CRANIO-CEREBRALE, CHIRURGIA
. S'occupa delle malattie che colpiscono le ossa craniche e i centri nervosi, dal punto di vista chirurgico. Il cervello e il cervelletto ricoperti dalle meningi, chiusi da una scatola ossea, sono inaccessibili senza aprire questa, con la quale presentano varî rapporti, cioè sotto certe parti del cranio corrispondono parti del cervello e del cervelletto, delle quali alcune hanno determinate funzioni. Lo studio di queste, iniziatosi con P. Broca nel 1863, ebbe grande sviluppo dopo la scoperta di G. T. Fritsch e E. Hitzig (1870) dell'esistenza di zone cerebrali che, stimolate, determinano movimenti muscolari ddel lato opposto, e si stabilirono successivamente, con metodi sperimentali e anatomoclinici zone, sedi di varie funzioni, dando a esse il nome di centri e comprendendo col titolo di localizzazioni cerebrali la dottrina a esse relativa. Fu reso così possibile al medico determinare dai sintomi la sede di varie lesioni dei centri nervosi e renderle accessibili al chirurgo.
Topografia cranio-cerebrale. - Era però necessario conoscere i rapporti tra i centri e la scatola cranica per aprire questa opportunamente a fine di scoprire quelli, e lo studio di tali rapporti creò la topografia cranio-cerebrale, che ha avuto numerosi cultori, anatomici e chirurgi. Ricorderemo P. Broca, T. L. Bischoff, Heftler, Turner, poi G. D. Thane, J. Chiene e molti altri; in Italia specialmente C. Giacomini, G. Chiarugi, A. D'Antona, F. Padula. Qui basterà ricordare i principî fondamentali d'alcuni fra i tanti metodi immaginati per lo studio di questo problema. Il metodo di Broca è fondato sull'infissione di cavicchi di legno nel cervello attraverso fori praticati sul cranio in punti determinati e vedendo poi a quali parti del cervello essi corrispondono. Quello di Heftler, di meravigliosa precisione, è fondato sulla proiezione geometrica sopra una stessa figura piana di tre successivi disegni in grandezza naturale, rappresentanti rispettivamente il contorno esterno delle parti molli, la superficie del cranio con le suture, la superficie del cervello. Quello di Thane, di Chiene e d'altri si basa sul rapporto costante, trovato con esatte misure, che passa tra la parte di cervello che è avanti al solco centrale e quella che è dietro, rapporto che è uguale al 55,5%, sicché, conoscendo la lunghezza totale del margine interno d'un emisfero cerebrale, s'ha in ogni caso la sede esatta del punto superiore del solco centrale. Altri metodi sono fondati su linee che si tracciano sul capo partendo da punti di ritrovo ben determinati, e alle quali corrispondono solchi, giri e aree che si vogliono delimitare, come quelli di R. V. Krönlein, T. Kocher, D'Antona, ecc. Qui sarà brevemente esposto un solo metodo eclettico, tenendo conto principalmente delle ricerche di P. Poirier.
Sulla fig. 1, che mostra il cranio di lato (norma lateralis), sono indicate le suture delle ossa craniche, i loro punti d'incontro, le varie prominenze ossee e altri particolari. Il chirurgo utilizza solo quei punti di ritrovo che può verificare dall'esterno sul cranio rivestito delle parti molli. Essi sono in avanti: la glabella. sporgenza sovrastante la radice del naso, e che ha una certa ampiezza, sicché non è d'esattezza perfetta. Al disotto di essa v'è un infossamento sovrastante le ossa nasali: l'angolo fronto-nasale, nasion o punto nasale. Una lieve sporgenza situata sopra questo angolo è detta ophryon. Indietro, la protuberanza occipitale esterna o inion palpabile più facilmente piegando la testa in avanti. Sul lato, il condotto uditivo esterno, il margine posteriore dell'apofisi orbitaria esterna, l'apofisi zigomatica che si trova e si può facilmente disegnare come una linea orizzontale invariabile, qualunque sia la posizione del cranio. Dalla glabella, andando indietro, sulla linea sagittale troviamo il bregma, cioè il punto d'incontro della sutura sagittale con la parieto-frontale o coronale e più indietro il lambda, punto d'incontro posteriore della sutura sagittale con l'occipito-parietale o lambdoidea. Questi punti non sono palpabili, ma determinabili indirettamente. ll bregma, secondo Broca, si trova mediante un semplice strumento, la squadra flessibile, formata da due lamine sottili, pieghevoli, fisse una sull'altra ad angolo retto; nel punto di fissazione v'è un cavicchio di legno. Messo questo nel condotto uditivo esterno, si fa passare la lamina orizzontale sotto il naso e l'altra verticalmente si gira fino all'altro condotto uditivo. Là dove questa lamina incontra la linea sagittale mediana del capo è il bregma. Questo e analoghi procedimenti, come quello di J. M. M. Lucas-Championnère, dànno un ritrovo approssimativo, poiché con accurate ricerche s'è visto che il punto designato è in realtà 1-2 centimetri più indietro. Il lambda talora si palpa come una piccola irregolarità o depressione, ma non sempre: in tal caso si misurano 7 cm. a partire dall'inion in su. Conoscendo il lambda, secondo Padula, si trova il bregma facilmente perché è a metà della distanza tra l'ophryon e il lambda.
Per la topografia del cervello ricorderemo, servendoci della fig. 2, i solchi o scissure e i giri o circonvoluzioni fondamentali; la scissura di Rolando o gyrus centralis ha la massima importanza, e insieme con la scissura di Silvio, e con quella perpendicolare esterna (fissura parieto-occipitalis), costituisce un caposaldo per delimitare i lobi e i loro giri e solchi. Innanzi al solco centrale è il lobo frontale, e dietro v'è il lobo parietale che s'estende fino alla scissura parieto-occipitale; dietro questa è il lobo occipitale e sotto la scissura di Silvio è il lobo temporale. Importanza speciale hanno i due giri situati innanzi e dietro il solco centrale poiché l'area sensomotoria è ivi localizzata (v. cervello).
Tra le arterie e le vene va ricordata l'arteria meningea media, facile a rompersi per frattura dell'osso parietale e temporale, il seno sfenoparietale che è ad essa prossimo e talora la circonda, il seno longitudinale superiore decorrente sulla vòlta lungo la linea sagittale e il seno trasverso che occupa un solco profondo tra le due creste occipitali interne, e gira dietro il margine posteriore dell'apofisi mastoidea.
Scissura di Rolando. - Il solco di Rolando ha un'estremità superiore situata a 48 millimetri dal bregma, e una inferiore a mm. 28 dietro la sutura fronto-parietale (Heftler), ma il bregma non è facilmente trovabile con esattezza e la sutura fronto-parietale non è visibile, quindi conviene adottare il metodo proporzionale, che ha il vantaggio d'adattarsi ai cranî d'ogni età, cioè misurare la distanza glabella-inion sulla linea sagittale mediana del capo, prenderne la metà partendo dalla glabella e aggiungervi 20-25 mm. Piccole differenze s'hanno nei brachi- e dolicocefali. Se l'inion non è palpabile, dice Poirier che basta misurare cm. 18,5 sulla linea sagittale a partire dall'angolo fronto-nasale. Trovato il punto rolandico superiore, si troverà l'inferiore tracciando una linea di 8-9 cm. decorrente dall'alto in basso, da dietro in avanti, formante un angolo di 67 gradi con la linea sagittale. Perciò s'adopera da alcuni lo strumento di Chiene (cirtometro) fatto di una lamina metallica flessibile graduata, sulla quale scorre un'asta con angolo di 67 gradi: applicata la lamina sulla linea sagittale, dalla glabella all'inion, si fa scorrere l'asta dall'avanti all'indietro e si arresta e si fissa giunti alla metà della loro distanza più 25 mm. una linea di 9 cm. lungo l'asta rappresenterà il solco rolandico. Il punto rolandico inferiore corrisponde, secondo Poirier, a 7 cm. sulla verticale tirata dal margine superiore dell'arcata zigomatica e innanzi al trago.
Scissura di Silvio. - Si tracci una linea dal fondo dell'angolo naso-frontale a un punto 1 cm. sopra il lambda. Questa linea corrisponde per 4-6 cm. alla parte esterna della detta scissura, e finisce alla sutura parieto-occipitale. Con queste due linee, come dimostra la fig. 2, si può determinare l'area senso-motoria, il lobo temporale tra la linea silviana e il condotto uditivo esterno, il giro sopramarginale poco al disopra della detta linea a 10 cm. dal lambda, e il giro angolare (plica curva) sulla linea e a 7 cm. dal lambda (Poirier).
Scissura parieto-occipitale. - Corrisponde al lambda o poco in avanti. Tracciando una linea che segua il margine dell'arcata zigomatica e vada orizzontalmente indietro fino all'inion, si trova il seno laterale sottostante al terzo posteriore di essa. Al disopra della linea è il lobo occipitale il cui limite superiore è dato dal lambda, al disotto è il cervelletto. Questo si può ancora con maggiore esattezza delimitare flettendo il capo e tirando una linea dall'apice della mastoide alla protuberanza occipitale esterna: sotto la linea è l'emisfero cerebellare.
Ventricoli laterali. - Hanno tre prolungamenti o corna, uno anteriore (o frontale), uno posteriore (od occipitale) e uno inferiore o temporale. Un piano frontale che divida il cranio passando perpendicolare sul terzo anteriore dell'arco zigomatico e un altro che passi 5 cm. dietro l'apice dell'apofisi mastoide dànno i limiti anteriore e posteriore, e due piani orizzontali decorrenti 5 cm. e rispettivamente 2 cm. sopra l'arco zigomatico dànno i limiti superiore e inferiore. Il corno temporale segue la direzione della seconda circonvoluzione temporale per tutta la sua estensione, e si può raggiungere da un punto situato 4 cm. sopra il foro acustico esterno a una profondità di 4 cm. Il corno anteriore dista dalla cute della fronte 6-7 cm. Si raggiunge il ventricolo laterale, secondo Kocher, da un punto innanzi al bregma, a 2-3 cm. dalla linea mediana, a 5-6 cm. di profondità. Il corno posteriore dista circa 5 cm. dalla cute occipitale, e si raggiunge da un punto situato 3 cm. sopra la protuberanza occipitale e cm. 3 all'esterno della linea mediana.
La topografia così stabilita basta alle esigenze chirurgiche. Negl'inizî della chirurgia cranica si credé necessaria la precisione estrema topografica, poiché l'operazione consisteva nell'applicare una corona di trapano sufficiente appena a scoprire un'area del diametro di 2-4 cm. al massimo. Oggi che la tecnica richiede lembi ampî per scoprire larghe porzioni di cervello, la precisione estrema non s'ottiene che mediante faradizzazione unipolare.
Nozioni generali di tecnica operatoria. - La tecnica per eseguire operazioni intracraniche consiste nell'apertura della scatola cranica, nell'apertura della dura madre, esplorazione del cervello, esecuzione dell'atto operativo sui centri nervosi a seconda della lesione.
Apertura della scatola cranica. - L'antica trapanazione, con lo strumento che le ha dato il nome, è abbandonata. Il trapano serve solo per iniziare l'atto operativo. Il chirurgo deve aprire il cranio con ampiezza sufficiente per lo scopo da raggiungere, e perciò o asporta un tratto di osso (cranioresezione definitiva), o apre uno sportello formato da un lembo di parti molli e osso, sportello che poi riapplicherà per chiudere l'apertura (craniotomia osteoplastica o cranioresezione temporanea). Questa fu inaugurata sperimentalmente da L. Ollier, sul vivo da F. Durante (lembo con frammenti ossei distaccati con scalpello) e da W. Wagner (lembo osseo a tutto spessore), e perfezionata dallo strumentario moderno azionato a mano o elettricamente.
Si comincia col tracciare un lembo a ferro di cavallo o quadrilatero (fig. 3) delle parti molli nella regione stabilita e comprendente nella base i vasi arteriosi. Scoperto l'osso, vi si praticano con un perforatore e poi con una fresa (L. Doyen o altri) tanti fori quanti sono necessarî e che si congiungono sezionando il tratto tra essi, sia con sega di Gigli; introdotta mediante speciale guida che allontana e protegge la dura madre, sia con lo strumento di Montenovesi o Dahlgreen, o con sega elettrica circolare o con la fresa di Sudeck. Scalpello e martello sono quasi abbandonati. Poi s'intacca d'ambo i lati la base del lembo, con una leva lo si alza rovesciandolo finché si frattura alla base; questa linea di frattura serve di cerniera per ribattere lo sportello. Appare la dura madre e s'incide a croce o a lembo, scoprendo il cervello con i suoi involucri. Il chirurgo esplora con l'ispezione, con la palpazione, e occorrendo con puntura, e procede poi a seconda della lesione. Finito questo tempo, assicuratosi della perfetta emostasi, ribatte lo sportello e cuce le parti molli. Se le condizioni sono tali che non sia opportuno ribattere il lembo completo, può togliere l'osso o parte di esso, lasciando così una lacuna nella scatola cranica. Per eseguire la cranioresezione, si distacca dall'osso un lembo di parti molli e periostio, si pratica un foro di trapano in un punto e procedendo da esso s'asporta con strumento adatto (pinza ossivora di Luer) quel tanto d'osso che occorre, poi si procede come sopra (fig. 4).
Tali operazioni s'eseguono per lo più a scopo decompressivo, come vedremo.
La craniotomia s'esegue o in narcosi generale, o meglio oggi per lo più con anestesia locale. Molta importanza ha l'evitare perdita di sangue, che suole essere profusa, specialmente se i vasi venosi sono dilatati per l'aumentata pressione endocranica. Oltre i mezzi abituali d'emostasi, il chirurgo ricorre a pinze speciali (R. Alessandri) per le parti molli, all'uso di cera sterile per l'emorragia dell'osso (V. Horsley), all'applicazione di piccole morsette d'argento sui vasi del cervello dove la pinza abituale e la legatura è difficile o impossibile (silverclips con lo strumento di Cushing e d'altri), all'ago diatermico per sezionare vasellini e sostanza cerebrale, e infine all'applicazione di pezzetti di muscolo sopra superficie sanguinanti o lesioni venose. La più rigorosa asepsi, l'emostasi perfetta, le più delicate manipolazioni, sono indispensabili per la buona riuscita di tali difficili interventi, che oggi si sogliono eseguire possibilmente in un tempo, mentre prima, e tuttora in svariate circostanze, specialmente di tumori, s'eseguivano in due tempi, cioè nel primo la craniotomia e nel secondo l'operazione cerebrale. La craniotomia si pratica a scopo di diagnosi, cioè per esplorare ed eventualmente intervenire radicalmente. È operazione delicata e grave se diretta da imprecisa localizzazione del male, specie se l'esplorazione si effettua nell'occipite mentre la lesione è sopratentoriale.
Oltre alla craniotomia esplorativa si praticano a scopo diagnostico le seguenti operazioni:
1. Puntura cerebrale. - Sviluppata e resa metodica (da E. Neisser e K. Pollack, 1904, e da M. Ascoli) mediante scelta di punti sul cranio, i più corrispondenti ai varî scopi, e mediante strumento perforatore; è poco usata per conseguenze pericolose e letali verificatesi, sebbene talora abbia permesso diagnosi, altrimenti impossibili, d'ascessi e di tumori.
2. Puntura ventricolare. - Da uno dei punti già studiati si può penetrare in uno dei corni ventricolari e di lì estrarre il contenuto a scopo diagnostico, o immettere aria in modo da ottenere mediante radiografie stereoscopiche una visione esatta del sistema ventricolare e sue alterazioni (ventricolografia, W. E. Dandy, 1919); da usarsi se si presume esistere dilatazione ventricolare in casi di tumore.
3. Puntura della cisterna magna. - Infiggendo un ago a 5-6 cm. di profondità tra l'osso occipitale e l'arco posteriore dell'atlante si perfora la membrana occipito-atlantoidea e si penetra nella cisterna magna. Si saggia così la pressione e la qualità del liquor (prelevandone un campione per le diverse ricerche) e si può immettere aria che penetrerà nello spazio subaracnoideo e nei ventricoli se non v'è chiusura del forame di Magendie e di Luschka (v. encefalografia).
Combinando 2 e 3 con una puntura lombare, è possibile, iniettando sostanze adatte (fenolsulfonftaleina, ioduro sodico) dal basso all'alto o viceversa, saggiare come queste sostanze passano o si riassorbono dai ventricoli allo spazio subaracnoideo spinale, o viceversa, e trarne dati d'importanza diagnostica per la chiusura parziale n totale del sistema (prove di passaggio e d'assorbimento).
Le singole lesioni chirurgiche cranio-cerebrali.
1. Lesioni violente. - Fratture. - Si distinguono in fratture della vòlta e della base, sia isolate, sia dalla vòlta propagate alla base. Le prime consecutive a traumi diretti sono o semplici, lineari, a stella, a frammenti multipli, con o senza avvallamento; o esposte, cioè con lesione delle parti molli; o complicate, cioè accompagnate da accidenti immediati o tardivi.
Il trauma, agendo in un punto della vòlta, la deprime e quasi ne annulla la curva, e se il coefficiente d'elasticità dell'osso è superato, s'ha la frattura, poiché la tavola interna ha un raggio di curva minore dell'esterna, così il raddrizzamento che subisce è più vasto e la frattura più estesa e comminuta, donde il nome di tavola vitrea. Tali fratture si dicono da flessione. Se il trauma agisce comprimendo su due lati il cranio, ovvero questo, percosso da un lato, incontra resistenza dall'altro, s'ha frattura decorrente parallela al senso della forza (legge di Messerer, di von Wahl); queste fratture si dicono per scoppio, e si possono propagare alla base quasi sempre in una precisa direzione che sarebbe quella della curva a raggio più corto (legge d'Aran), secondo alcuni, o in senso perpendicolare alla curva che il trauma deprime e raddrizza (legge di Felizet). Tale raddrizzamento si comporta in modo quasi costante a causa della struttura della base che presenta rinforzi ossei o pilastri che resistono al trauma. Praticamente se il trauma è laterale, la linea di frattura decorre attraverso le fosse temporali, se è frontale, attraverso la fossa anteriore e può espandersi alla media e posteriore, se occipitale, alla fossa posteriore e può raggiungere l'anteriore, dunque nella direzione dell'urto.
Fratture della base isolate sono più rare e sono mediate, o per sfondamento (paragonabili al martello che si fissa sul manico battendo questo in terra; e cioè, p. es., cadendo in piedi, la colonna vertebrale, arrestatasi prima nella caduta, sfonda il contorno del forame occipitale), o per contraccolpo, assai rare.
Si diagnosticano le fratture della vòlta con l'esame diretto che mostra o avvallamento o soluzione di continuo dell'osso, mentre quelle della base, da sintomi consecutivi, come lo scolo del liquido cerebrospinale e del sangue da un orecchio, dal naso, poi ecchimosi periorbitarie, sottocongiuntivali, mastoidee, e le une e le altre da sintomi in rapporto alle lesioni che subiscono i centri nervosi (commozione, contusione, compressione cerebrale) e i nervi cranici.
Le fratture della vòlta richiedono intervento chirurgico solo se avvallate e comprimenti il cervello, nel qual caso occorre sollevare i frammenti, o, se esposte o complicate, perché è necessario verificare l'esistenza o no d'una lesione meningea e cerebrale e procedere all'asportazione di schegge e di corpi estranei, alla disinfezione, e riunione o tamponamento, a seconda dei casi, o alla cura delle complicazioni. Le fratture della base come tali non richiedono intervento, se non per complicazioni. Tali sono, più o meno immediate: la commozione, la compressione, la contusione cerebrale, l'emorragia extra- o intradurale, le infezioni delle meningi, e del cervello (meningiti, encefaliti, ernia cerebrale, ascesso cerebrale).
Commozione cerebrale (commotio cerebri). - È una sindrome clinica insorgente dopo un grave trauma del capo anche senza frattura. L'infermo perde la coscienza, il polso è lento e piccolo, il viso pallido, gli occhi fissi, il respiro superficiale, lento, interrotto talora da un respiro profondo. Di solito il quadro scompare rapidamente e il malato non ha che vaghi disturbi al capo, cefalea, tendenza al capogiro, debolezza generale e non ricorda l'accaduto (amnesia retrograda). Nei casi gravi l'incoscienza perdura, il polso è piccolo e frequente, irregolare, v'è perdita d'urina e feci, il respiro è periodico. Sono segni d'una grave paralisi dei centri bulbari ai quali può seguire la morte, o lentamente, e dopo un periodo più o meno lungo, la guarigione. In tali casi si verifica quasi sempre una lesione materiale del cervello, cioè una contusione; ma questa non è necessaria per la morte, che si può avere anche in sua assenza; l'autopsia dimostra solo numerose ecchimosi puntiformi nella sostanza cerebrale e perciò la patogenesi della commozione è ancora incerta, poiché mentre da alcuni si attribuisce alla scossa di tutto il cervello in massa e a un conseguente perturbamento d'un complesso di varie funzioni vitali, da altri si ritiene piuttosto effetto d'una compressione parziale esercitata sul midollo allungato. La commozione non richiede intervento chirurgico.
Compressione cerebrale. - Qualunque fatto morboso che diminuisca la capacità del cranio determina una pressione sul cervello, e, a seconda dei casi, in modo rapido o lento, con sintomi locali e generali. Le cause più comuni sono traumi, producenti avvallamenti d'ossa craniche, emorragie da arterie, vene, seni venosi, edema del cervello, meningite sierosa con iperproduzione di liquor (idrocefalo acuto e cronico) e soprattutto tumori intracranici. Il meccanismo per cui queste cause determinano compressione cerebrale, e lo stato anatomico che ne segue, è stato oggetto di molti studî sperimentali. L'opinione dei più è che si produca un'anemia parziale o generale del cervello e anche un'alterazione propria degli elementi nervosi. Nella compressione acuta i fenomeni o sono immediati, se, p. es., una larga parte di osso è spinta contro il cervello o se s'è prodotta emorragia: o si svolgono a una breve distanza, anche di ore, dal trauma, cioè v'è un intervallo libero durante il quale l'infermo non ha sintomi, poi appare dolor di capo, tendenza allo stupore, ovvero contrazioni d'una parte del corpo, polso lento, seguiti da un aggravarsi progressivo con perdita parziale o totale della coscienza, respiro stertoroso, paresi o paralisi, dilatazione d'una o d'ambedue le pupille, fino al coma completo e alla morte per la paralisi dei centri della circolazione e respirazione. Tali fatti seguono per lo più a emorragia dall'arteria meningea media o da un seno venoso o dalla diploe. Il sangue si raccoglie o fuori della dura e la distacca dall'osso per larga estensione, comprimendo la corrispondente zona cerebrale, con sintomi a carico dei centri offesi, o sotto la dura diffondendosi e comprimendo il cervello estesamente, quindi con sintomi generali. Si distinguono perciò emorragie epi- o extradurali, e ipo- o intradurali.
La cura consiste nel vuotare il sangue accumulato, e possibilmente legando l'arteria, o cucendo o tamponando il seno leso. L'arteria meningea si raggiunge aprendo il cranio nella regione temporale, al disopra del mezzo dell'arcata zigomatica. Tra le emorragie da trauma annoveriamo quelle consecutive al parto, dovute, secondo C. E. Schwartz, principalmente alla differenza di pressione tra il contenuto dell'utero e l'atmosfera esterna, durante il periodo d'espulsione, donde lesioni vasali, specialmente dei grossi seni venosi, mentre i fattori meccanici di pressione o di schiacciamento sono meno importanti. A seconda dell'estensione l'emorragia è o no fatale. Secondo Kowitz nel 25,50% di neonati morti si trova emorragia intracranica. Nei sopravvissuti permangono di solito lesioni permanenti cerebrali (sclerosi, malattia di Little, atrofie varie, idrocefalia). L'emorragia raggiunge il massimo al 2°-3° giorno, ma talora dopo un intervallo libero anche di giorni e settimane, con rapida asfissia e morte. Il quadro clinico grave è caratterizzato da cianosi del corpo, pallore del viso, fatti d'irritazione midollare e paralisi; quello meno grave da fatti irritativi midollari limitati, convulsioni unilaterali o bilaterali e segni di compressione cerebrale generale. La cura è chirurgica, dev'essere precoce per evitare lesioni cerebrali permanenti. Consiste nella trapanazione e rimozione del sangue quando s'è potuta ben diagnosticare la lesione nella sua sede e può essere seguita da risultati ottimi.
Contusione cerebrale. - Lesione della sostanza cerebrale, talora anche con lacerazione e spappolamento di essa, perciò con emorragie di varia entità, anche intraventricolari, che si verifica o in corrispondenza del punto della lesione o nel punto opposto (contraccolpo). Le fratture della base producono simili lesioni nel tronco cerebrale e nel midollo allungato con esito letale. Se la contusione è circoscritta e in rapporto con ferita esterna si deve metterla allo scoperto e curarla come si dirà per le ferite d'arma da fuoco.
Ferite cranio-cerebrali. Se per strumenti contundenti, taglienti o per arma da fuoco, presentano particolarità varie, ma la terapia delle prime due forme segue le regole generali che si dànno per le ultime. Queste possono essere: ferite da striscio, da rimbalzo, con apparente lesione talora delle sole parti molli, ma invece anche gravi del cervello. Perciò devono essere verificate per possibili sottostanti lesioni, e curate secondo il caso. Nelle ferite tangenziali s'ha un solco nelle parti molli, ossa e cervello, con asportazione parziale di tessuti e disseminazione di schegge nel cervello. Questo viene estesamente contuso e ne seguono fatti gravi immediati e tardivi. Sono quindi di prognosi infausta, e devono essere subito operate. Le ferite trasfosse, cioè con fuoruscita del proiettile, gravissime se il proiettile è voluminoso, possono decorrere benigne se il proiettile è piccolo e richiedono solo revisione delle lesioni esterne. Le ferite con ritenzione di proiettile richiedono diagnosi radiologica della sede del proiettile e un immediato intervento per estrarlo.
Regola generale di questi interventi è scoprire largamente la lesione ossea, asportare frammenti, corpi estranei, tessuti contusi, e il proiettile quando è accessibile: se la lesione è recente si richiudono con sutura, per quanto si può completa, le parti molli; se è di data lontana, v'è quasi certo infezione e non conviene la chiusura immediata totale, ma parziale, con tamponamento antisettico. Purtroppo infezioni seguono frequenti, e cioè meningiti, ascesso cerebrale, encefaliti con prolasso o fungo del cervello, complicazioni da trattarsi con medicazioni antisettiche, talora con ingrandimento della breccia ossea, e con drenaggio dell'ascesso. La mortalità nelle ambulanze di guerra raggiunse in media il 20-30% e più.
2. Infiammazioni e infezioni. - Meningiti sierose, aracnoiditi acute, subacute e croniche, da traumi, o da cause ignote, possono dar luogo a fenomeni di compressione cerebrale o localizzata; rientrano allora molto spesso nella diagnosi generica di tumori endocranici e vanno trattati come si dirà per questi.
Pachimeningite emorragica. - Richiede l'apertura del cranio e la rimozione dell'ematoma.
Meningite purulenta. - È quasi sempre mortale se diffusa; avviene per propagazione d'infezioni dall'esterno: ferite, osteomieliti, lesioni dell'orecchio medio, dei seni nasali; per via sanguigna nel corso di malattie infettive (meningiti epidemiche), o per via linfatica. Quando è circoscritta e in rapporto con una lesione accessibile al chirurgo, come quella da otite purulenta, osteite, può essere guarita mediante precoce intervento diretto sul focolaio d'infezione che va ampiamente aperto, raschiato, tamponato. Se è diffusa, si ricorre all'estrazione abbondante e ripetuta di liquor con puntura lombare, con puntura suboccipitale, seguita da iniezione sottodurale di sieri o medicamenti specifici per l'agente infettivo. Il drenaggio permanente delle meningi mediante asportazione d'una lamina posteriore vertebrale, le lavande trascorrenti dalla puntura ventricolare verso quella spinale, sono stati tentati insieme con intensa cura urotropinica per via intravenosa, ma con rari successi.
Ascesso cerebrale. - Se da trauma, è prossimo alla ferita, nella o sotto la corteccia cerebrale; se da otite, segue la lesione del timpano come ascesso sopra-, sottodurale e intracerebrale nel lobo temporale o nell'emisfero cerebellare; se da sinusite frontale, nel lobo frontale. La prognosi è letale senza la cura chirurgica tempestiva che ha di mira la radicale eliminazione del focolaio d'infezione primaria e l'apertura con drenaggio dell'ascesso. Questo si trova talora seguendo la lesione primaria, ma altre volte ne è lontano e deve essere localizzato neurologicamente o con puntura esplorativa sì da aggredirlo sicuramente. L'evacuazione del pus mediante ripetute punture ha dato anche favorevoli risultati. Le percentuali di guarigione variano nelle diverse statistiche da 18 guarigioni su 19 ascessi cerebrali di W. Macewen, al 70% per gli ascessi temporali, 35% per i cerebellari (H. Oppenheim, R. Cassirer), a 35%, 33% per i primi, a 9% per i secondi nella raccolta di Heine e Beck.
3. Tumori. - Essi si sviluppano nelle ossa (osteomi, sarcomi), nelle meningi (fibromi, endoteliomi o cosiddetti meningiomi), o lungo i nervi cranici o nella sostanza cerebrale e cerebellare (gliomi, angiomi, ependimomi, ecc.). Non possono essere curati radicalmente se non dal chirurgo poiché la cura con raggi X, salvo per gli adenomi dell'ipofisi, non ha dato risultati definitivi. Purtroppo la cura chirurgica incontra gravi difficoltà e non è sempre applicabile. Perciò distinguiamo una cura radicale e una palliativa. Mentre nel passato si reputava che solo un assai esiguo numero di tutti i tumori del cervello fosse curabile chirurgicamente (il 5% secondo E. Bergmann), il progresso della tecnica e della diagnosi, specialmente radiologica, con la encefalo- e ventricolografia, ha permesso d'estendere le indicazioni e ottenere migliori risultati, operativi e curativi, i quali variano con la natura e sede del tumore. Quelli meningei, e della superficie del cervello non infiltranti sono i più favorevoli; quelli a sede profonda e presso centri d'importanza vitale, i più sfavorevoli. In tali casi v'è di solito un forte aumento della pressione endocranica, il tumore non è facilmente accessibile senza ledere centri vitali direttamente o indirettamente, donde esiti letali immediati o nei giorni successivi. La natura del tumore ha grande importanza: così, p. es., tumori fibrosi, gliomi cistici, colesteatomi, dermoidi, sono radicalmente guaribili; gli ependimomi e i papillomi dei ventricoli difficilmente; i tumori a tipo midollare, frequenti nel cervelletto di bambini (medulloblastomi), e i gliomi infiltranti sono inguaribili. Un posto a parte meritano i tumori del nervo acustico (v. acustico, nervo) e quelli dell'ipofisi, di solito adenomi, o cisti del dotto ipofisario oggi di diagnosi relativamente facile. Se sviluppati dilatando la sella turcica, possono essere aggrediti aprendo la base della sella, facendosi strada dal naso attraverso il seno sfenoidale (mortalità 6-10%); se cresciuti sopra la sella, si raggiungono aprendo il cranio ampiamente nella regione frontale e sollevando il cervello fino a scoprire il tumore (mortalità 40-50%). In ambo i casi, specialmente dal naso, l'operazione non è mai radicale, ma cessa la pressione del tumore sul chiasma, s'evita la cecità, la pressione intracranica diminuisce e la vita può essere prolungata anche per molti anni. La cura con raggi X ha dato risultati favorevoli ma temporanei, e dev'essere provata, pure, la decompressione cerebrale (v. sotto), che presenta minimo rischio.
La cura chirurgica dei tumori dev'essere precoce; è perciò necessaria una diagnosi di localizzazione o una ben condotta esplorazione intracranica: ché se l'infermo ha perduto la vista e presenta gravi condizioni generali o disturbi funzionali da distruzione di tessuto nervoso, l'operazione non può essere che palliativa. La tecnica per asportare i tumori del cervello consiste nel fare un grande lembo osteoplastico nella regione supposta sede del tumore, e perciò distinguiamo schematicamente quelli del cervello proprio, o sopratentoriali, raggiungibili con lembi frontali, temporali, parietali, occipitali, da quelli del cervelletto, in genere situati nella fossa cranica posteriore, o subtentoriali, per i quali si suole preferire l'asportazione definitiva dell'osso.
L'operazione s'esegue con le regole generali già esposte: s'è v'è aumentata pressione endocranica si deve abbassarla con la puntura d'un ventricolo (non mai puntura lombare, pericolosa perché il midollo allungato, spinto dalla pressione soprastante, può infossarsi nel forame occipitale con esito letale), o con iniezioni intravenose di liquido ipertonico (cloruro sodico al 17%; glucosio al 50%).
Si cercherà di farla in un tempo, ma si può essere costretti da condizioni gravi, da shock, emorragia, a eseguirla in due tempi. Scoperta la regione, il tumore o appare subito o si rivela indirettamente per l'appiattimento delle circonvoluzioni, per differente resistenza alla palpazione o mediante puntura (cisti) o incisione esplorativa, e, secondo l'estensione e la natura, potrà essere cautamente separato servendosi del coltello diatermico che divide i tessuti senza emorragia, ovvero sarà asportato parzialmente o, se in connessione con centri vitali, lasciato. Si cercherà di richiudere la dura, d'applicare il lembo senza drenaggio né tamponamento, e, se l'asportazione non fu possibile, si potrà togliere parte dell'osso per lasciare maggior spazio al cervello.
Le operazioni endocraniche si devono ritenere sempre gravi, e v'è possibilità di morte anche immediata per shock, o arresto di funzioni vitali, e di morte consecutiva per aggravarsi dei sintomi se il male non fu potuto togliere, o per il sopraggiungere di complicazioni. La mortalità operatoria varia molto per i varî gruppi di tumori, dal 5-6% nelle cisti gliomatose, al 10-12% per i meningiomi, al 20-40% e più per i gliomi, tumori dell'acustico, ecc. e le guarigioni definitive sono solo per i tumori benigni estirpati completamente; ma si possono ottenere, anche con operazioni parziali, risultati temporanei soddisfacenti, specie per i dolori e la vista.
Granulomi tubercolari e luetici. - La tubercolosi e la sifilide dànno luogo a neoformazioni granulomatose caseose nel cervello e nel cervelletto, le quali producono, come i tumori, sintomi locali e generali, e clinicamente si debbono considerare come tali. Se la diagnosi è possibile, la cura non deve essere chirurgica, ma per alcuni sifilomi antichi resistenti al trattamento specifico l'asportazione è stata fatta con successo, mentre per i tubercolomi che talora non si possono differenziare dai tumori, raramente s'è ottenuto un risultato definitivo, poiché di solito segue morte da meningite tubercolare (secondo H. Cushing la mortalità è circa il 29%).
Cisti meningee o meningiti sierose circoscritte specialmente nella fossa occipitale dànno pure sintomi come tumori e, se scoperte e vuotate, i risultati definitivi sono ottimi.
Operazioni palliative. - Si praticano per alleviare sofferenze, impedire la cecità, prolungare la vita quando la causa del male non è diagnosticabile, non raggiungibile, non asportabile. Le operazioni palliative fanno diminuire la pressione intracranica, donde un miglioramento temporaneo, e anche la possibilità d'ulteriore precisa diagnosi. Esse sono:
Trapanazione decompressiva, della quale già si è parlato e che si pratica di solito sulla regione parieto-temporale a destra, con incisione a lembo della cute e poi separando le fibre del muscolo temporale (decompressione subtemporale di H. Cushing), rimovendo 8 × 6 cm. d'osso e aprendo la dura. Se, dopo praticato un lembo osteoplastico a scopo di rimuovere una lesione, questa non fu trovata o non fu potuta togliere, è indicato ribattere il lembo, togliendo tutt'intorno una zona di osso per fare spazio al cervello. La trapanazione decompressiva subtemporale è poco utile se la lesione è sottotentoriale.
Puntura lombare, della cisterna, utili temporaneamente e da ripetersi, ma pericolose in caso di tumore cerebrale, specie se subtentoriale, nel qual caso ha valore solo la puntura ventricolare. Anche si può fare una permanente apertura della cisterna incidendo dalla linea mediana la membrana occipito-atlantoidea a finestra e cucendone i lembi ai muscoli; il liquor si versa dalla cisterna sotto i muscoli della nuca.
Puntura del corpo calloso secondo Anton e von Bramann, che s'esegue o dalla fontanella anteriore o da una piccola trapanazione dietro la sutura coronale, e introducendo una cannula curva tra la falce e il cervello fino al corpo calloso e cioè a una profondità di 6-7 cm. Si penetra così nel ventricolo laterale e visto uscire il liquor, si sposta la cannula avanti e indietro per ingrandire l'apertura. Si chiude la ferita per prima. Il liquor dal foro fatto si versa nello spazio subdurale.
4. Malattie congenite. - Encefalocele. - È un'ernia delle meningi (meningocele) o anche del cervello (encefalocele) attraverso lacuna ossea del cranio, situata sul dorso del naso e l'angolo interno dell'occhio (en. sincipitale) o sull'occipite (en. occipitale), più frequente. Ha la grandezza d'una ciliegia fino a un arancio e più, è ricoperto di cute sana o sottile e ulcerata. Si complica spesso o con dilatazione cistica circoscritta (encefalocistocele) o con idrocefalo interno e con altre malformazioni. È compressibile, pulsante, talora si palpa bene la lacuna ossea e perciò differenziabile da cisti dermoidi, di consistenza dura, pastosa, irriducibile. Se piccolo e non complicato, può permettere la vita, e forse il 9-10% sorpassa i due anni, quindi è indicata la cura chirurgica salvo esistenza di complicazioni gravi. Nell'operazione si asporta la parte erniata chiudendo la dura madre e in speciali casi la lacuna ossea con plastica. La mortalità immediata è del 20-30%, i risultati definitivi non sono sicuri, specie per l'insorgere o l'aggravarsi d'un idrocefalo.
Idrocefalo. - Il liquido cerebrospinale verosimilmente prodotto dai plessi corioidei in massima parte, o per secrezione, dialisi o per speciale processo di filtrazione, si raccoglie nei ventricoli laterali, passa per i forami di Monro nel terzo ventricolo e, attraverso l'acquedotto di Silvio, nel quarto; di lì per i forami di Luschka e di Magendie in parte va nello spazio subaracnoideo basale e sue cisterne e di lì in quello della superficie cerebrale dov'è riassorbito un'altra parte va nel sacco aracnoideo spinale. Se la produzione è abnormemente aumentata o il riassorbimento impedito, il liquor s'accumula e si ha l'idrocefalo. L'impedimento può essere per ostruzione delle vie di comunicazione interventricolari e dei forami di Luschka e Magendie, e il liquor non fluisce nel sacco spinale: perciò l'idrocefalo è detto ostruttivo. Se sono obliterate le cisterne basali e lo spazio aracnoideo cerebrale, il liquor comunica col sacco pinale, ma non è riassorbito, e si ha l'idrocefalo comunicante aresorptivo. Si distingue anche in congenito o acquisito; diffuso, circoscritto; interno (del sistema ventricolare), esterno (della convessità), ed è sintomo di lesioni varie congenite o infiammatorie, o da tumori e da traumi (Meningitis serosa traumatica o Hydrocephalus traumaticus, T. Billroth, H. Quincke).
L'idrocefalo è un sintomo, e la sua diagnosi generica è facile, e così quella speciale d'idrocefalo comunicante od ostruttivo mediante: le prove del passaggio di liquidi colorati (v. sopra), l'encefalografia o la ventricolografia. Ma la diagnosi delle cause richiede uno studio accurato, e salvo tumori e traumi, è assai dificile. Quello congenito conduce per lo più a morte; i pochi infermi sopravvissuti sono per lo più deficienti. Quello acquisito può guarire, se dovuto a iperproduzione che s'arresta, o se si rimuove la causa (tumore).
La cura di quello congenito ostruttivo consiste in ripetute punture dei ventricoli, che non conducono a guarigione; nel drenaggio permanente tra ventricoli e spazio subaracnoideo, nel connettivo sottocutaneo o in una vena, con risultati definitivi nulli; nella puntura del corpo calloso (Anton, Bramann), con rari successi sia per il chiudersi del foro fatto, sia perché il liquor fluente dall'apertura del corpo calloso, non va nello spazio subaracnoideo, ma in quello subdurale che non può riassorbirlo.
Nell'idrocefalo acquisito, in caso di neoplasma subtentoriale o di cicatrici e formazioni d'abnorme tessuto occludenti i forami di Luschka e Magendie la cura chirurgica può dare ottimi risultati.
L'idrocefalo comunicante non può essere curato radicalmente perché non possiamo rimuovere le estese aderenze dello spazio subaracnoideo cerebrale, e dobbiamo perciò creare nuove vie di deflusso o diminuire la produzione del liquor. Si ricorre a punture lombari ripetute, alla puntura suboccipitale con formazione di apertura permanente tra lo spazio subaracnoideo e i muscoli della nuca, con vario esito definitivo, al drenaggio permanente con tubi, vene, ecc., come sopra si disse, senza risultato stabile, con impianti d'un uretere dopo tolto il rene (B. Heile), del quale l'autore riferisce due guarigioni. L'iperproduzione può combattersi con raggi X, asportazione o causticazione dei plessi corioidei, ma è sempre di grave prognosi.
Microcefalia. - O. M. Lannelongue propose la cranioresezione definitiva asportando un tratto d'osso largo 5-10 mm. per una lunghezza di 10-14 d'ambo i lati, a 4 cm. dalla linea mediana e parallelo ad essa; P. Postempski e altri lo seguirono. L'operazione è abbandonata.
5. Neurosi traumatiche. - Consistono specialmente in cefalea, vertigine, torpore cerebrale, eccitabilità, depressione. A parte le frequenti simulazioni o aggravamenti intenzionali, come s'osservano in assicurati o in feriti di guerra, esistono veramente tali disturbi talora psicogeni, talora, come da ricerche specialmente di O. Förster e altri, veramente dovuti a lesioni organiche rilevabili solo con aumentata pressione del liquor, alterazione di forma dei ventricoli e dello spazio subaracnoideo, rallentamenti nelle prove di passaggio, diminuito tempo di secrezione d'alcune sostanze. Ma poiché tali fatti si riscontrano anche in assenza di psicosi traumatiche e non sempre quando la psicosi è avvenuta dopo il trauma, il loro valore non è assoluto. Se esistono fatti d'aumentata pressione endocranica, o dolori localizzati, può essere indicata una trapanazione decompressiva.
6. Epilessia (v). - Se jacksoniana o sintomatica, la cura chirurgica consiste nello scoprire l'area motoria e rimuovere la causa. Tumori meningei, corticali, subcorticali, cisti, residui d'ematomi, lesioni meningo-encefaliche sono stati così rimossi e i risultati definitivi spesso ottimi. Ma se, come raramente avviene, non v'è causa anatomica, si può rimuovere l'area di corteccia cerebrale corrispondente ai muscoli dai quali la convulsione s'inizia (V. Horsley). È necessario circoscriverla esattamente con corrente faradica e l'escissione dev'essere limitatissima, affinché non rimanga un deficit definitivo. Di solito questo o migliora assai o si ripara quasi totalmente. Se genuina o essenziale, la cura chirurgica non dà che poche speranze. È stata praticata rimuovendo l'area corticale corrispondente alla lesione iniziale, quando questa era ben definita, o praticando una trapanazione a valvola secondo T. Kocher, cioè con escissione d'una zona d'osso e dura madre, partendo dalla teoria che nell'attacco epilettico vi sia aumento di pressione del liquor. I risultati non sono stati soddisfacenti e la cura chirurgica in tale forma di epilessia è quasi abbandonata. Nello stato epilettico la puntura lombare o della cisterna midollare, seguita anche da iniezioni di medicamenti (luminal, G. Ayala), può salvare la vita.
Epilessia traumatica. - La guerra ha esteso le conoscenze di questa notevolmente. A ogni trauma cranico può seguire epilessia, ma alle ferite cranio-cerebrali, specialmente tangenziali, con sede parietale, con maggiore frequenza (stimata da varî autori dal 5% al 30%). Si verifica o poco dopo, o a distanza, e non s'hanno miglioramenti e guarigioni spontanee che in piccola proporzione anche se la lesione fu ben curata. Perciò i chirurgi fin da tempi remoti hanno cercato di curarla operando sulla regione lesa, dopo adeguata cura medica. Se non v'è evidenza di lesione ossea o encefalica che agisca come stimolo, l'attesa dev'essere prolungata, altrimenti breve. Ma persistendo o aggravandosi il male, la cura chirurgica si può tentare, sebbene i risultati siano nell'insieme sfavorevoli. Se la guarigione definitiva è rara, miglioramenti anche notevoli si possono ottenere, e d'altra parte la disperata condizione futura dei malati ci autorizza in casi speciali a un tentativo che, se ben eseguito, non darà che di rado mortalità operatoria.
La cura chirurgica ha di mira la rimozione di lesioni meningoencefaliche, la ricostruzione della dura madre e dell'osso. Scoperta ampiamente la regione lesa, s'asporta la cicatrice che unisce dura e cervello talora prolungantesi a cuneo in questo. Eseguita l'emostasi, se resta perdita di sostanza cerebrale si colma con trapianto libero d'adipe o di muscolo, poi si ricostruisce la dura con lembo aponeuro-adiposo libero, e infine la lacuna cranica con osteoplastica.
Atetosi. - Fu curata da V. Horsley escidendo un tratto di corteccia corrispondente all'arto dove i sintomi predominavano.
Psicosi varie furono curate da R. Burckhardt pure con ampie escissioni di corteccia, nelle sedi presunte come origine dei sintomi. Tali cure sono abbandonate.
Operazioni plastiche. - Perdite di sostanza del cranio estese ed esteticamente deformanti o che diano disturbi devono essere curate chirurgicamente con operazioni autoplastiche (fig. 5) o con innesti o trapianti. I metodi d'autoplastica più in uso sono quelli di F. Durante, von Hacker, Righetti che consistono nella formazione di un lembo o più lembi formati di periostio e di lamelle ossee tagliate con scalpello e presi nelle vicinanze della lacuna ossea, e su essa rovesciati; o in quello di Müller Koenig consistente nello scambio d'un lembo cutaneo preso sopra la lacuna, con un lembo cutaneo osseo preso in vicinanze in direzione opposta. Anche lembi osteoperiostali presi da altre regioni (trapianti liberi) possono essere utili, mentre protesi con corpi estranei (placche metalliche, celluloide) sono abbandonate. Se anche v'è perdita di dura madre, si può ripararla in varî modi, preferibilmente con lembo aponeurotico o adiposo libero, preso dalla coscia, o lembo di dura madre se si riesce a sdoppiarla.
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