interpretazione delle fonti rafforzò, come per es. nel caso di Gemeticum (od. Jumièges), questa teoria sulla precoce comparsa dei chiostri. Il modello del c. andava cercato - a parere di Schlosser - negli atri dei monasteri urbani di epoca paleocristiana. Quest'ipotesi determinò il formarsi di due ulteriori teorie: quella detta dell'atrio e quella della datazione precoce. Anteriormente alla prima guerra mondiale una sintesi particolareggiata degli studi sul c. venne fornita da Leclercq (1914).Un approccio del tutto nuovo all'argomento è rappresentato dalla dissertazione di Dehlinger (1936), che mosse dalla convinzione che l'origine del c. era da vedersi nell'impianto chiuso a quattro ali, detto anche schema benedettino. Poiché in nessun altro progetto occidentale forma architettonica e forma di vita appaiono così strettamente connesse come nell'ambito monastico, l'ideatore delle forme architettoniche si sarebbe ispirato alle norme che regolavano la vita del monastero. Tale nuova prospettiva di lettura, tuttavia, non poté portare a un risultato oggettivamente accettabile, innanzitutto perché desunta dalla teoria della datazione precoce di Schlosser, in secondo luogo perché la Regula sancti Benedicti non tramanda alcun programma edilizio, né alcuno schema costruttivo, in ultimo perché la ricerca sulla storia del movimento benedettino, in particolar modo quella relativa al tempo della Regula mixta, ha potuto fornire indicazioni più utili soltanto a partire dagli anni Cinquanta (Hallinger, 1954; Semmler, 1963; Prinz, 1965). Soltanto Braunfels (1969) diede una svolta decisiva alla problematica senza peraltro addurre nuove prove. Per gli studi sul c. solo di recente si è giunti a un risultato che può considerarsi temporaneamente conclusivo (Legler, 1989).R. LeglerSulla base dei dati attestati archeologicamente oggi a disposizione non è documentabile alcun c. appartenente agli esordi dell'architettura monastica in Occidente. Della prima fondazione nella Gallia, quella voluta da s. Martino di Tours a Ligugé (350 ca.), è nota solo la piccola chiesa in pietra a navata unica con abside, ammesso che essa vada effettivamente datata a epoca così alta, ma degli edifici di abitazione non si conosce nulla. A giudicare dal resoconto di Sulpicio Severo, del 400 ca. (Vita di Martino, a cura di J.W. Smit, Milano 1976, pp. 28-30), il monastero fondato da s. Martino a Tours non doveva avere un aspetto diverso da quello delle prime sedi cenobitiche di Pacomio nel deserto egiziano, di Saint-Honorat sull'isola di Lérins di fronte alla costa meridionale della Francia o dei monasteri irlandesi, dunque del tutto improntato alla tradizione romano-orientale-bizantina, rappresentata da strutture d'insediamento monastico non basate su regole precise, come ancora esistono sul monte Athos.Non è noto né quando né perché tali insediamenti indipendenti e non vincolati a una tipologia stabilita vennero sostituiti da impianti regolari con clausura e chiostro. A tale proposito non sembra potersi ancora ipotizzare un intervento di s. Benedetto (480-547 ca.): egli certo mitigò le esasperate forme d'ascesi degli orientali e degli Irlandesi e visse con i suoi monaci in una casa in cui l'ambiente per la preghiera si trovava accanto a quello per dormire e a entrambi si annettevano i restanti ambienti - dunque vi si delineava già la disposizione degli spazi claustrali -, tuttavia nelle fonti relative non si trova ancora cenno della presenza di un chiostro.Con ogni probabilità il c., come spesso si è supposto, ha avuto origine in regioni in cui la caduta del dominio romano aveva lasciato ville abbandonate che i nuovi signori territoriali concessero alle comunità monastiche, oppure che furono occupate da queste ultime di propria iniziativa. Nell'insediarsi in una villa suburbana abbandonata, i monaci vi operavano generalmente minime trasformazioni architettoniche per adattarla alle proprie esigenze e gli adattamenti riguardavano di regola la costruzione di un ambiente per la preghiera o di una chiesa accanto all'edificio romano acquisito; nel caso di complessi particolarmente grandi, la chiesa veniva ricavata nell'edificio preesistente, trasformandone parzialmente l'interno con l'eliminazione di pareti divisorie, come avvenne per es. nella villa Fortunatus presso Fraga (Spagna) nel tardo 6° secolo. Nel caso di ville con un peristilio, tale struttura poteva essere riutilizzata, diventando una sorta di c.: esempi precoci e rilevanti ne documentano l'utilizzazione in tal senso. A Pfalzel, presso Treviri, un palazzo romano abbandonato citato nelle fonti come palatiolum, costituito da un impianto a quattro ali con corte interna munita di arcate, fu occupato e trasformato da monaci verso il 700 e il peristilio venne riutilizzato come chiostro.Lo sfruttamento di strutture architettoniche preesistenti dovette essere dunque, accanto alla volontà di un maggior isolamento dai laici, presenti nella comunità occasionalmente o stabilmente, la ragione del formarsi non solo della clausura, completamente chiusa verso l'esterno, bensì anche del c. situato al suo interno. Proprio il prestigioso esempio di Pfalzel mostra che tale rielaborazione di un precedente impianto architettonico - non ancora basata su regole fisse e precise - nello schema normalizzato della clausura con il c. si verificò in fondazioni monastiche particolarmente importanti.Delle più significative fra le prime fondazioni abbaziali, Saint-Maurice d'Agaune e Saint-Denis, non è possibile ricostruire l'impianto della clausura. Saint-Maurice venne fondata verso il 520 dal re burgundo Sigismondo per accogliere la sua sepoltura, della quale si sarebbero dovuti prendere cura i religiosi della comunità; a tal fine Sigismondo istituì una laus perennis dei monaci e si può presumere che qui fosse stato realizzato un impianto corrispondente, dal punto di vista della struttura architettonica, alla rilevanza del luogo e in grado di ospitare adeguatamente la famiglia reale del fondatore, garantendo nel contempo, per mezzo di una sorta di clausura, l'isolamento dei monaci. Lo stesso vale per le sepolture dei re franchi in Saint-Denis; presso questo luogo consacrato, che conservava le spoglie del primo vescovo di Parigi, Dionigi, esisteva già almeno dal 475 una chiesa in cui si custodiva la sua tomba. Nelle vicinanze di tale chiesa il re Dagoberto fondò un'abbazia (630 ca.) per la speciale custodia della sua sepoltura e di quelle dei suoi successori. È lecito aspettarsi che questa abbazia regia sia stata dotata sin dall'inizio di edifici monastici adeguati al suo prestigio, forse già nel senso di una regolare clausura.Solo poco più tardi, verso il 655 - sempre nella cerchia del re Dagoberto - doveva trovarsi a Jumièges un impianto regolare analogo, di cui tuttavia non esiste per il momento testimonianza archeologica, descritto dettagliatamente nella Vita sancti Filiberti (Acta Sanctorum Ordinis sancti Benedicti, IV, 1, Paris 1669, p. 820); s. Filiberto aveva fatto costruire una chiesa abbaziale di impianto cruciforme orientata a cui aveva annesso sul lato meridionale una clausura composta da due grandi edifici a due piani nei quali erano installati dormitorio, refettorio e cellarium. La corte rettangolare racchiusa da questi edifici era già percorsa da arcate ("operosa saxis claustra comitantur arcus"): nel caso esse si dovessero intendere corrispondenti a gallerie continue, questa sarebbe la più antica testimonianza di un c. appositamente realizzato come tale.Allo stato attuale delle conoscenze i c. più antichi attestati archeologicamente risalgono alla metà del sec. 8° e sembrano costituire una forma architettonica conosciuta in quest'epoca ovunque. A Mittelzell, nell'isola della Reichenau, sul lato settentrionale della prima chiesa abbaziale è stato ritrovato in scavi un c. riferibile con certezza all'epoca delle trasformazioni dell'abate Pirmino, verso il 750. L'ala del c. adiacente alla chiesa si estende lungo tutto il fianco cosicché la disposizione delle altre tre ali ne è facilmente deducibile.Un regolare impianto di clausura con un c. quadrato completo è da tempo noto anche per la prima fondazione del monastero di Lorsch, il c.d. Altenmünster sulla Kreuzwiese. Anche qui la clausura, che si trovava a N, era costituita da due edifici, uno a E e uno a O, fra i quali si estendeva un c. quadrato, che a N doveva confinare con il semplice muro della clausura. Simili c. di impianto regolare sono stati rilevati da scavi presso le chiese abbaziali carolinge di Schwarzach (seconda metà del sec. 8°) e di St. Alban a Magonza (790 ca.). Secondo i risultati degli scavi l'abbazia di Lorsch, trasferita nel luogo attuale intorno al 774, aveva anch'essa, verso il 785, una clausura sul lato meridionale con un c. quadrato. Grandi edifici, la cui destinazione tuttavia - come spesso è accaduto negli scavi condotti in passato - non può più essere chiarita in dettaglio, racchiudevano su tutti i lati tale clausura. A questo proposito, comunque, possono essere citate due antiche e importanti fonti: la descrizione dell'abbazia di Fontenelle e il piano di San Gallo (San Gallo, Stiftsbibl., 1092; 830 ca.). In Saint-Wandrille a Fontenelle l'abate Angesis (823-833) ampliò la preesistente chiesa abbaziale merovingia con un Westwerk e sul lato settentrionale fece costruire una nuova clausura con edifici a un solo piano, destinati a O a dormitorio, a E a refettorio e cellarium e a N alla domus maior con ambiente riscaldato. Davanti a ciascuno di questi edifici della clausura - così viene espressamente detto, non però davanti al fianco della chiesa - Angesis edificò porticus honestas per tutta la lunghezza, dunque ali di c. che collegavano i tre edifici alla chiesa (Gesta abbatum Fontanellensium, 17).Sul piano di San Gallo, infine, compare già una moderna clausura a quattro ali con un c. quadrato a quattro gallerie, secondo una ripartizione spaziale che costituì un modello nei secoli seguenti. La clausura doveva trovarsi a N della chiesa abbaziale ed essere composta da tre edifici a due piani adibiti a E a calefactorium-dormitorium, a S a refettorio-vestiarium e a O a cellarium e ingresso. Nella corte interna era racchiuso il c. quadrato con quattro gallerie porticate; le arcate nel mezzo erano più ampie e davano accesso ai vialetti che conducevano al centro della corte. Nel piano di San Gallo il c. compare con queste caratteristiche, già nella forma definitiva, ripresa poi costantemente fino in epoca moderna. Tuttavia gli edifici monastici non si aggregarono, intorno a una clausura ben isolata, secondo un unico, ampio processo di sviluppo. A Schuttern (prima metà del sec. 7°) e a Herrenchiemsee (inizi del sec. 8°), solo di recente oggetto di scavo, gli edifici, del tutto in conformità con la tradizione più antica, si trovavano in un primo tempo isolati l'uno dall'altro e dalla chiesa e il c. non fece la sua comparsa se non quando, in epoca carolingia, vennero uniti in un quadrilatero. A Niederzell nella Reichenau, fondazione del vescovo Egino del 799, non è rintracciabile alcun chiostro. Infine gli scavi a S. Vincenzo al Volturno, uno dei complessi monastici italiani meglio indagati dal punto di vista archeologico, hanno attestato che fin nel sec. 11° inoltrato non vi erano né regolare clausura né chiostro. Ciò potrebbe costituire un ulteriore indizio a favore dell'ipotesi secondo la quale nei primi tempi il c. si sarebbe diffuso principalmente al Nord e avrebbe tratto la sua origine da complessi dotati di una particolare funzione di rappresentanza, dovuta a comunità monastiche o anche a fondatori di rilievo, mentre sembra non essere presente in complessi più modesti.Fino al sec. 11° la collocazione del c. e della clausura sul lato settentrionale o su quello meridionale, dell'abbaziale o della collegiata, non rispose a regole fisse e dipese evidentemente, di volta in volta, dalle condizioni del luogo. La disposizione a N si trova fin dall'inizio: per es. a Schuttern (sec. 7°), nella Reichenau e a Lorsch (metà del sec. 8°), a Magonza nella chiesa di St. Alban (790 ca.), a Fontenelle (822-833) e ancora a Fulda-Neuenberg (1020-1030) e a Eberbach (dopo il 1135). D'altro canto anche la collocazione a S è rintracciabile sin dagli inizi: a Jumièges (intorno al 655) e sicuramente anche a Saint-Denis (630 ca.), a Fulda (751), a San Gallo (830) e a Cluny (dopo il 950), diventando in seguito la tendenza dominante.Inoltre, almeno all'inizio del sec. 9°, si ebbe a volte la disposizione di clausura e c. a O della chiesa per motivi di ordine estetico: questo avvenne a Fulda (819), sul retro e in asse con il nuovo coro principale, che custodiva il corpo di s. Bonifacio; a Kornelimünster (816-817), Steinbach (815-827) e Münstereifel (830), a guisa di atrio, davanti all'ingresso occidentale della chiesa. In quest'ultimo caso risulta chiaro che vi doveva essere un'ampia protezione di tutto il complesso monastico dal pubblico dei laici e dei pellegrini, al quale peraltro sarebbe spettato l'ingresso occidentale della chiesa; in ogni caso tale posizione del c. non si affermò.Un compito del tutto particolare del c. fu nei primi tempi quello di offrire all'abate e ai monaci il luogo per le adunanze del Capitolo, comprese le commemorazioni dei defunti. Il piano di San Gallo attribuisce tale funzione espressamente all'ala del c. sul fianco della chiesa: "Hinc pia consilium pertractet turba salubre". A tale scopo sui due lati di questa galleria dovevano essere disposti i banchi su cui potevano prendere posto l'abate e i monaci. Una situazione del tutto analoga, con banchi nell'ala del c. vicina alla chiesa, è stata attestata archeologicamente per Mittelzell. La connessione fra adunanza del Capitolo e ala del c. sul lato della chiesa, in cui vigeva altrimenti l'obbligo del silenzio, comportò l'uso di dare sepoltura agli abati proprio in questo luogo. Così è tramandato per la sepoltura dell'abate Angesis a Fontenelle nell'833: "Tumulatus extra basilicam S. Petri ad aquilonalem plagam in porticu, in qua fratres conventum celebrare soliti sunt" (Gesta abbatum Fontanellensium, 17). La comunità monastica si riuniva qui e durante il Capitolo commemorava anche i propri defunti sulle loro tombe. Nella clausura assiale di Fulda si realizzò in questo senso una situazione di particolare bellezza: il c. della basilica di Ratgar (819) fu situato in questo caso dietro la nuova abside occidentale, che conservava la tomba di s. Bonifacio, cosicché i monaci si trovarono particolarmente vicini a essa. L'ala del c. verso la chiesa, in cui erano disposti i banchi per le adunanze del Capitolo, circondava l'abside come un'esedra. I monaci si riunivano così nelle immediate vicinanze della tomba del santo fondatore del monastero e anche gli abati di Fulda venivano qui sepolti, riuniti intorno a Bonifacio come scolari accanto al loro maestro. Solo nel sec. 11° divenne usuale destinare alle riunioni del Capitolo specifiche sale capitolari, in modo che i monaci non dovessero più sedere nel c., esposto alle correnti d'aria: da allora vi poté regnare ininterrottamente la regola del silenzio.W. JacobsenGli insediamenti monastici che precedono la grande riforma di Benedetto di Aniane - avviata durante il regno di Ludovico il Pio (814-840; Jacobsen, 1983), anche sull'esempio delle innovazioni promosse in precedenza da Crodegango di Metz per le comunità canonicali (Regula canonicorum, approvata nel sinodo di Compiègne nel 757) e confermate nell'816 ad Aquisgrana - non sempre presentano un'immediata volontà centripeta, tesa a organizzare intorno a un impianto claustrale l'edificio di culto e gli ambienti comunitari (refettorio, dormitorio e servizi), quantunque il rinvenimento di un c. nell'abbazia di Mittelzell nella Reichenau, ascrivibile ai lavori dell'abate Pirmino (750 ca.; Erdmann, Zettler, 1974, tav. 4; Zettler, 1988), costituisca un tentativo, tanto precoce quanto significativo, di sistematizzare l'organismo monastico in questa direzione, perseguito anche nell'Altenmünster di Lorsch in Assia (765-774; Behn, 1934) e, presumibilmente, anche in Piccardia, nell'abbazia di Centula/Saint-Riquier di Angilberto (790-799; Bernard, 1987).Questa volontà si era tuttavia manifestata quasi alle origini dell'architettura monastica occidentale, i cui prodromi si devono far risalire alla prima metà del sec. 8° quando, in concomitanza con la formazione e l'espansione di numerosi cenobi (per es. Jumièges, 654; Whitby, 657; Corbie, 657-661; Monkwearmouth, 665-667; Jarrow, 671-672; Farfa, 705; Flavigny, 720; Reichenau, 724; Fulda, 744; Nonantola, 752), si attivò la ricerca di un modello insediativo che nel rispetto della clausura risultasse funzionale alle esigenze cenobitiche, contrapponendosi ai più diffusi sistemi a celle sparse, di impostazione eremitica, o a unità edilizie separate, profondamente radicati tra i secc. 6°-7° in tutta l'Europa cristianizzata (Horn, 1973; James, 1981).La difficile lettura delle sopravvivenze architettoniche non consente di avere un quadro esaustivo riguardo le direttrici di sviluppo degli insediamenti monastici durante il primo periodo carolingio, che, si presume, dovettero muoversi autonomamente, senza un comune programma; Ludovico il Pio, in occasione del sinodo di Aquisgrana dell'817, manifestò infatti la volontà politica di sistematizzare l'edilizia cenobitica, imponendo una regola, elaborata da Benedetto di Aniane, che vincolasse tutte le comunità benedettine nei confini del Sacro romano impero (Jacobsen, 1983). Gli effetti delle disposizioni prese ad Aquisgrana furono immediati, ma la loro attuazione pratica si limitò alle regioni centrali dell'impero (Austrasia e Neustria), dove peraltro si erano anche manifestati i primi segnali del fenomeno (Mittelzell nella Reichenau, Lorsch I, Centula/Saint-Riquier); nell'819 il Capitolo di Fulda deliberava la costruzione di un claustrum (Candido di Fulda, Vita Eigilis abbatis Fuldensis, 19; MGH. SS, XV,1, 1887, p. 231), mentre, poco dopo l'822, si dava inizio ai lavori per l'abbazia imperiale di Corvey, predisponendo un impianto claustrale perfettamente quadrato, come a Lorsch II (Lobbedey, 1977).Con l'imposizione del c. si creavano dunque le premesse per regolarizzare la distribuzione degli ambienti residenziali (refettorio, dormitorio e cellarium) secondo una logica che doveva rispondere alla regola cenobitica, isolando i fabbricati destinati alla clausura dalle altre strutture dipendenti dal monastero (piano di San Gallo, 830 ca.; San Gallo, Stiftsbibl. 1092; Horn, Born, 1979). Proprio per questa peculiare funzione il c. non venne a sostituire strutture similari di ascendenza paleocristiana, come l'atrio, la cui continuità di impiego è attestata nelle fondazioni carolinge di area tedesca (Fulda, Lorsch, Kornelimünster a Inden) oltre che nelle basiliche romane ricostruite durante il pontificato di Pasquale I (817-824; per es. S. Prassede, Ss. Quattro Coronati). Benché siano alquanto ridotte, anche a livello archeologico, le testimonianze di strutture claustrali carolinge, la loro centralità nell'economia dell'organizzazione abbaziale rimane fuori discussione, ulteriormente sottolineata dalla stessa regolarità di impianto. Gli scavi del monastero di Lorsch II, ricostruito al principio del sec. 9°, offrono a tale proposito un prezioso contributo. La perfetta modularità delle quattro ali del c., ciascuna lunga m. 40 (a Corvey m. 39), è raggiunta attraverso il livellamento artificiale del terreno, leggermente sollevato rispetto al piano di campagna, sul quale insistevano i principali corpi di fabbrica disposti assieme all'edificio di culto intorno alle gallerie del chiostro.Ancora più esplicativo risulta il piano di San Gallo, dove il c. a uso comunitario è rappresentato in forma quadrata assieme ad altri due, appaiati e di modeste dimensioni, a disposizione dell'infermeria e del noviziato; valore in questo senso informativo ha la contemporanea descrizione (823-833) del monastero di Fontenelle (dip. Seine-Maritime), nel cui recinto - delimitato da dormitorio, refettorio, cellarium e domus maior - erano state innalzate due piccole costruzioni adibite a bibliotheca e a domus chartarium (Gesta abbatum Fontanellensium, 17).Va detto tuttavia che i principali centri benedettini insediati nelle altre regioni dell'impero, come per es. i monasteri dell'Italia centrosettentrionale (Bobbio, Nonantola, Novalesa), rimasero del tutto estranei all'affermazione del c. come costante architettonica (Penco, 1961). Inoltre esso non è stato individuato - in una formulazione compiuta e direttamente confrontabile con gli esempi renani - nel sito archeologico di S. Vincenzo al Volturno, prima del sec. 11° (Hodges, 1985), né è ipotizzabile per la Montecassino dell'abate Gisulfo (797-817; Carbonara, 1979). Nell'abbazia volturnense la sistemazione di uno spazio trapezoidale a corte, situato tra la chiesa e il refettorio con portico soltanto su due lati, datato agli inizi del sec. 9° (Hodges, Mitchell, 1986), si potrebbe interpretare come un'esigenza interna volta a migliorare la funzionalità dell'insediamento piuttosto che un improvvisato adeguamento alla riforma anianea, peraltro contemporanea. Ancor più problematico si dimostra il caso dell'abbazia imperiale di Farfa, dove si conserva un nutrito gruppo di capitelli a stampella di epoca protocarolingia e carolingia, in buona parte reimpiegati dopo il Mille nel campanile della ricostruita abbaziale, ma difficilmente riferibili a una struttura claustrale di cui le fonti coeve non fanno minimamente menzione (McClendon, 1987; Betti, 1992).Il parziale fallimento della riforma anianea non comportò un abbandono dello schema insediativo benedettino risultante dalla sua applicazione pratica, né tanto meno incise sulla sua sorte la caduta della dinastia franca nell'888. Anzi alla sopravvivenza di alcuni elementi delle riforme ecclesiastiche carolinge nell'architettura protoromanica si deve la trasmissione del c. nel modello monastico cluniacense - fin dall'abbaziato di Maiolo, che tra il 948 e il 991 ne avviò la costruzione all'interno del cantiere di Cluny II (in seguito sostituito dal c. di Odilone, 993-1048 ca.; Conant, 1968) - e quindi in quello hirsaucense (Peter-Pauls-Kirche a Hirsau, 1082-1092), i cui rispettivi campi d'azione furono da un lato la Francia, la Spagna e l'Italia (Moissac, Conques, Carennac, Cuxa, Polirone), dall'altro le regioni tedesche (Alpirsbach, Grosscomburg, Marmoutier, Königslutter, Paulinzella). A fronte della quasi totale perdita dei pochi esempi noti di età ottoniana (St. Pantaleon a Colonia, 965 ca.; Saint-Fortunat a Charlieu, inizi sec. 11°), procurata anche dal consistente utilizzo di strutture in legno, come esemplifica il ricostruito c. di Saint-Pierre-le-Jeune a Strasburgo (1031 ca.), si contrappone, a partire dalla metà del sec. 11°, un suo più largo impiego, connesso a più durature realizzazioni in pietra, talvolta arricchite da sculture.L'affermazione cluniacense nel mondo benedettino e la contemporanea riorganizzazione dei canonici regolari in nuove forme di vita cenobitica ebbero un peso determinante nella riproposizione del c., mentre è plausibile che l'adozione di Cluny II a exemplum per gli insediamenti affiliati abbia svolto il compito di elemento unificante. D'altronde una delle grandi novità nel progetto di Odilone risiedeva proprio nella realizzazione, tra il 1043 e il 1048, di un c., che le cronache contemporanee descrivono con toni entusiastici, per la ricercatezza dei materiali lapidei e per l'opera di scultori provenienti dalla Provenza e dall'Occitania (Conant, 1968).In questo clima di rinascita spirituale si compie la prima grande formulazione del c. romanico, i cui centri diffusori divennero di riflesso i monasteri cluniacensi della Francia meridionale - i primi a raccogliere il manifesto architettonico della Cluny II di Odilone e a mantenerlo in vita dopo l'ulteriore ricostruzione dell'abbazia madre, sul finire del sec. 11° - assieme alle fondazioni hirsaucensi della Svevia, riformate nella medesima direzione nella seconda metà del secolo e attive dall'Alsazia alla Turingia. Anche il monachesimo anglosassone, rimasto estraneo alle riforme carolinge, importò il c. contemporaneamente al rinnovamento architettonico promosso dai Normanni subito dopo la conquista (campate nordoccidentali del c. benedettino di Westminster, sec. 12°), conservando fino all'avvento cistercense (per es. Rievaulx, 1132; Fountains, 1133) un proprio linguaggio decorativo che affondava le radici nella tradizione miniatoria sassone, come, per es., nei capitelli provenienti dal c. dell'abbazia di Reading (1130-1140; Reading, Mus. and Art Gall.) e in quelli del c. romanico di Norwich (1140 ca.; Stone, 1955).Il c. di matrice cluniacense che, per via benedettina, si configura erede diretto di quello carolingio, senza che tuttavia sia possibile qualificarne le innovazioni di natura squisitamente architettonica, è costituito da un cortile costeggiato da semplici ambulacri a copertura lignea, chiusi da fronti prive di articolazione, ma segnate da una sequenza ininterrotta di archivolti che poggiano su doppie colonnine, talvolta alternate a singoli sostegni. I passaggi verso il cortile sono posizionati anonimamente al centro del lato e la distribuzione degli ambienti al piano terra sembra ripetere lo schema di età carolingia, con la novità dell'aula capitolare inserita nel mezzo del braccio perpendicolare al coro della chiesa (Cluny II, Payerne, Beaulieu-sur-Dordogne, Marcilhac-sur-Célé, Hirsau, Alpirsbach, Hersfeld).Un uso del c. alquanto ridotto venne comunque mantenuto nei centri benedettini di minori dimensioni ancora per i secc. 11° e 12°, soprattutto in quelle regioni dove il fenomeno monastico si era palesato spontaneamente. Questa situazione si manifesta con estrema chiarezza nella penisola italiana, dove peraltro la diretta penetrazione di Cluny sembra limitarsi alla Lombardia (per es. i priorati di Pontida, Ganna, Calvenzano, Voltorre), ai territori matildici, con la fondazione di S. Benedetto al Polirone (Piva, 1980), e al monastero della SS. Trinità a Cava de' Tirreni, mentre altrove illustri abbazie benedettine (S. Paolo f.l.m., Nonantola, Farfa, Subiaco, Montecassino) furono soltanto riformate ma non aggregate a Cluny (Penco, 1961). Tale condizione forse non obbligava le comunità residenti ad adeguarsi al modello dell'abbazia madre, non prevedendo, almeno per gli inizi, un adattamento delle strutture architettoniche conforme alle subentrate esigenze liturgiche, come per es. la basilica romana di S. Paolo f.l.m., che si dotò, insieme a S. Scolastica a Subiaco, di un impianto claustrale soltanto nei primissimi decenni del Duecento.In questo novero la ricostruzione desideriana di Montecassino si distingue per la precoce adozione (1075 ca.) di un grande c. (Carbonara, 1979; Bloch, 1986) posizionato sul fianco meridionale della chiesa; lo stesso non è rintracciabile nell'impianto romanico sublacense e farfense (McClendon, 1987), mentre la sua realizzazione doveva essere prevista per la nuova sede fortificata sul monte Acuziano, dedicata a s. Martino e rimasta incompiuta (fine sec. 11°).All'impiego del c. si uniformarono gradualmente molti centri benedettini strettamente legati alle vicende cassinesi (S. Vincenzo al Volturno, fine sec. 11°; S. Liberatore alla Maiella, 1100-1110; S. Clemente a Casauria, 1152-1180; Santa Sofia a Benevento, 1160-1180; S. Giovanni in Venere a Fossacesia, 1165-1180), partecipando, assieme alla committenza normanna, all'iniziale penetrazione di forme architettoniche occidentali in territori di cultura greca (c. delle abbazie benedettine di Brindisi e di Conversano, metà sec. 12°; Alle sorgenti del Romanico, 1975).L'abbazia di Desiderio non fu però l'unica via di trasmissione dell'impianto claustrale nelle regioni meridionali della penisola, in quanto sul versante tirrenico operava con pari forza il monastero di Cava (Pane, 1985). Questo, elevatosi a capo di una congregazione su modello cluniacense (Ordo Cavensis), dovette adattare il proprio schema insediativo all'impervia situazione morfologica. Il piccolo e irregolare c. del tempo dell'abate Pietro (1079-1123), già monaco a Cluny, presenta colonnine binate con numerosi capitelli di reimpiego collegati da archi di foggia allungata, che negli impianti claustrali tipologicamente dipendenti da quello di Cava appaiono sostituiti, al principio del Duecento, da motivi ad archi intrecciati (S. Pietro di Toczolo ad Amalfi, 1210-1220; cattedrale di Amalfi, prima metà sec. 13°).La stessa riorganizzazione dei canonici regolari secondo un regime di vita monastica (La vita comune, 1962) - consolidato a partire dai sinodi lateranensi del 1059 e del 1064 - contribuì alla rielaborazione, nelle loro collegiate e nei priorati, delle unità residenziali su schemi claustrali di derivazione cluniacense (Saint-Sernin a Tolosa, inizi sec. 12°; S. Orso ad Aosta, 1132 ca.; Saint-Caprais ad Agen, metà sec. 12°; Sainte-Marie-de-Serrabone, 1150 ca.; Notre-Dame-en-Vaux a Chalôns-sur-Marne, 1170-1183; Saint-Salvi ad Albi, secc. 12°-13°; Saint-Paul-de-Mausole a Saint-Rémy-de-Provence, seconda metà sec. 12°; Santa Maria de l'Estany, sec. 12°-inizi 13°; collegiata di Santillana del Mar, fine sec. 12°-inizi 13°), che vennero applicati contemporaneamente anche in molti Capitoli delle cattedrali presso cui essi vivevano in comunità (per es. Tolosa, Saint-Bertrand-de-Comminges, Le Puy, Arles, Aix-enProvence, Avignone, Vaison-la-Romaine, Elne, Jaca, Gerona, la Seu d'Urgell, Pamplona, Aosta, Cefalù, Genova, S. Giovanni in Laterano, Pistoia, Verona, Ratisbona, Magdeburgo, Coimbra).Non sempre le cattedrali si dotarono di tali strutture, conservando isolate la domus episcopale e la residenza dei canonici dall'edificio di culto, consuetudine poi mantenuta nelle imponenti fabbriche gotiche della Francia settentrionale e della Renania-Vestfalia, con alcune significative eccezioni (c. delle cattedrali di Laon, prima metà sec. 13°, e di Noyon, 1240 ca.), dove peraltro venne soppresso l'ambulacro addossato alla cattedrale perché strutturalmente incompatibile con il sistema di contraffortatura della stessa. Più tardi, nel complesso anglo-normanno di Salisbury (1263-1284) e quindi nella cattedrale di Lincoln (1290 ca.), si ovviò al problema creando uno spazio di risulta tra la galleria del c. e il fianco della fabbrica religiosa.Soprattutto in numerosi centri dell'Europa mediterranea e dell'Inghilterra la realizzazione dei c. capitolari avvenne in concomitanza con il rinnovamento architettonico delle cattedrali. Il c. del Capitolo di S. Rufino ad Assisi (1040 ca.), di cui si conserva l'ambulacro settentrionale, costituisce un esempio precocissimo dell'impiego di una siffatta tipologia in ambiente non monastico. Esso si qualifica non solo per le modeste dimensioni e per il semplice disegno architettonico, ma soprattutto per l'assenza di corredi figurativi e vegetali a ornamento dei capitelli, tutti a stampella. Una situazione per molti versi affine e cronologicamente prossima si conserva, ancora in Italia, nel complesso vescovile di S. Maria Assunta a Cividale (Brozzi, 1990).D'altronde l'impiego nell'arredo decorativo dei c. di temi vetero e neotestamentari per fini escatologici e anche di specifiche rappresentazioni iconografiche volte a esaltare l'Ordine (S. Benedetto che consegna la Regola; Pressouyre, 1973) si era manifestato dapprima negli insediamenti cluniacensi dell'Aquitania e dei Pirenei (Saint-Pierre a Moissac, 1085-1100; Notre-Dame-de-la-Daurade a Tolosa, 1100 ca.; Saint-Michel-de-Cuxa, 1146-1150; Sant Pere de Rodes, metà sec. 12°; San Juan de la Peña, seconda metà sec. 12°; Sant Benet de Bages, sec. 12°; Sant Cugat del Vallès, fine sec. 12°), regioni di confine attraversate dalle vie di pellegrinaggio verso Compostela, diffondendosi poi, nel corso del sec. 12°, anche negli insediamenti dei canonici regolari e in regioni limitrofe, come la Linguadoca e la Provenza (Notre-Dame a Saint-Bertrand-de-Comminges, seconda metà del sec. 12°; Saint-Trophime ad Arles, 1180 ca.; Saint-Sauveur ad Aix-en-Provence, fine sec. 12°), la Spagna settentrionale - per es. i capitelli provenienti dal c. di Pamplona (Mus. de Navarra), le cattedrali di Jaca (prima metà sec. 12°), di Gerona (1150 ca.), di Tarragona (fine sec. 12°-inizi 13°) e la collegiata di Santillana del Mar (fine sec. 12°-inizi 13°; Palol, 1967) - e l'Italia nordoccidentale (collegiata di S. Orso ad Aosta, 1132 ca.).Il c. cluniacense di Saint-Pierre a Moissac (1085-1100 ca.), ricostruito nelle parti alte presumibilmente dall'abate Bertrand de Montaigut (1260-1295), occupa un posto di rilievo per il nutrito gruppo di capitelli istoriati e per le rappresentazioni degli apostoli a tutta figura, di scuola tolosana, disposti sui pilastri d'angolo degli ambulacri (Durliat, 1990). Si tratta del primo esempio, ma forse non del più antico (per es. il c. cluniacense di Saint-Fortunat a Charlieu, inizi sec. 11°), di una tipologia che si trasmette copiosamente nella Francia meridionale, a partire dal c. oggi smembrato di Notre-Dame-de-la-Daurade di Tolosa (1100 ca.; Tolosa, Mus. des Augustins), e che si manifesta negli stessi anni, però isolatamente, in Castiglia nell'imponente c. benedettino di Santo Domingo de Silos (fine sec. 11°; Whitehill, 1941). Quest'ultimo, tuttavia, fu sopraelevato negli ultimi anni del sec. 12° con un secondo giro di gallerie, espediente architettonico presente anche nel monastero occitano di Saint-Guilhem-le-Désert (fine sec. 12°), e in quell'occasione si mise di nuovo mano all'ambulacro meridionale, aggiornandone stilisticamente il programma decorativo (rilievo del pilastro sudoccidentale; Valdez Del Alamo, 1990). Questo rinnovamento delle forme plastiche si era avvertito nei c. francesi già nella seconda metà del sec. 12°, quando, a iniziare dalle fondazioni canonicali, si era introdotto il modello della statua-colonna desunto dalla grande scultura dei portali protogotici come, per es., i c. di Notre-Dame-en-Vaux a Chalôns-sur-Marne (1170-1183), di Notre-Dame a Saint-Bertrand-de-Comminges, di Notre-Dame-de-la-Daurade a Tolosa (statue-colonna del 1180 ca.; Tolosa, Mus. des Augustins).Simili programmi decorativi si trasferirono solo nel pieno sec. 12° nelle abbazie femminili (Eschau in Alsazia, 1130 ca.) e nei quadrati claustrali delle cattedrali di Arles (1180 c.), Aix-en-Provence (fine sec. 12°) e Avignone (1170-1200); qui l'apparato decorativo interessa i capitelli e coinvolge le pareti interne dei pilastri angolari, senza sopraffare il linguaggio costruttivo, che, nell'incompiuto c. di Saint-Trophime di Arles (gallerie nord e ovest), riesce a mediare soluzioni romaniche - polifore e copertura a botte continua sulle gallerie - alla classica compostezza della partitura a paraste strigilate delle fronti. Precisi rimandi alla scultura provenzale - nel c. di Arles questa accoglie il contributo di maestranze di formazione antelamica ampiamente documentate sul finire del sec. 12° nel demolito c. di S. Tommaso a Genova (capitelli a stampella conservati nel Mus. di S. Agostino; Di Fabio, 1990) - si rinvengono nei c. di committenza normanna di Cefalù (1160 ca.) e di Monreale (1180 ca.; Salvini, 1962).Raramente furono risparmiati i c. dei complessi capitolari romanici durante la stagione delle grandi cattedrali (Magdeburgo, Ratisbona, Saint-Bertrand-de-Comminges, Gerona), mentre talvolta si mantenne, al momento della ricostruzione gotica, la consueta disposizione a lato dell'edificio di culto (Laon, Noyon, Bamberga, Naumburg, Erfurt, Salisbury, Lincoln, Norwich, Barcellona, Tarragona, Pamplona), desunta dalla tradizionale formula monastica, preferendo in pochi casi una posizione più decentrata alle spalle del duomo, come per es. a Tarragona e a Burgos. Nel c. gotico della cattedrale castigliana (1260-1270; Karge, 1989) si conserva ancora una concezione romanica nella disposizione di gruppi plastici sulla parte interna dei pilastri d'angolo, tradotti comunque in un linguaggio moderno, come aggiornata è la realizzazione architettonica su due piani.A Magdeburgo con la ricostruzione del duomo, avviata nel 1209, si conservò di fatto l'impianto più antico affiancando la chiesa al c. della metà del sec. 12° (di cui oggi resta soltanto l'ambulacro meridionale), così datato per le indubbie analogie con il corrispettivo hirsaucense di Königslutter in Sassonia (1150 ca.), dove si riscontra la particolarità dell'odierno braccio settentrionale suddiviso in due navate. D'altronde la difficoltà a far convivere organicamente le nuove cattedrali con queste modeste strutture residenziali, senza doverle demolire, poteva essere risolta con una loro emarginazione. A Ratisbona, infatti, ove il doppio c. (secc. 11°-12°) della cattedrale romanica mal si adattava alle diverse esigenze architettoniche della chiesa gotica, quest'ultima lo relegò alle spalle del nuovo coro, in posizione subalterna. Al di là di queste osservazioni, l'impianto ratisbonense si configura tipologicamente come uno dei più articolati prodotti romanici (Morsbach, 1990), opera realizzata a più riprese e conclusa presumibilmente dalle stesse maestranze comacine attive per conto del vescovo Hartwig II nella realizzazione della Allerheiligenkapelle (1160 ca.). La loro partecipazione alla costruzione della cappella vescovile - a cui si accede dalla galleria (mortuarium) che separa i due impianti claustrali (Schnieringer, 1990) - si dovrebbe allargare al completamento della stessa struttura, iniziata nella seconda metà del sec. 11°, che, insieme al cantiere di Königslutter (Budde, 1979), segna il limite settentrionale della diffusione di forme lombarde, attestate inoltre lungo le vie di collegamento tra l'Italia padana e la Baviera dai c. romanici di Bad Reichenhall e di Berchtesgaden (sec. 12°-inizi 13°).Una seconda formulazione del c. in età romanica, sebbene ampiamente sviluppatasi in mature forme gotiche nel corso del sec. 13°, è da ricondurre all'opera dei Cistercensi, i quali apportarono sostanziali varianti strutturali destinate a migliorarne la funzionalità, riducendo allo stretto necessario l'elemento decorativo. L'affermazione del modello claustrale cistercense, accolto anche dall'Ordine premostratense (Liebenfrauenkloster a Magdeburgo, 1150-1200), decretò il declino del tipo benedettino-cluniacense e valse a diffondere una siffatta tipologia insediativa in quei territori che fino ad allora ne erano rimasti esclusi o di più recente cristianizzazione (Scandinavia, Europa orientale e Portogallo).Impiegato con sistematicità in tutte le fondazioni cistercensi dal 1130-1140 a lato del corpo longitudinale della chiesa e, a seconda delle particolari condizioni del sito, a settentrione o a meridione dell'abbaziale, il c. si rendeva necessario allo svolgimento delle attività cenobitiche, adattandosi a qualsiasi preesistenza, come nel caso del monastero di Dafni in Attica. Qui all'impossibilità di inserire facilmente un organismo claustrale si sopperì con la costruzione, nel corso del Duecento, di solo due gallerie opposte. Tuttavia l'impiego del c. non rimane nel periodo una prerogativa dei Cistercensi, almeno nel bacino orientale del Mediterraneo; infatti altri ordini, presenti con filiazioni negli stessi territori, mantengono le proprie modalità insediative (c. canonicale del Santo Sepolcro a Gerusalemme, 1149-1187), manifestando inoltre una straordinaria volontà di aggiornamento sui modelli occidentali coevi, testimoniata dal c. dell'abbazia premostratense di Bellapais (1270 ca.), nell'isola di Cipro, una delle più alte trasposizioni dello stile rayonnant fuori di Francia (Kitsiki Panagopulos, 1979).Sta di fatto, comunque, che lo sviluppo del c. nella seconda metà del sec. 12° e per tutto il 13° viene a identificarsi con le vicende dell'architettura dell'Ordine di Cîteaux, conoscendo il graduale passaggio da una formulazione ancora schiettamente romanica (Tre Fontane a Roma, 1140-1150; Fontenay, 1170 ca.; Le Thoronet, 1160-1175) ad altre pienamente gotiche, pertinenti o emanazioni, negli anni di Luigi IX, dello stile c.d. di corte (Royaumont, Maubuisson, Longpont, Realvalle a Scafati; Branner, 1965). Ciò non implica una trasformazione nel tempo della sua struttura, che infatti conserva un impianto generalmente quadrato con le fronti ritmicamente intervallate da pilastri quadrangoli o polistili, spesso muniti di contrafforti esterni. All'interno del sistema di contraffortatura sono inquadrate sia bifore sia ampie polifore rincassate, arricchite nel Duecento e Trecento da tracery gotiche (Noirlac, Fontfroide, Cadouin, Maison-Dieu), mentre appare bandito il ricorso a figurazioni dal programma decorativo (Bernardo di Chiaravalle, Apologia ad Guillelmum Abbatem, XII, 28-29; PL, CLXXXII, coll. 915-916), almeno per tutto il sec. 12°, a favore dell'impiego di capitelli a foglie lisce e del più diffuso tipo a crochets.I Cistercensi continuarono ad assegnare all'architettura claustrale una funzione pratica di raccordo tra la chiesa, le ali del monastero riservate al cenobio e il braccio dei conversi. Questi ultimi, pur disponendo di un accesso di servizio, non partecipavano all'uso del c., che rimaneva interno alla clausura e quindi a disposizione della sola comunità monastica; essi usavano di frequente per lo svolgimento delle loro attività un corridoio che correva parallelamente alla galleria occidentale del c., risolvendo funzionalmente il problema di tale convivenza. Questa peculiare configurazione si manifesta per assimilazione in molte abbazie dell'Ordine nella seconda metà del sec. 12°, senza che sia possibile ricondurre con sicurezza la sua genesi al cantiere-scuola di Clairvaux, attivo durante il governo di Bernardo, anche se le filiazioni sorte tra il 1132 e il 1153 sono le prime a presentare l'ingegnosa soluzione del c. affiancato dal corridoio dei conversi (Clairvaux, Vauclair, Tre Fontane, Eberbach, Chiaravalle della Colomba, Chiaravalle di Fiastra), quasi a sottolinearne la paternità, che, comunque, potrebbe essere allargata anche alla rigorosa disposizione degli ambienti intorno al cortile (armarium-sagrestia, sala capitolare, parlatorium, sala dei monaci, dispensarium, cucine, refettorio e ala dei conversi), divenuta nel tempo canonica a tutta l'architettura abbaziale dell'Ordine con pochissime deroghe.Rispetto al c. cluniacense, la formulazione cistercense si distingue per l'adozione di coperture in muratura, talvolta, in età romanica, a botte continua (Le Thoronet, Sénanque, Silvacane, Real Monasterio de Santa María de las Huelgas), più volte a crociera nervata per il sec. 12° e per i primordi del 13° (Tre Fontane) od ogivale accompagnata da costoloni nel prosieguo del Duecento (Fontfroide, Noirlac, Chiaravalle della Colomba, Fossanova) e nel gruppo delle fondazioni angioine (Longpont, Royaumont, Maubuisson, Realvalle a Scafati; Bruzelius, 1979; de Sanctis, 1993). Piuttosto esigui sono i c. duecenteschi coperti da sistemi a capriate; in questi casi la scelta è dettata tanto da problemi di natura statica, quanto dalla facilità di reperimento di legname da opera e dai costi inferiori (Tiglieto, S. Galgano, S. Giusto a Tuscania, Follina).Eccezionale, inoltre, è l'inglobamento delle gallerie nei fabbricati monastici così da costituire un blocco edilizio unico, come avviene per il braccio orientale della fondazione romana delle Tre Fontane, costruito in età bernardina (Romanini, 1982; Pistilli, 1991). Sebbene la realizzazione a blocchi dei complessi abbaziali si rifletta anche sulle vicende costruttive degli stessi impianti claustrali - e non solo in quelli cistercensi (per es. il c. giovannita di San Juan de Duero a Soria, secc. 12°-13°) -, ciò non impedì il mantenimento di una loro unitarietà architettonica; nei pochissimi casi in cui essa venne infranta, si configurerebbe come il risultato di interventi di aggiornamento piuttosto circoscritti e cronologicamente distanti dalla primitiva fabbrica. A Fossanova, infatti, la ricostruzione del solo ambulacro meridionale, assieme al lavabo, con soluzioni gotiche d'Oltralpe, si compie, dopo la metà del sec. 13°, in dipendenza della profonda rielaborazione delle strutture del refettorio protoduecentesco, contemporaneo alle restanti gallerie del chiostro. Si tratta, comunque, di un esempio a margine di un fenomeno di rinascita edilizia più generalizzato, sostenuto sia dalla ricostruzione, totale o parziale, di molti insediamenti padani a seguito delle devastazioni del periodo federiciano (Morimondo, Chiaravalle Milanese, Chiaravalle della Colomba) sia dalle fondazioni promosse con l'arrivo degli Angioini nel Sud della penisola (Realvalle a Scafati, S. Maria della Vittoria presso Scurcola).Il c. consolida il suo ruolo di fulcro dell'organizzazione abbaziale e si trasforma in elemento di prestigio, spesso luogo di sepoltura degli abati (Arens, 1982), caricandosi inoltre di valori iconologici, inediti per il mondo cistercense, e di arcane valenze musicali, di cui sono depositari i telamoni e le mensole di Chiaravalle della Colomba (seconda metà sec. 13°; Gavazzoli Tomea, 1993). Se nella versione mediterranea il c. gotico cistercense rimane ancorato alla tradizionale soluzione delle gallerie a giorno (per es. Alcobaça, Poblet, Fontfroide), nelle regioni centrali dell'Europa si tende, anche per ragioni climatiche, a chiuderlo con vetrate spesso dipinte (Heiligenkreuz, Wettingen, Wienhausen; Hayward, 1973). Il monastero di Heiligenkreuz (Vienna) conserva ancora il programma vetrario della metà del Duecento, con un ricco repertorio decorativo a grisaille e motivi vegetali, eseguito a compimento dei lavori di costruzione dell'impianto stesso (1220-1250) e concluso dalle splendide vetrate del Brunnenhaus (1295 ca.), destinate a magnificare la dinastia dei Babenberg. Tuttavia questa consuetudine, assai poco documentata dalle stesse fonti medievali oltre che dai manufatti, doveva essersi diffusa lentamente fin dalla prima metà del sec. 13°, sebbene al principio avesse riguardato lo stretto ambito benedettino. Certamente l'adozione nei c. gotici di grandi finestre lavorate a tracery favoriva il possibile allestimento di vetrate, trovando applicazione nel tardo Trecento anche nell'insediamento domenicano di Ratisbona (1360-1365) e in Inghilterra nella cattedrale di Gloucester (1357-1377).I c. delle cattedrali inglesi realizzati a partire dalla seconda metà del Duecento si arricchiscono di peculiari caratteri architettonici, tali da distinguerli dal panorama continentale. Le avvisaglie di questo nuovo linguaggio, non esente da rimandi alla tradizione cistercense e alle esperienze gotiche dell'Ile-de-France (c. della cattedrale di Noyon, 1240 ca.) e della Normandia (c. di Mont-Saint-Michel, 1225-1228; c. della cattedrale di Rouen, 1240 ca.), emergono a metà secolo nel c. dell'abbazia londinese di Westminster nel tratto di ambulacro a collegamento del transetto meridionale con il capitolo, esprimendosi compiutamente nell'imponente c. della cattedrale di Salisbury (1263-1284; Webb, 1956), da cui dipende quello di Lincoln (1290 ca.). Ridotto all'essenziale il valore funzionale dell'impianto, che conserva come unica dipendenza la prestigiosa sala capitolare, maggiore ricercatezza è assegnata al dato compositivo, condizionato da elaborate finestrature senza gâbles, il cui disegno si ripete sulla parete opposta del corridoio (Salisbury, Gloucester), che possono essere ulteriormente articolate quando sulla fronte interna si addossa un camminamento (Gloucester). Stessa sorte seguono le volte, che si complicano in senso decorativo negli esempi tardotrecenteschi (Worcester, 1375; Canterbury, 1400 ca.).Il c. a gallerie non sembra invece adattarsi alle iniziali esigenze degli Ordini mendicanti, che per tutto il Duecento ne rifiutano l'impiego, tranne eccezionalmente alcuni conventi dei Domenicani (per es. S. Sabina a Roma, 1221 ca.; S. Maria Novella a Firenze, 1280 ca.; S. Maria in Gradi a Viterbo, fine sec. 13°), i quali tuttavia non ne fanno esplicito riferimento nelle più antiche costituzioni o in altre fonti (Meersseman, 1946), così come avviene per quelle francescane (Bihl, 1941) e agostiniane (Aramburu Cendoya, 1966). Il loro immediato inserimento nei contesti urbani, anche se spesso in posizione periferica rispetto al centro politico, la difficoltà di reperimento di spazi adatti alla realizzazione di articolati complessi conventuali e la centralità assegnata all'edificio religioso condizionarono non poco le prime forme insediative dei Francescani, dei Predicatori e degli Agostiniani. La riduzione degli ambienti di clausura alla sagrestia, al capitolo e al refettorio, sovrastati dal dormitorio, limita a un'unica ala il corpo residenziale (Giordano da Giano, Cronaca, 2370), non permettendo di fatto l'esistenza di una struttura claustrale, ridotta a un portico (porticus o trasanna) addossato alla fronte interna del braccio conventuale. Questo, comunque, mantiene la funzione di collegamento riparato tra i diversi ambienti comunitari e la chiesa, ma senza più svolgere il compito di raccordo tra attività religiose ed economiche, come avviene nei cenobi cistercensi. Nessuna sistemazione a portico duecentesca è pervenuta integralmente, mentre in pochi casi si è conservato il sistema di aggancio del tetto alla parete per mezzo di mensoloni, che testimonia l'impiego di coperture leggere in legno (Eremitani a Padova, 1276; S. Agostino a Gubbio, 1290 ca.).Questa situazione si presenta costantemente negli insediamenti francescani (Pellegrini, 1984) e agostiniani ancora alla metà del Trecento, mentre l'adozione della clausura stretta, da parte delle Clarisse, rese necessaria l'organizzazione delle fabbriche conventuali intorno a un c. quadrangolare, già nel monastero assisiate di S. Chiara (1270 ca.; Casolini, 1950), eccezionalmente intorno a due c. in S. Agnese a Praga (secc. 13°-14°), per essere poi ripetuto nelle altre fondazioni dell'Ordine, come documentano gli esempi trecenteschi di committenza angioina in Italia (S. Maria Donnaregina e S. Chiara a Napoli, S. Chiara a Nola) e in Ungheria (monastero delle Clarisse a Óbuda; Magyarországi, 1987), tutti purtroppo mutili nelle parti medievali o conservati solo a livello di fondazioni, fino al prestigioso impianto tardogotico di Pedralbes (Barcellona), strutturato su tre livelli, di cui i due inferiori aperti a giorno (secc. 14°-15°).Negli Ordini mendicanti maschili venne presa in considerazione la realizzazione del c. - con la presumibile eccezione degli studia parigini per ovvi motivi di gestione e di organizzazione delle strutture - soltanto quando i maggiori conventi si dotarono di ali supplementari a chiusura della corte. Se lo sviluppo delle fabbriche residenziali è dunque ampiamente documentato per tutto il Trecento, l'inserimento dell'impianto claustrale avvenne di norma nel corso del secolo seguente, come per il c.d. c. del Capitolo della Basilica del Santo a Padova (1433 ca.), ancora di matrice tardogotica. Tuttavia, forse in via eccezionale, c. furono concepiti poco dopo la seconda metà del sec. 14° per il convento di S. Francesco ad Assisi (Il Sacro convento, 1988) e per l'insediamento eremitano a Tolentino, sebbene quest'ultimo potrebbe essere preceduto dal c.d. c. triangolare di S. Agostino a Genova (Marcenaro, 1984), le cui finalità costruttive sono ancora tutte da verificare. Puntuale appare il suo rimando al cantiere che a metà del Trecento contribuì al rinnovamento edilizio della chiesa, mentre l'evidente anomalia planimetrica sembrerebbe determinata dall'adattamento a strutture preesistenti.Ad Assisi e a Tolentino, invece, l'inserimento di c. quadrati provvisti di gallerie - scomparso è quello assisiate in via di realizzazione nel 1360 - non era destinato esclusivamente alla comunità residente, ma assolveva il compito di creare percorsi prestabiliti per i visitatori e per i fedeli, così da impedire contatti diretti con gli ambienti di più stretta clausura; nel caso specifico della fondazione eremitana (1370 ca.), doveva creare inoltre un circuito che non consentiva soste all'ampio flusso di pellegrini in visita al cappellone di S. Nicola, insediato nella primitiva sagrestia (Pistilli, 1992). Tuttavia non si mancò di dare al c. tolentinate un aspetto architettonico aggiornato che assegnasse prestigio al convento; si utilizzarono lungo i muretti esterni del quadrilatero pilastri in laterizio di forma differente, coronati da sottili capitelli fogliati e collegati da archi ribassati con ghiera leggermente rincassata. Decori ceramici, i più antichi databili al tardo Trecento, furono inseriti nell'archeggiatura del sottogronda, mentre in origine una copertura a capriate doveva chiudere le quattro gallerie. La versione del convento con cortile claustrale rimane comunque isolata nel panorama agostiniano, almeno per l'Italia, giustificando il particolare valore di santuario-mausoleo dell'Ordine che l'insediamento di Tolentino aveva ricoperto nel tempo proprio per il culto di s. Nicola.Una considerevole eccezione è costituita, nel panorama dell'architettura mendicante del Duecento, da alcuni complessi domenicani. L'iniziale affiliazione dei Frati Predicatori ai canonici regolari dovette svolgere un ruolo determinante nell'adozione del c. negli insediamenti romani di S. Sisto Vecchio, soltanto impostato (1219), e di S. Sabina sull'Aventino (1222). In entrambi i cantieri essi si avvalsero delle stesse maestranze romane informate sui modelli cistercensi precedenti al c. aventiniano (Fossanova), ma differenziate forse nell'impiego di una copertura in legno. La sua semplicità costruttiva rende il c. di S. Sabina concettualmente affine al contemporaneo esemplare nel monastero benedettino dei Ss. Quattro Coronati, piuttosto che alle prestigiose realizzazioni vassallettiane di S. Paolo f.l.m. (1208-1230 ca.) e di S. Giovanni in Laterano (1216-1230; Claussen, 1987; D'Achille, 1991). Se l'impianto benedettino di S. Paolo f.l.m., promosso dal cardinale amalfitano Pietro Capuano, costituisce la prima realizzazione di un c. a Roma, il poco più tardo c. lateranense si configura nell'ambiente romano come una novità assoluta per l'adozione da parte dei Vassalletto, qui nell'insolita veste di costruttori, di un sistema di coperture degli ambulacri con una serie di crociere nervate sostenute verso l'interno da un ingegnoso doppio appoggio costituito da colonne e muro perimetrale, desunto, in forma ridotta, dai monumenti tardoantichi (Pistilli, 1991).Sta di fatto che nella Roma di Onorio III (1216-1227) al fiorire dei c. a opera di maestranze cosmatesche corrispose l'adeguamento architettonico delle importanti fondazioni benedettine di Subiaco (1227-1243) e di Sassovivo (1230 ca.), da cui dipendeva il monastero fortificato dei Ss. Quattro Coronati. Non sembra trattarsi più di un inserimento esclusivamente funzionale alla vita del cenobio, quanto piuttosto legato al desiderio di aggiornarsi a una moda maturata nel clima del quarto concilio lateranense del 1215. L'impiego delle stesse maestranze attive nei cantieri romani ribadisce questa volontà di emulazione, che vale a diffondere la tipologia claustrale in quella parte del mondo benedettino dell'Italia centrale che non aveva fatto propria la riforma architettonica cluniacense. Colpisce soprattutto l'aspetto tecnico e organizzativo adoperato per la realizzazione dei manufatti, in entrambi i casi di non grandi dimensioni, costituiti da blocchi di marmo già lavorato e montati in sito seguendo le indicazioni dei segni lapidari (Claussen, 1987; Barral i Altet, 1990).L'impiego sistematico del doppio c. si riscontra nelle fondazioni certosine, di cui si conosce la prassi insediativa adottata nel Tardo Medioevo, a partire dalla realizzazione del piccolo c. di Montdieu (1270 ca.). Alla distinzione interna al monastero (domus superior) tra grande c. o galilea, intorno al quale si disponevano le singole celle dei monaci, e il piccolo c. su cui si organizzavano secondo l'uso benedettino la sala capitolare e il refettorio, non corrispose in tutte le certose una sistemazione altrettanto unitaria dell'impianto residenziale (v. Certosini). Quantunque essa fosse condizionata in special modo dalle caratteristiche del luogo, ne sono state individuate almeno cinque tipologie, con alcune varianti, determinate dalla posizione dei c. in rapporto all'edificio di culto (Aniel, 1983, tav. V).P.F. Pistilli
Bibl.:
Fonti. - Bernardo di Chiaravalle, Apologia ad Guillelmum Abbatem, in PL, CLXXXII, coll. 895-918; Vita et Regula s. Benedicti una cum expositione Regulae, a cura di R. Mittermüller, III, Expositio Regulae ab Hildemaro tradita, Regensburg 1880, pp. 183-184; Gesta abbatum Fontanellensium, in MGH. SS rer. Germ., XXVIII, 1886, pp. 49-60; Candido di Fulda, Vita s. Eigilis abbatis Fuldensis, a cura di C. Waitz, in MGH. SS, XV, 1, 1887, pp. 221-233; Crodegango di Metz, Regula canonicorum, a cura di W. Schmitz, Hannover 1889; Oddone di Cluny, Occupatio, a cura di A. Swoboda (Bibliotheca Scriptorum Medii Aevi Teubneriana), Leipzig 1900; Magistri Adami Bremensis Gesta Hammaburgensis ecclesiae pontificum, a cura di B. Schmeidler, in MGH. SS rer. Germ., II, 19173; M. Bihl, Statuta generalia Ordinis edita in Capitulis generalibus celebratis Narbonae an. 1260, Assisii an. 1279 atque Parisiis an. 1292 (editio critica et synoptica), Archivum Franciscanum historicum 34, 1941, pp. 13-94, 284-358; B. Steidle, Regula Magistri. Regula S. Benedicti. Studia monastica (Studia Anselmiana, 44), Roma 1959; Legislatio Aquisgranensis, a cura di J. Semmler, in Corpus consuetudinum monasticarum, I, Initia consuetudinis Benedictinae. Consuetudines saeculi octavi et noni, a cura di K. Hallinger, Siegburg 1963, pp. 423-582: 503-536; Giordano da Giano, Cronaca, a cura di A. Cabassi, F. Olgiati, in Fonti Francescane. Cronache e altre testimonianze del primo francescanesimo, a cura di L. Pellegrini, Padova 1980, pp. 1967-2172: 1995.
Letteratura critica. - A. Lenoir, Architecture monastique (Collection de documents inédits sur l'histoire de France), 2 voll., Paris 1852-1856; s.v. Cloître, in Viollet-le-Duc, III, 1858, pp. 410-461; A. de Caumont, Abécédaire ou rudiment d'archéologie, Caen 1868⁵ (Paris 1850); M. de Vogüé, Syrie centrale. Architecture civile et religieuse du I au VIIe siècle, I, Paris 1865; J. von Schlosser, Die abendländische Klosteranlage des früheren Mittelalters, Wien 1889; C. Butler, Lausiac History of Palladius, 2 voll., Cambridge 1898-1904; G. Hager, Zur Geschichte der abendländischen Klosteranlage, ZChK 14, 1901, coll. 97-106, 139-146, 167-186; H. Leclercq, s.v. Cloître, in DACL, III, 2, 1914, coll. 1991-2012; J. Fendel, Ursprung und Entwicklung der christlichen Klosteranlage. Die frühmittelalterlichen Anlagen (tesi), Bonn 1927; H. Gouin, L'abbaye de Royaumont, Paris 1932; F. Behn, Die karolingische Klosterkirche von Lorsch an der Bergstrasse nach den Ausgrabungen von 1927-1928 und 1932-1933, Berlin-Leipzig 1934, I, pp. 17-20; A. Dehlinger, Die Ordensgesetzgebung der Benediktiner und ihre Auswirkung auf die Grundrissgestaltung des benediktinischen Klosterbaues in Deutschland, Borna-Leipzig 1936; J. Evans, The Romanesque Architecture of the Order of Cluny, Cambridge 1938, pp. 139-141; W.M. Whitehill, Spanish Romanesque Architecture of the Eleventh Century, Oxford 1941 (19682); G. Meersseman, L'architecture dominicaine au XIIIe siècle. Législation et pratique, Archivum Fratrum Praedicatorum 16, 1946, pp. 136-190; M. Aubert, L'architecture cistercienne en France, Paris 1947, II, pp. 1-33; J. Leclercq, La vie parfaite (Tradition monastique, 1), Turnhout-Paris 1948; F. Casolini, Il protomonastero di S. Chiara in Assisi, Milano 1950; G. Pillement, Cloîtres et abbayes de France, Paris 1950; Die Klosterbaukunst, Bulletin des relations artistiques France-Allemagne. Arbeitsbericht der deutsch-französischen Kunsthistorikertagung 1951; K. Hallinger, Zur geistigen Welt der Anfänge Klunys, DAEM 10, 1954, pp. 417-445 (rist. in id., Cluny. Wissenschaftliche Buchgesellschaft, Darmstadt 1975, pp. 91-124); R. Rey, L'art des cloîtres romans. Etude iconographique, Toulouse 1955; L. Stone, Sculpture in Britain: the Middle Ages (The Pelican History of Art, 9), Harmondsworth 1955; G. Webb, Architecture in Britain: the Middle Ages (The Pelican History of Art, 12), Harmondsworth 1956 (19652), pp. 56-59, 155-157; H. Beseler, Fragen zum ottonischen Kreuzgang des Pantaleonklosters in Köln, in Karolingische und ottonische Kunst (Forschungen zur Kunstgeschichte und christlichen Archäologie, 3), Wiesbaden 1957, pp. 159-166; H. Hahn, Die frühe Kirchenbaukunst der Zisterzienser. Untersuchungen zur Baugeschichte von Kloster Eberbach im Rheingau und ihren europäischen Analogien im 12. Jahrhundert (Frankfurter Forschungen zur Architekturgeschichte, 1), Berlin 1957; J. Hubert, Saint-Riquier et le monachisme bénédictin en Gaule à l'époque carolingienne, in Il monachesimo nell'Alto Medioevo e la formazione della civiltà occidentale, "IV Settimana di studio del CISAM, Spoleto 1956", Spoleto 1957, pp. 293-309; G. Penco, Storia del monachesimo in Italia dalle origini alla fine del Medio Evo, Roma 1961; R. Salvini, Il chiostro di Monreale e la scultura romanica in Sicilia, Palermo 1962; La vita comune del clero nei secoli XI e XII, "Atti della Settimana di studio, Mendola 1959", 2 voll., Milano 1962; M. Eschapasse, L'architecture bénédictine en Europe, Paris 1963; J. Semmler, Die Beschlüsse des Aachener Konzils im Jahre 816, Zeitschrift für Kirchengeschichte 74, 1963, pp. 15-82; S. Frank, ᾽ΑγγελιϰὸϚ βίοϚ. Begriffsanalytische und Begriffsgeschichtliche Untersuchung zum "enghelsgleichen Leben" im frühen Möchtum (Beiträge zur Geschichte des alten Mönchtums und des Benediktinerordens, 26), Münster 1964; W. Messerer, Romanische Plastik in Frankreich, Köln 1964; R. Branner, St. Louis and the Court Style in Gothic Architecture, London 1965; F. Prinz, Frühes Mönchtum in Frankreich, München-Wien 1965; I. Aramburu Cendoya, Las primitivas Constitutiones de los Augustinus (Ratisbonenses del ano 1290), Valladolid 1966; Vorromanische Kirchenbauten. Katalog der Denkmäler bis zum Ausgang der Ottonen (Veröffentlichungen des Zentralinstituts für Kunstgeschichte in München, 3), 2 voll., München 1966-1991; P. de Palol, L'art en Espagne du royaume wisigoth à la fin de l'époque romane, Paris 1967; K.J. Conant, Cluny. Les églises et la maison du chef d'ordre, Cambridge (MA)-Mâcon 1968; W. Braunfels, Abendländische Klosterbaukunst, Köln 1969; G. Bauer, Claustrum animae. Untersuchungen zur Geschichte der Metapher vom Herzen als Kloster, München 1973; The Cloister Symposium 1972, Gesta 12, 1973; W. Horn, On the Origins of the Medieval Cloister, ivi, pp. 13-52; L. Pressouyre, St. Bernard to St. Francis: Monastic Ideals and Iconographic Programs in the Cloister, ivi, pp. 71-92; J. Hayward, Glazed Cloisters and their Development in the Houses of the Cistercian Order, ivi, pp. 93-109;W. Erdmann, A. Zettler, Zur Baugeschichte des Mariemünster zu Reichenau-Mittelzell, in Die Abtei Reichenau. Neue Beiträge zur Geschichte und Kultur des Inselklosters, a cura di H. Maurer (Bodensee-Bibliothek, 20), Sigmaringen 1974, pp. 481-522; Alle sorgenti del Romanico. Puglia XI secolo, a cura di P. Belli D'Elia, Bari 1975 (19872), pp. 193-194, 200-206; B. Rupprecht, Romanische Skulptur in Frankreich, München 1975; Cloître roman dans le Midi de la France et en Catalogne, "Les septièmes Journées romanes de Cuxa, Abbaye de Saint-Michel de Cuxa 1975", Les Cahiers de Saint-Michel de Cuxa 7, 1976; J. Bousquet, Problèmes d'origine des cloîtres romans. Histoire et stylistique. De l'époque carolingienne à Aurillac, Conques et Moissac, ivi, pp. 7-33; M. Durliat, Le cloître historié dans la France méridionale à l'époque romane, ivi, pp. 61-74; U. Lobbedey, Neue Ausgrabungsergebnisse zur Baugeschichte der Corveyer Abteikirche. Ein Vorbericht, Westfalen 55, 1977, pp. 285-299; C.A. Bruzelius, Cistercian High Gothic: the Abbey Church of Longpont and the Architecture of the Cistercians in the Early Thirteenth Century, Analecta Cisterciensia 35, 1979, pp. 3-204; R. Budde, Deutsche romanische Skulptur 1050-1250, München 1979, pp. 41-42, 54, 71-72; G. Carbonara, Iussu Desiderii. Montecassino e l'architettura campano-abruzzese nell'undicesimo secolo, Roma 1979, pp. 33-97; W. Horn, E. Born, The Plan of St. Gall. A Study of the Architecture and Economy of, and Life in a Paradigmatic Carolingian Monastery, 3 voll., Berkeley-Los Angeles-London 1979; B. Kitsiki Panagopulos, Cistercian and Mendicant Monasteries in Medieval Greece, Chicago-London 1979, pp. 56-62, 111-122; P. Piva, Da Cluny a Polirone. Un recupero essenziale del romanico europeo, San Benedetto Po 1980; B. Reudenbach, Säule und Apostel. Überlegungen zum Verhältnis von Architektur und architekturexegetischer Literatur im Mittelalter, FS 14, 1980, pp. 310-351; E. Badstübner, Kirchen der Mönche. Die Baukunst der Reformorden im Mittelalter, Wien 1981; E. James, Archaeology and the Merovingian Monastery, in Colombanus and Merovingian Monasticism (BAR. International Series, 113), Oxford 1981, pp. 33-55; G. Kosch, Klausurquadrum, Westchorturm und Brunnenstube der Grosskomburg. Ein Beitrag zur Erforschung axialer Konventsanlagen des Hochmittelalters, Württembergisch-Franken 65, 1981, pp. 5-50; F. Arens, Das Nischengrab in der Ostecke des Kreuzgangs in Zisterzienserklöstern, in Mélanges Anselme Dimier, III, 5, Arbois 1982, pp. 7-15; A.M. Romanini, La storia architettonica dell'abbazia delle Tre Fontane a Roma. La fondazione cistercense, ivi, III, 6, pp. 653-695; J.P. Aniel, Les maisons de Chartreux des origines à la Chartreuse de Pavie (Bibliothèque de la Société française d'archéologie, 16), Genève 1983; W. Jacobsen, Benedikt von Aniane und die Architektur unter Ludwig dem Frommen zwischen 814 und 830, in Riforma religiosa e arti nell'epoca carolingia, "Atti del XXIV Congresso internazionale di storia dell'arte. C.I.H.A., Bologna 1979", a cura di A.A. Schmid, I, Bologna 1983, pp. 15-22; M. Marcenaro, Sant'Agostino, in Medioevo restaurato. Genova 1860-1940, Genova 1984, pp. 17-52; L. Pellegrini, Insediamenti francescani nell'Italia del Duecento, Roma 1984; G. Binding, M. Untermann, Kleine Kunstgeschichte der mittelalterlichen Ordensbaukunst in Deutschland, Darmstadt 1985; R. Hodges, Excavations at San Vincenzo al Volturno: a Regional and International Centre from c. AD 400-1100, in San Vincenzo al Volturno. The Archaeology, Art and Territory of an Early Medieval Monastery, a cura di R. Hodges, J. Mitchell (BAR. International Series, 252), Oxford 1985, pp. 1-35; G. Pane, La "Crypta Cava" e la fabbrica antica, in La badia di Cava, a cura di G. Fiengo, F. Strazzullo, I, Cava de' Tirreni 1985, pp. 119-151; H. Bloch, Montecassino in the Middle Ages, Roma 1986, I, pp. 40-110; Die Cistercienser. Geschichte. Geist. Kunst, Köln 19863 (1974); R. Hodges, J. Mitchell, Excavations at San Vincenzo al Volturno (Molise): a Sixth Interim Report, ArchMed 13, 1986, pp. 461-468; H. Bernard, Cloîtres et salles capitulaires. Remarques sur les origines de la distribution des "lieux réguliers" dans les abbayes de l'ordre de Saint-Benoît, in Liber amicorum. Etudes historiques offertes à Pierre Bougard (Mémoires de la Commission départementale d'histoire et d'archéologie du Pas-de-Calais, 25), Calais 1987, pp. 35-56; P.C. Claussen, Magistri Doctissimi Romani. Die römischen Marmorkünstler des Mittelalters (Corpus Cosmatorum I) (Forschungen zur Kunstgeschichte und christlichen Archäologie, 14), Stuttgart 1987; C.B. McClendon, The Imperial Abbey of Farfa. Architectural Currents of the Early Middle Ages (Yale Publications in the History of Art, 36), New Haven 1987; Magyarországi műészet 1300-1470 körül [Arte dell'Ungheria 1300-1470 ca.], a cura di E. Marosi, 2 voll., Budapest 1987, pp. 304-305; Il Sacro convento di Assisi, Bari 1988, I, pp. 69-70; A. Zettler, Die frühen Klosterbauten der Reichenau: Ausgrabungen, Schriftquellen, St. Galler Klosterplan (Archäologie und Geschichte. Freiburger Forschungen zum ersten Jahrtausend in Südwestdeutschland 3), Sigmaringen 1988; H. Karge, Die Kathedrale von Burgos und die spanische Architektur des 13. Jahrhunderts, Berlin 1989, pp. 177-180; R. Legler, Der Kreuzgang. Ein Bautypus des Mittelalters, Frankfurt a.M. 1989; W. Sauerländer, Le siècle des cathédrales 1140-1260, Paris 1989 (trad. it. Le cattedrali gotiche 1140-1260, Milano 1991); X. Barral i Altet, Organisation du travail et production en série: les marques de montage du cloître de Subiaco près de Rome, in Artistes, artisans et production artistique au Moyen Age, "Colloque international, Rennes, Haute-Bretagne, 1983", a cura di X. Barral i Altet, III, Fabrication et consommation de l'oeuvre, Paris 1990, pp. 93-99; M. Brozzi, Cividale alle soglie del Medioevo (XI-XII sec.). Appunti e notizie, Memorie storiche forogiuliesi 70, 1990, pp. 49-89; C. Di Fabio, San Tommaso, in Medioevo demolito. Genova 1860-1940, a cura di M. Marcenaro, Genova 1990, pp. 121-142; M. Durliat, La sculpture romane de la route de Saint-Jacques. De Conques à Compostelle, Mont-de-Marsan 1990, pp. 117-169; G. Leoncini, Il monastero certosino: attuazione di un ideale, in Certose e Certosini in Europa, "Atti del Convegno, Certosa di San Lorenzo di Padula 1988", [Napoli] 1990, I, pp. 47-58; M. Righetti Tosti-Croce, Prime fondazioni certosine in Italia, ivi, pp. 103-107; P. Morsbach, Zur Bau- und Ausstattungsgeschichte des Regensburger Domkreuzganges, in Der Dom zu Regensburg. Ausgrabung - Restaurierung - Forschung, München-Zürich 1990, pp. 25-40; K. Schnieringer, Ergebnisse einer Bauuntersuchung im Westkreuzgang, ivi, pp. 41-49; E. Valdez Del Alamo, Triumphal Visions and Monastic Devotion: The Annunciation Relief of Santo Domingo de Silos, Gesta 29, 1990, pp. 167-188; M. Parisse, G. Binding, s.v. Kloster, in Lex. Mittelalt., V, 1991, coll. 1218-1223; P.F. Pistilli, L'architettura a Roma nella prima metà del Duecento (1198-1254), in Roma nel Duecento. L'arte nella città dei papi da Innocenzo III a Bonifacio VIII, a cura di A.M. Romanini, Torino 1991, pp. 3-71; A.M. D'Achille, La scultura, ivi, pp. 147-235: 171-179; F. Betti, Sculture altomedievali dell'abbazia di Farfa, AM, s.II, 6, 1992, 1, pp. 1-40; P.F. Pistilli, Considerazioni sulla storia architettonica dell'abbazia romana delle Tre Fontane, ivi, pp. 163-192; id., Ipotesi sulle fasi costruttive degli edifici conventuali due-trecenteschi del monastero agostiniano di Tolentino, in Arte e spiritualità negli Ordini Mendicanti, "Atti del Convegno, Tolentino 1991", Roma 1992, pp. 205-233; M.L. de Sanctis, L'abbazia di Santa Maria di Realvalle: una fondazione cistercense di Carlo I d'Angiò, AM, s. II, 7, 1993, 1, pp. 153-196; M.L. Gavazzoli Tomea, Arte cisterciense in Italia. Letture critiche e nuove linee di indagine per la scultura architettonica, in San Bernardo e l'Italia, "Atti del Convegno di studi, Milano 1990", a cura di P. Zerbi, Milano 1993, pp. 227-251.