PLASTICA, CHIRURGIA (dal gr. πλαστική [τέχνη] "arte formativa")
Chirurgia plastica è quella chirurgia eminentemente riparatrice che, nell'ambito di determinate regioni, si occupa del restauro di parti mancanti per vizio congenito o deformi o perdute, migliorandone l'apparenza, restaurandone la forma ed eventualmente ripristinandone la funzione. Di origine remotissima, probabilmente ispirata a pratiche da tempo immemorabile sperimentate felicemente nell'ambito del regno vegetale, questa chirurgia ha segnato negli ultimi lustri immensi progressi tanto che le plastiche, gl'interventi di cui si vale, estendono ogni giorno il campo della loro applicazione perfezionando anche la bontà dei risultati. Mantenendo una distinzione assai convenzionale, secondo i fini immediati di volta in volta proposti, le plastiche possono dividersi in ortomorfiche e sostitutive, le prime intese a modificare una forma difettosa, le seconde a ricostruirla, se mutilata o distrutta.
Tra le principali risorse della chirurgia plastica si trovano i trapianti e gl'innesti. Nella terminologia corrente, per trapianto s'intende un lembo di cute, di tendine, di mucosa, ecc., che per opportunità del restauro viene spostato da una regione a un'altra conservando, almeno per un certo tempo, servitù nutritizia e quindi rapporti di continuità con la regione prestatrice, mentre per innesto piuttosto si designa un lembo di cute, un frammento di osso, di cartilagine, ecc., completamente staccato dalla regione prestatrice e trasferito a un'altra dov'è destinato a rivivere. Se ne deduce che mentre un trapianto dovette sempre essere sinonimo di autoplastica, cioè restauro ottenuto con materiale fornito dallo stesso individuo, un innesto poté altra volta differenziarsi in auto-, omo-, etero-innesto a seconda che il materiale era tolto dall'individuo stesso da altro della stessa specie, o di specie diversa, eventualmente inferiore. In realtà con l'imporsi del criterio quasi assiomatico di restaurazioni biologiche in senso stretto, criterio cioè che impone di trovare nel soggetto medesimo i materiali necessarî al restauro di cui abbisogna, agli omo-, e soprattutto agli etero-innesti è ormai rivolto un interesse di storia e in qualche caso solo di aneddoto o di leggenda.
La chirurgia plastica non si limita alla superficie cutanea, ma si rivolge anche a strutture sotto-tegumentarie, allo scheletro, a una quantità di apparati e di organi cavitarî. Si eseguiscono plastiche sui tendini, sulle aponeurosi, sulle ossa, sui muscoli, sulle pareti delle grandi cavità, sulle articolazioni, sui tubi mucosi come sui loro orifizî e così via. Di queste svariate plastiche, la grande maggioranza è utilizzata a scopi ortomorfici; così si hanno plastiche allunganti e accorcianti (tendini, ossa, tubi mucosi, canali parietali, ecc.); plastiche allarganti e restringenti (per la cura di stenosi, di ectasie, ecc.); plastiche deostruenti (per le atresie congenite o acquisite); plastiche obliteranti (di cavità o di orifizî patologici); plastiche rinforzanti o riducenti (tendini, ossa); plastiche regolarizzanti o di modellamento, ecc.
Norme fondamentali per l'esecuzione di plastiche. - Asetticità. - In molti casi se non si è sicuri dell'asetticità di tutto il campo di operazione e cioè tanto della regione su cui deve portȧre il restauro quanto dei lembi o materiali predisposti a effettuarlo, non si deve procedere all'intervento, sotto pena di vederlo fallire con la probabilità di aggiungere nuovo danno a quello preesistente, sciupando ancora un materiale in ogni caso prezioso. Questa norma vale soprattutto nella pratica degl'innesti liberi che in genere richiedono quale condizione fondamentale la loro rigorosa asepsi e quella dell'ambito in cui sono trasferiti. Così si troverà molte volte opportuno ritardare l'intervento riparatore a un tempo anche lontano, quando possa aversi la sicurezza d'una sterilità praticamente completa delle parti cui l'intervento si rivolge.
Certezza di buona nutrizione dei lembi plastici. - La conservazione della vitalità dei lembi plastici dipende soprattutto dall'irrorazione che proviene dalla loro base e in secondo luogo dallo stabilirsi di nuovi rapporti vascolari tra i lembi e i tessuti su cui vengono applicati (telangiostomosi). A tal uopo occorre dare ai lembi una base, o un peduncolo, sufficientemente larghi e per i quali passino, possibilmente, dei vasi sanguigni di calibro appropriato: nella rinoplastica indiana, per esempio, si fa in modo che la base del lembo contenga l'arteria frontale interna; nelle cranioplastiche i lembi si scolpiscono a preferenza con la base alla periferia cranica, in modo che vengano irrorati da una delle principali arterie delle parti molli (temporale, frontale, occipitale) o da uno dei loro rami. Ma non basta orientare bene il lembo perché ne sia assicurata la nutrizione, occorre altresì badare a non maltrattarlo, a non torcerlo troppo, a non suturarlo sotto forte trazione, ecc.
a) Buona dissezione dei lembi: nel dissecare un lembo, occorre prefiggersi di privarlo quanto meno è possibile dei tessuti che lo foderano e di non tagliuzzarlo in modo da interrompere qua e là la continuità dei vasi sanguigni che dovranno nutrirlo. Nello scollare un lembo cutaneo è bene lasciare a esso attaccato un po' del sottocutaneo che lo fodera, e si deve badare, nel dissecarlo, di rivolgere il tagliente non contro la pelle, ma contro i tessuti sottostanti.
b) Torsione dei lembi: un lembo, anche se fornito di peduncolo ben vascolarizzato, non deve mai essere torto eccessivamente, perché tale torsione restringe od occlude i vasi del peduncolo e lo condanna alla necrosi; nella rinoplastica indiana, al lembo si cerca di non imprimere una torsione che oltrepassi i 180°.
c) Stiramento dei lembi: in maniera analoga alla torsione, agisce lo stiramento dei lembi, anche se non debbono venire torti sul peduncolo; infatti un lembo, sotto tutti i rapporti ben preparato, se viene suturato sotto forte trazione, lo si vede anemizzare sotto gli occhi dell'operatore, perché lo stiramento restringe od occlude i vasi che l'attraversano. Le trazioni più pericolose sono quelle esercitate in prossimità della base. Quando il chirurgo si accorge dell'anemia del lembo, deve subito rimuovere i punti di sutura che la producono e, se ciò non basta, o provvedere a rendere il lembo più lungo, o, se questo non è possibile, limitarsi a eseguire una plastica parziale, preferibile al fallimento completo per necrosi dei tessuti troppo stirati. Nei lembi plastici del capo, ricchissimi di vascolarizzazione, si fa talora affidamento su questa particolare circostanza, per azzardare uno stiramento maggiore del consueto: in tal caso però il chiru̇rgo ha l'obbligo di rivedere molto spesso il sito operato, per rimuovere quei punti di sutura che minacciassero di compromettere la vitalità dei tessuti.
d) Sufficienza dei lembi: questa esigenza è importante, non solo per preparare lembi capaci di ricoprire tutta la perdita di sostanza, ma altresì per non doverli poi stirare troppo, con i pericoli or ora esposti.
e) Emostasi: è d'importanza essenziale assicurarsi della perfetta emostasi di tutto il campo operatorio, prima di procedere alla sutura dei lembi; giacché l'eventuale formarsi di un ematoma che s'insinui tra questi ultimi e i tessuti da essi ricoperti impedisce o compromette l'aderenza tra le due facce cruentate e lo stabilirsi degli scambî nutritizî, prima interstiziali e poi telangiostomici, fra il trapianto e il fondo che lo riceve. Senza dimenticare che un ematoma può esercitare una compressione eccentrica, capace di danneggiȧre la libera circolazione sanguigna del lembo trapiantato.
Ampiezza e forma dei lembi. - Questa esigenza dev'essere curata con particolare attenzione, senza troppo fidarsi di calcolare tutto a occhio, sotto pena di fallire allo scopo. E siccome le plastiche, specie ortomorfiche e particolarmente quelle fatte a scopo estetico, sono operazioni facoltative, nelle quali l'obiettivo precipuo è la correzione d'una deformità, si comprende facilmente come un insuccesso possa dar luogo a recriminazioni. Il chirurgo quindi deve studiare quale sia il tessuto che si presti meglio a fornire il lembo, e ciò tanto dal punto di vista della sufficienza della stoffa, quanto da quello della irrorazione del lembo, dell'eventuale torsione del peduncolo e delle cicatrici residue. Anche la qualità del lembo è importante; un lembo di cuoio capelluto farebbe crescere i capelli sul punto d'impianto. Per la grandezza del lembo bisogna tener conto della ben nota retraitilità dei tessuti scolpiti, per la quale il lembo deve essere circa un quarto più ampio della superficie da ricoprire. La vecchia regola di preparare un modello di carta o di tela, delle dimensioni calcolate con la suaccennata larghezza, è sempre ottima e da raccomandare vivamente.
Preparazione del tessuto ricevente. - Esso deve essere recentato con cura e preparato in modo che, dopo il trasporto dei lembi, non residuino altre deformità. Se si tratta di perdite di sostanze granulanti, le granulazioni debbono essere raschiate con il cucchiaio, o col rude strofinio di una pezza d'autoclave, e i margini debbono venire avvivati, al bisogno escidendone delle listerelle e scollandoli perché si prestino bene alle suture. Perche al momento dell'applicazione dei lembi sia cessato il gemizio sanguigno provocato dalle dette manovre, si suol far precedere queste alla preparazione dei lembi.
Peduncoli. - Abbiamo già detto che debbono essere bene irrorati e aggiungiamo che debbono anche avere un'ampiezza proporzionata a quella del lembo. Infatti, se questo è grande e il peduncolo è troppo piccolo, la nutrizione dell'intero non si può ritenere sufficientemente garantita. Nei casi in cui si vuol fare un lembo a lungo peduncolo, per poterlo trasportare a notevole distanza dal sito di prelevamento, si suole ricorrere all'accartocciamento o tubulazione del peduncolo. Quanto alla maniera di trattare i peduncoli dopo l'attecchimento del lembo, essi, ove occorra sezionarli per suturarli sulle residue perdite di sostanza, debbono essere recisi dopo 14 o più giorni, ed è anche meglio se sî sezionano poco per volta, in diverse sedute, attuando l'autonomizzazione proposta da A. Ceci, e cioè la progressiva attitudine del lembo di nutrirsi con i succhi della regione ospite, senza più bisogno dell'irrorazione basale.
Trattamento dei margini e degli angoli dei lembi. - È utile curare l'esatta giustapposizione dei margini del lembo, con quelli della perdita di sostanza cui debbono venire affrontati, ricordando che quei tratti di lembo che eventualmente embricassero il tessuto cutaneo ospite, non solo non attecchirebbero con cicatrice lineare, ma sarebbero destinati alla necrosi della striscia eccedente che copre la pelle vicina. Nei limiti delle esigenze è bene non fare angoli perchè soggetti frequentemente a cadere in necrosi.
Rimozione delle suture. - Si esegue di solito al 7° giorno nelle plastiche cutanee, al 5° nelle plastiche mucose, mentre si lasciano perdute le suture delle plastiche profonde. Però nelle cutanee, spesso occorre rimuoverne qualcuna stirante qualche giorno prima, e lasciarne in sito qualche altra sino all'8° o al 10° giorno.
Cura delle perdite di sostanza prodotte dal prelevamento dei lembi plastici. - Quando si può, vi si provvede con suture e plastiche accessorie in 1° tempo, a patto però che le dette suture non esercitino trazioni dannose all'irrorazione dei lembi e specialmente dei loro peduncoli. Quando ciò non è possibile, si lascia granulare la perdita di sostanza e quando le granulazioni giungono a fior di pelle, vi si innestano sopra lembi epidermici o dermo-epidermici.
Plastiche a tempi successivi. - In molti casi non si può sperare di ricoprire o di sostituire tutta la parte mancante con una plastica fatta in un sol tempo, con uno o più lembi. In tali casi si provvede con più interventi opportunamente tra loro spaziati.
Esiti prossimi e lontani. - Di solito sono lodevoli e stabili, non di rado brillantissimi con l'aiuto del tempo che tende a perfezionare molti risultati. Così migliorano progressivamente le plastiche ossee, tendinee e soprattutto quelle cutanee grazie al cancellarsi delle cicatrici, all'uniformarsi del colore dei lembi trapiantati che finiscono per diventare non più differenziabili nell'aspetto e nella forma dai tegumenti che furono chiamati a sostituire.
Riferendosi alle plastiche tegumentarie, quelle di più frequente applicazione, i metodi fondamentali possono distinguersi in metodi che utilizzano materiali prestati da regioni vicine e metodi che utilizzano materiali prestati da regioni lontane. Fanno parte dei primi le plastiche per scorrimento o per torsione di lembi e degli altri le plastiche all'italiana, con tutte le modificazioni che ne furono poi suggerite.
Plastiche per scorrimento (metodo di Celso). - Questo metodo, il più semplice di tutti, consiste nell'utilizzare i tessuti deformati stessi, o quelli marginali della dismorfia o della perdita di sostanza, previamente preparati in maniera opportuna (figure 1-2). Caratteristica di questo metodo è che i margini, o i lembi, debbono venire traslocati per stiramento o per reclinazione, ma non mai per torsione o per arrovesciamento.
a) Scelta dei tessuti correttori o sostitutori. Nelle plastiche ortomorfiche per lo più si utilizza il tessuto o i tessuti stessi che sono sede della dismorfia: se si vuole allargare un canale ristretto (per esempio un pilorostenotico), lo si apre con una incisione praticata secondo l'asse longitudinale del canale, si stirano in senso divergente i due labbri della ferita e si suturano in senso trasversale (fig. 3), con il che il lume stenotico viene ampiamente allargato. Se, invece, si desidera restringere un ventricolo dilatato, si praticano su di esso delle suture arriccianti in senso trasversale ottenendo quell'impicciolimento del lume che si desidera. Se occorre accorciare un tendine, lo si ripiega su sé stesso a lettera N; quando, invece, si vuole allungarlo, lo si divide a lettera Z e le due lacinie risultanti si riuniscono capo a capo (fig. 4).
Nelle plastiche sostitutrici si utilizzano i tessuti circostanti alla perdita di sostanza, o col semplice scollamento e avvivamento dei margini, che così vengono avvicinati e riuniti tra di loro (fig. 5), oppure, quando la perdita di sostanza è tanto grande da non bastare questo semplice provvedimento, col praticare incisioni liberatrici, le quali permettano ai margini di avvicinarsi senza eccessivo stiramento. Ma nella grande maggioranza dei casi, si deve ricorrere alla formazione di uno o più lembi, ricavati nelle più svariate maniere. Nelle plastiche complesse non bastano lembi di un sol tessuto, ma si devono utilizzare altri materiali di foderatura, di sostegno, ecc.
b) Preparazione dei lembi. - Abbiamo già detto come si provvede a prepararli vitali, ben irrorati, di ampiezza e forma confacente, ecc. Aggiungeremo che nei singoli casi il chirurgo dovrà studiare quale specie e forma di lembo o di lembi son da preferire, se uno o più, se fatti scorrere o dislocati (fig. 6): problemi tutti alla cui felice soluzione contribuisce molto la genialità inventiva ed estetica dell'operatore.
c) Dislocazione dei lembi. - Le figg. 5-6 fanno chiaramente vedere come si possa utilizzare lo scivolamento semplice rettilineo o l'inclinazione laterale di lieve grado, dipendenti dalla forma dei lembi prescelti.
Plastiche per torsione (metodo indiano), e per arrovesciamento. - In questi interventi i lembi, semplici o multipli, possono essere ricavati dai tessuti più o meno vicini, e anche lontani, ma per adattarli sulla sede preparata, vengono arrovesciati o fatti ruotare sul peduncolo. Nella rinoplastica si usa frequentemente il metodo indiano (figura 7), secondo il quale il lembo scolpito sulla fronte viene torto sul peduncolo e suturato sulla perdita di sostanza del naso. Quando si debba fare una rinoplastica con fodera cutanea, prima si scolpisce un lembo che viene arrovesciato con la superficie cutanea rivolta verso la cavità nasale, e poi si ricopre la parte cruenta di questo lembo con altri improntati da altre regioni. In tal caso la pelle che guarda la cavità nasale non tarda ad assumere l'aspetto della mucosa. Nel caso che si desideri prendere un lembo da un punto lontano si farà com'è disegnato nella fig. 9, o, meglio ancora, si accartoccerà il peduncolo del lembo, come nella fig. 10: la sutura accartocciante impedirà la dispersione di parte dei liquidi destinati a nutrire il lembo, e, dopo sicuro attecchimento di questo, il peduncolo sarà reciso a tappe (autonomizzazione del lembo), indi sarà riaperto e disteso così da essere utilizzato per ricoprire la parte ancora scoperta della breccia.
Plastiche all'italiana (lembo distale semplice o tubulato). - Inconveniente delle plastiche per scorrimento o per torsione è quello di aggiungere cicatrici ed eventuali deturpamenti secondarî sulla regione prestatrice. Geniale innovazione deve ritenersi quella di togliere il materiale indispensabile al restauro da una regione lontana (p. es., braccio) temporaneamente avvicinata alla regione mutila. L'origine di tale pratica vien fatta risalire ai Branca di Tropea, chirurghi empirici che per alcune generazioni si tramandarono il segreto dell'impresa, divulgata poi da Gaspare Tagliacozzi, maestro nello Studio bolognese, il quale in un'opera rimasta famosa anche perché costituisce il primo trattato di questa particolare chirurgia, dettava nel 1597 le norme e precisava i particolari d'un metodo che corre ancora sotto il suo nome.
Il procedimento del metodo classico originale italiano è quello rappresentato dalla fig. 8, in cui il lembo cutaneo, destinato alla ricostruzione del naso, è prelevato dalla pelle del braccio, che deve restare immobilizzato da un apparecchio rigido per tutto il tempo necessario all'attecchimento del lembo; poi il peduncolo di questo viene reciso e l'apparecchio rimosso.
Un'altro tipo di tali plastiche è quello rappresentato dalla fig. 9 (a sinistra), dove la posizione immobile è meno incomoda che nella operazione precedente. In entrambi i casi il lembo ha un solo peduncolo, però ben irrorato. Invece nella plastica disegnata nella fig. 9 (a destra), il lembo è scolpito a ponte, e cioè ha sull'altro, il vantaggio di godere della doppia irrorazione proveniente dalle due radici. In quest' ultimo procedimento è d' obbligo la medesima lunga immobilizzazione e la recisione dei peduncoli del lembo si fa in due tempi, scontinuandone prima uno e, dopo qualche giorno, l'altro.
Derivazione evidente del metodo italiano e opportuno perfezionamento di questo, può ritenersi il lembo tubulato di H. Gillies chi costituisce una delle più preziose risorse della chirurgia plastica moderna (figura 10). Due lunghe incisioni parallele delimitano sulla regione prestatrice un lembo piano che, mediante sutura dei due margini, è trasformato in un tubo cutaneo. Al di sotto, l'area cruenta vien tosto coperta per avvicinamento e sutura dei suoi bordi. Quando dopo un certo tempo, l'irrorazione sanguigna del lembo tubulato si giudica sufficientemente riorganizzata, il tubo viene staccato in corrispondenza della radice distale, parzialmente aperto e fissato alla regione da riparare. Quando sia stabilita buona aderenza tra il lembo così trasferito e la nuova sede che lo accoglie, il peduncolo tubulare viene reciso e utilizzato per completare la riparazione o è ricondotto alla sede primitiva. Il lembo tubulare è molto vitale, protetto da infezioni e da necrosi, può subire torsioni e rotazioni che mal sarebbero imposte a un lembo aperto e piano, non aggiunge cicatrici in prossimità della regione del restauro, è molto meno cruccioso per il paziente che non il lembo all'italiana utilizzato secondo il procedimento classico e permette infine di conseguire risultati cui sarebbe difficile giungere per mezzo di altri accorgimenti.
Bibl.: G. Tagliacozzi, De curtorum chirurgia per insitionem, ecc., Venezia 1597; G. Corradi, Dell'antica autoplastica italiana, Milana 1863; H. Gillies, Plastic Surgery of the face, Londra 1920; J. Joseph, Nasenplastik und sonstige Gesichtplastik, Lipsia 1931; E. Lexer, Die gesamte Wiederherstellungschirurgie, Lipsia 1931.