Chirurgia
di Beniamino Tesauro, Alessandro Puzziello, Stefania Masone e Pietro Francesco B.C. Addeo
Tra la fine del 20º e l'inizio del 21º sec. si sono registrati straordinari progressi in diversi settori della c. generale. La c. dei trapianti d'organo, la c. conservativa nel trattamento delle neoplasie della mammella, la nascita e l'evoluzione della c. oncologica, la c. mini invasiva e videoassistita, la c. fetale e pediatrica rappresentano alcune delle novità più rivoluzionarie.
I trapianti d'organo, da mera chimera chirurgica e pur nella loro complessità, sono diventati, in autorevoli centri di riferimento, procedura quasi routinaria; al difficile reperimento degli organi, il progresso e la ricerca hanno affiancato la donazione da donatore vivente consanguineo per rene e fegato, con tecniche di prelievo sempre più sofisticate fino ad arrivare al prelievo in laparoscopia. La c. vascolare ha incorporato tecniche di radiologia interventistica, prima esclusivamente diagnostiche poi sempre più risolutive e terapeutiche, determinando la nascita delle applicazioni endovascolari per la cura delle malattie aneurismatiche dell'aorta, per le occlusioni aterosclerotiche dei vasi arteriosi degli arti inferiori e, in casi estremamente selezionati, per i vasi arteriosi del collo. Negli anni si è affinata la conoscenza fisiopatologica delle malattie trattate. L'imaging diagnostico, in particolare con l'avvento della Tomografia Computerizzata (TC) spirale con tecnica multifasica, della Risonanza Magnetica (RM) e della Tomografia a emissione di positroni (Positron Emission Tomography, PET), una tecnica di medicina nucleare che 'legge' il consumo di glucosio fornendo informazioni sull'attività della malattia, ha permesso di migliorare l'identificazione della diagnosi precoce, intervenendo e modificando così la storia naturale di alcune neoplasie. Si è rivolta inoltre maggiore attenzione alla preparazione del paziente all'intervento e alle tecniche anestesiologiche, incrementando notevolmente gli interventi eseguiti in regime ambulatoriale (osservazione postoperatoria di almeno sei ore), in day surgery (con osservazione postoperatoria di almeno dodici ore), in one day surgery (con pernottamento postoperatorio e dimissione in prima giornata) e in short stay surgery (con due pernottamenti postoperatori e successiva dimissione).
Le terapie postoperatorie oncologiche hanno migliorato, con la ricerca farmacologica, le risposte totali al trattamento delle malattie neoplastiche, contribuendo a un maggior intervallo libero da malattia e a una maggiore remissione di alcune malattie oncologiche. La biologia molecolare, infine, ha favorito lo sviluppo di nuove tecniche di diagnosi precoce con finalità di interventi mirati alla fase preclinica della malattia.
Chirurgia oncologica
La c. ha rappresentato per lungo tempo l'unica modalità di trattamento dei tumori. Il trattamento multidisciplinare delle neoplasie ha introdotto una complessità di valutazioni che è andata di pari passo con un affinamento delle tecniche operatorie. La c. oncologica è inserita in processi decisionali sempre più complessi in rapporto alla diversa espressione biologica dei vari tumori, alla differente sequenza dei trattamenti, alle condizioni dell'organismo ospite, alla percezione della qualità di vita del singolo individuo e ai costi dell'innovazione tecnologica. Nel trattamento multidisciplinare del cancro, al chirurgo spetta un ruolo centrale, intervenendo nelle varie fasi di prevenzione, diagnosi, terapia, follow;up e riabilitazione. La c. oncologica è formalmente divisa in diverse aree, ma i confini tra i diversi settori sono spesso labili e sfumati. In ciascuna area va considerata la possibilità di interazione con altre specialità per ottenere il risultato migliore. È possibile, quindi, distinguere chirurgia preventiva, chirurgia diagnostica, chirurgia finalizzata alla stadiazione, chirurgia per il trattamento del tumore primario, chirurgia delle metastasi, chirurgia citoriduttiva, chirurgia palliativa, chirurgia riabilitativa e ricostruttiva.
Chirurgia preventiva
La trasmissione ereditaria di alcune alterazioni genetiche può essere associata a un elevato rischio di cancro. La c. preventiva interviene in questi casi rimuovendo l'organo bersaglio, prima che in esso si sviluppi il cancro. In alcuni casi, la presenza di una specifica alterazione genetica comporta con certezza la comparsa, entro un intervallo di tempo più o meno lungo, della neoplasia nell'organo bersaglio. Nei pazienti con poliposi adenomatosa familiare, malattia ereditaria legata alla presenza di mutazioni nel gene apc che si manifesta con numerosi polipi nel grosso intestino e cancerizzazione di alcuni di essi (in più del 50% entro i 40 anni), la regola codificata consiste nel controllare con colonscopia i familiari di questi pazienti e di asportare l'intestino retto-colico in tutti i portatori della malattia. La prevenzione è diventata ancor più tempestiva, disponendo di un test genetico per evidenziare la malattia. Altro esempio di neoplasie ereditarie riguarda un particolare tipo di cancro della tiroide, il carcinoma midollare della tiroide, che può essere legato a mutazioni di un gene (ret); i familiari di un soggetto affetto da cancro midollare della tiroide, positivi al ret-test, saranno sottoposti ad asportazione totale della tiroide (tiroidectomia totale). Nelle alterazioni genetiche, per le quali il rischio di comparsa di una specifica forma tumorale è maggiore rispetto alla popolazione di controllo, con insorgenza di malattia non certa, l'indicazione all'intervento è meno chiara. In questi casi saranno attentamente valutate le diverse strategie di controllo e di terapia, esposte e concordate con il soggetto coinvolto, dopo un colloquio informativo (counseling genetico). La c. preventiva svolge un ruolo importante in alcuni casi di colite ulcerosa, con un'incidenza neoplastica nel 10-15% dei casi, e nel trattamento delle lesioni precancerose intestinali.
Chirurgia diagnostica
Per la diagnosi di neoplasia, al chirurgo spetta il compito fondamentale di acquisire mediante biopsia un frammento di tessuto neoplastico per la diagnosi. La biopsia può essere incisionale, se consiste nella rimozione di un frammento di tessuto da una massa tumorale, o escissionale, se comporta l'asportazione dell'intera lesione sospetta. Il prelievo può essere eseguito preoperatoriamente in endoscopia, con guida ecografica o della TC, con c. open o in laparoscopia a seconda dell'organo o della sede da esaminare.
Chirurgia finalizzata alla stadiazione
La conoscenza precisa della diffusione di una neoplasia (stadiazione) è fondamentale per la scelta della migliore strategia terapeutica. A tal fine si ricorre a esami di laboratorio e all'imaging diagnostico come l'ecografia, l'ecoendoscopia, la TC, la RM, la PET, la PET;TC (che associando le immagini PET, ricche di informazioni di tipo metabolico;funzionale, a quelle della TC, dotate di una grande accuratezza spaziale, aggiunge informazioni risolutive), rivelandosi estremamente utile nella diagnosi e nel follow;up dei pazienti con tumore. Le informazioni così ottenute costituiscono la stadiazione clinica, che va distinta dalla stadiazione definitiva, ottenuta integrando quanto già ottenuto dalla stadiazione clinica con quanto evidenziato dall'esame anatomo;patologico del 'pezzo chirurgico'. Un ruolo importante riveste la laparoscopia, associata talvolta all'ecografia intraoperatoria, permettendo l'acquisizione di importanti dati circa l'estensione di una neoplasia, l'esecuzione di biopsie, il posizionamento di clips radiopache per delimitare aree neoplastiche.
Chirurgia per il trattamento del tumore primario
La c. radicale del tumore primitivo ha finalità curative ed è la prima modalità di trattamento in tumori confinati clinicamente al sito anatomico di origine. Essa consiste nell'asportazione del tumore primario e dei suoi linfonodi regionali; ma si è visto che, in una percentuale variabile di pazienti, sono già presenti al momento dell'intervento chirurgico micrometastasi clinicamente silenti, responsabili della successiva ripresa della malattia neoplastica. Tali evidenze hanno modificato il concetto di terapia chirurgica radicale, consentendo di abbandonare molti schemi di c. estremamente aggressiva e invalidante (per es., la mastectomia radicale allargata) a favore di interventi chirurgici meno demolitivi e meno traumatizzanti, ma altrettanto efficaci, soprattutto se integrati con altre modalità terapeutiche. Questo nuovo tipo di c. è stato definito c. adeguata. Il trattamento 'adeguato' per il tumore primario varia a seconda del tipo e della sede del tumore. Principio cardine della c. oncologica è quello di asportare tutta la neoplasia con margine periferico sano senza aver lasciato tessuto neoplastico residuo, resezione in blocco degli organi contigui infiltrati dalla neoplasia e asportazione dei linfonodi locoregionali. Importanti cambiamenti si sono verificati da quando è stato compreso che il principale ruolo della linfadenectomia è quello di ausilio nella stadiazione e da quando si è affermato il concetto che se i linfonodi locoregionali sono negativi, l'ulteriore linfadenectomia è un intervento inutile e non scevro da complicanze.
Chirurgia delle metastasi
Le cellule tumorali possono dare origine a metastasi, ossia localizzazioni tumorali in sedi anatomiche diverse da quella di partenza, propagandosi dal tumore originario attraverso il sistema linfatico (metastasi linfonodali) o attraverso il sistema circolatorio sanguigno (metastasi a distanza).
Il carcinoma della mammella, dove la quadrantectomia e la dissezione ascellare (asportazione di uno 'spicchio' di mammella nel quale è compreso il tumore e di tutti i linfonodi dell'ascella) sono procedure di comune applicazione, può essere portato come esempio del concetto. La dissezione del compartimento linfonodale ascellare non è sempre esente da spiacevoli conseguenze. La formazione di voluminose raccolte linfatiche ascellari (linfoceli), l'aumento di volume del braccio postmastectomia (linfedema), l'impotenza funzionale dello stesso causata da lesioni di alcune fibre nervose che decorrono a livello ascellare sono le complicanze più frequenti e invalidanti dopo c. per neoplasia mammaria. A partire dagli anni Ottanta del 20° sec. si è cominciato a sostenere che in alcuni tipi di neoplasie era possibile eseguire un intervento adeguato, comunque radicale e corretto dal punto di vista oncologico, senza asportare l'intero comparto linfonodale, ma togliendo con il tumore soltanto il linfonodo nel quale era più probabile si fossero fermate le cellule neoplastiche, introducendo il concetto di linfonodo sentinella. Il linfonodo sentinella è quello in cui per primo arrivano le cellule metastatiche da un sito tumorale, in pratica il primo linfonodo che riceve linfa direttamente dal tumore. Lo svuotamento linfonodale va eseguito solamente in caso di riscontro di cellule tumorali nel linfonodo sentinella mantenendo comunque la radicalità chirurgica ed evitando l'insorgenza delle complicanze derivanti da una dissezione linfonodale completa.
Alla c. si affiancano a volte metodiche meno invasive per formare processi terapeutici integrati o alternativi. Per i tumori superficiali dell'esofago esiste tutta una gamma di procedure integrate: la più attuale impiega una sostanza fotosensibilizzante che iniettata per via endovenosa si fissa alle cellule neoplastiche per poi utilizzare, attraverso l'endoscopio, una sorgente laser che distrugge le cellule neoplastiche fotosensibilizzate senza danneggiare quelle sane circostanti. In c. epatica, per la cura delle metastasi da carcinoma del colon retto o per la terapia dell'epatocarcinoma su cirrosi, alla resezione epatica si affiancano terapie che sfruttano energie 'naturali': il calore, nella ablazione con radiofrequenza che 'brucia' la neoplasia; il freddo, nella ablazione con crioterapia che 'congela' la neoplasia; la combinazione caldo/evaporazione, come nella alcolizzazione, che con l'inoculazione di alcol puro intratumorale determina denaturazione e disidratazione cellulare con conseguente morte cellulare; o ancora l'embolizzazione, metodica angioradiologica che, bloccando le afferenze vascolari alla neoplasia, determina ischemia della massa con eventuale associazione di chemioterapici nella massa neoplastica.
Le metastasi per cui è posta più frequentemente l'indicazione chirurgica sono quelle localizzate al fegato o al polmone. Prima di sottoporre a trattamento chirurgico un paziente con metastasi, dopo aver escluso altre localizzazioni o malattia diffusa, è necessario considerare attentamente l'istologia del tumore, l'intervallo libero da malattia, la localizzazione, il numero e il volume delle metastasi. Il trattamento delle metastasi epatiche si avvale anche di tecniche mini invasive alternative alla c., che utilizzano energia capace di indurre una termoablazione delle cellule tumorali come la Radiofrequenza, la Laser-ipertermia (radiazione luminosa monocromatica, focalizzata e coerente, che si diffonde nei tessuti e induce calore), le Microonde e gli Ultrasuoni focalizzati a elevata intensità (US). Fra le metodiche citate quelle che hanno raggiunto un maggiore campo di applicazione clinico sono la termoablazione con radiofrequenza e con laser. Elettrodi ad ago schermati vengono utilizzati per concentrare l'energia in un tessuto selezionato: la punta dell'elettrodo conduce una corrente alternata a elevata frequenza, che crea un surriscaldamento definito come effetto di resistenza termica. Con una singola ablazione può essere prodotta una lesione termica sferica di 2;5 cm; conseguentemente, le lesioni che possono essere trattate rispondono a dimensioni inferiori a 5 cm. Obiettivo della termoablazione a RF è distruggere il tumore insieme a un margine di parenchima sano perilesionale di 5;10 mm. Le applicazioni di RF possono essere utilizzate per via percutanea o intraoperatoria, in c. tradizionale e/o laparoscopica. L'ecografia è il metodo di imaging preferito come guida per la procedura, ma può essere utilizzata anche la TC. I risultati ottenuti con la RF e con il laser sono, con qualche differenza, sovrapponibili. Anche le metodiche mini invasive non sono scevre da complicanze minori e maggiori come ematoma, versamento pleurico, emobilia, colecistite, trombosi portale, emotorace, emoperitoneo, pneumotorace, perforazioni intestinali, dolore, febbre.
Chirurgia citoriduttiva
Per c. citoriduttiva si intende l'asportazione della massa principale del tumore, con residui macroscopici di malattia. È indicata in pazienti in cui non è possibile operare una rimozione radicale del tumore a causa della sua estensione loco;regionale. Serve a facilitare il successivo impiego della radioterapia o della chemioterapia con riduzione della massa tumorale. La c. citoriduttiva non ha alcun ruolo nelle neoplasie non sensibili ad altri trattamenti.
Chirurgia palliativa
La c. palliativa comporta una soluzione non radicale alla rimozione della neoplasia, ponendosi come unico scopo il miglioramento della qualità di vita del paziente, in situazioni in cui un trattamento curativo radicale non è possibile. È indicata per risolvere problemi meccanici, quali ostruzioni, per ristabilire il regolare transito intestinale, dei dotti biliari, delle vie escretrici renali o nel controllo del dolore per neoplasie addominali infiltranti plessi nervosi. Gli interventi di questo tipo mirano a essere poco invasivi e ci si avvale spesso di metodiche endoscopiche per il posizionamento di protesi biliari, in plastica o in metallo, per trattare l'ostruzione delle vie biliari extraepatiche, di stent ureterali per l'ostruzione delle vie escretrici renali, di protesi metalliche autoespandibili in esofago o nel colon al fine di consentire l'immediata risoluzione di un'ostruzione acuta, come passaggio ponte per la c. demolitiva.
Chirurgia riabilitativa e ricostruttiva
Gli interventi chirurgici demolitivi possono avere severe conseguenze che si riflettono non soltanto a livello funzionale, ma anche a livello psicologico, limitando le interazioni sociali. Per migliorare la qualità di vita dei pazienti si ricorre, quindi, alla c. ricostruttiva e riabilitativa. Esempio principe di questo tipo di c. è la ricostruzione della mammella dopo interventi di mastectomia, con l'impiego di protesi e/o di lembi miocutanei; le tecniche con lembi miocutanei sono utilizzate anche per la ricostruzione dopo interventi per tumori della testa e del collo o per riparare i tessuti intensamente irradiati. Altro esempio di c. ricostruttiva è il confezionamento di una nuova vescica con un tratto di intestino dopo asportazione della vescica per neoplasia vescicale o di colostomie continenti, così come la realizzazione di reservoir colici o intestinali dopo estesa c. colorettale. Altro intento è la realizzazione di una c. che curi gli aspetti di risparmio e di integrità degli sfinteri. Con la sempre maggiore affermazione del concetto e della salvaguardia della qualità della vita, questo tipo di c. ha conquistato via via più campi di applicazione, diventando a pieno titolo un momento fondamentale nell'ambito di una strategia terapeutica per malattia neoplastica.
Da quanto esposto finora appare evidente il ruolo fondamentale giocato dalla c. nella lotta contro i tumori. Ciò che però è importante sottolineare sono i mutamenti avvenuti nelle strategie di lotta al cancro, intervenendo nel momento più opportuno con tutti i mezzi disponibili (timing). L'asportazione della neoplasia era considerata l'atto preliminare su cui intervenire con le armi non chirurgiche: la radioterapia, utilizzata per evitare le recidive locali, e la chemioterapia, per distruggere le cellule neoplastiche ovunque fossero presenti nell'organismo. In questo senso si parlava di terapia adiuvante come completamento della c., e si riteneva dannoso irradiare una sede prima di operarla. I criteri sono progressivamente cambiati. C. e radio;chemioterapia vanno considerate ognuna nel proprio ruolo: la c. asporta, la radioterapia 'sterilizza' localmente e la chemioterapia completa il trattamento sul piano generale. Si è più elastici nel timing e perciò si parla di terapia neo-adiuvante, nuovo concetto di terapia integrata. Questo orientamento si è affermato soprattutto nei casi di tumore localmente avanzato, ossia infiltrato in profondità nella sede di impianto e già migrato nelle vie intramurali del viscere e fuori di esso, fino alle linfoghiandole della regione, senza metastasi evidenziabili in altri organi. Con la radioterapia e/o con la chemioterapia prima dell'intervento, il tumore può regredire anche radicalmente e diventare asportabile, se prima non lo era, o permettere di preservare una parte anatomica o una funzione, a parità di risultati in termini di sopravvivenza. Questo nuovo concetto di terapia modulata è definito retro-stadiazione. Per ottenere la massima radicalità dell'intervento è possibile praticare la radioterapia intraoperatoria (IORT, Intraoperative Radiotherapy). Questa tecnica consente di erogare una dose elevata di radiazioni durante l'intervento chirurgico sul focolaio neoplastico. Per evitare il trasferimento del paziente, in narcosi e a campo operatorio protetto, fino alla sede del bunker radioterapico, è stato prodotto un acceleratore di elettroni portatile d'irradiazione, da utilizzare in sala operatoria. Il modello di integrazione terapeutica fornito dalla IORT consente di: rendere l'intervento chirurgico più radicale in quanto elimina l'eventuale residuo tumorale; intensificare l'effetto antitumorale della radioterapia in quanto permette di somministrare livelli totali di radiazione altrimenti non raggiungibili con la sola irradiazione dall'esterno; ridurre l'intervallo tra l'asportazione chirurgica del tumore e l'irradiazione, ovviando alla sequenza intervento;successiva radioterapia, che può rappresentare una condizione per lo sviluppo e la crescita di cloni cellulari residui. La IORT viene utilizzata nel trattamento di diverse neoplasie (stomaco, pancreas, retto, sarcomi, utero), soprattutto per tumori localmente avanzati, e anche nella terapia conservativa del carcinoma mammario in stadio iniziale. In quest'ultimo caso, una dose singola di radiazioni viene somministrata, già durante l'intervento, direttamente sulla ghiandola mammaria residua dopo quadrantectomia per asportazione del nodulo tumorale. Questa procedura consente di far risparmiare alla paziente circa due settimane sulla durata totale della radioterapia postoperatoria.
Grazie alla grande esperienza acquisita nel trattamento dei diversi tumori nei vari organi (retto, mammella, polmone ecc), sono state formulate linee guida da Società scientifiche, Regioni e Ministero della Sanità (ovviamente sempre in evoluzione) per la scelta della terapia integrata, a seconda del tumore, dell'organo e dello stadio.
Chirurgia miniinvasiva e robotica
La c. miniinvasiva comprende le tipologie di intervento con accessi minimi che utilizzano in maniera singola o combinata la laparoscopia, la toracoscopia e l'endoscopia. Questi termini si riferiscono rispettivamente alla possibilità di ottenere la visione in addome, in torace e all'interno di visceri cavi. La visione si ottiene attraverso la trasmissione della luce e la successiva traduzione dell'immagine al monitor. Ciò si attua con ottiche rigide in laparo/toracoscopia, con ottiche flessibili in endoscopia. La differenza è dovuta al fatto che la distanza fra l'introduzione dell'ottica e il raggiungimento del campo chirurgico è breve in laparo/toracoscopia, mentre in endoscopia lo strumento si deve muovere all'interno di un viscere cavo e mobile dotato di una propria lunghezza. L'utilizzo combinato di queste diverse modalità sta rapidamente cambiando la c. generale e le varie specialità chirurgiche. I vantaggi ormai provati di numerose metodiche chirurgiche toraco/laparoscopiche ed endoscopiche sono rappresentati da una migliore visione del campo chirurgico, dall'assenza di manipolazione diretta di altri organi addominali con l'indubbio vantaggio di una ripresa postoperatoria; da un più breve decorso postoperatorio e da un buon gradimento da parte del paziente. Tuttavia, al progresso si associano vantaggi e svantaggi; il risultato è stato l'insorgenza di complicanze strettamente legate alle terapie chirurgiche impiegate e alla loro ovvia curva di apprendimento. A differenza delle laparotomie e delle toracotomie tradizionali, l'accesso al campo operatorio in c. mini invasiva è ottenibile con incisioni molto piccole (da 5 a 12 mm) attraverso le quali vengono inserite delle cannule, denominate trocar, con diametro analogo, sia per c. per adulti sia in c. pediatrica. I trocar sono composti da un mandrino, anima in metallo con punta tagliente o smussa che permette di trapassare la parete addominale o toracica, e dalla cannula vera e propria, attraverso cui sono inseriti gli strumenti chirurgici, l'ottica e gli accessori che servono per qualsiasi intervento.
Gli strumenti chirurgici sono sovrapponibili per funzioni e caratteristiche ai loro simili per c. aperta riproducendo la specificità delle loro azioni; la differenza risiede nella lunghezza, superiore a 35 cm, e nell'impugnatura. I trocar sono anche provvisti di una valvola laterale che permette l'insufflazione di anidride carbonica (CO2). Durante la toracoscopia non si impiega l'insufflazione e lo spazio di lavoro è garantito dalla cassa toracica e dal naturale collasso del polmone dopo l'apertura della pleura; nella laparoscopia la cavità peritoneale è insufflata con il gas e lo spazio virtuale di lavoro è ottenuto mediante il sollevamento della parete addominale da parte del gas stesso. La CO2 sotto pressione viene garantita da un insufflatore elettronico che mantiene sotto controllo i flussi di gas in modo che siano i più appropriati e quindi meglio tollerati da parte del paziente. Una buona immagine laparoscopica richiede che la sorgente di luce, l'ottica, la telecamera e il monitor possano funzionare collegati l'uno con l'altro. La luce è generata da una sorgente con lampade allo xenon, condotta attraverso un cavo flessibile a fibre ottiche, che, connesso all'ottica, permette la distribuzione della luce sul campo chirurgico. All'interno del trocar si inserisce l'ottica; l'immagine chirurgica ottenuta viene quindi trasmessa alla videocamera digitale che trasferisce l'immagine al monitor rendendo così possibile la visualizzazione dell'intero addome o del torace. Le ottiche possono essere a visione frontale o a visione angolare: la scelta dipende dal tipo di procedura che si vuole adottare.
Una discussione sulle procedure universalmente accettate non può che partire dalla colecistectomia laparoscopica. L'introduzione di questa nuova tecnica chirurgica nel 1987 da parte del chirurgo francese P. Mouret è stata una delle innovazioni più importanti di tutta la storia della c. generale. Nel giro di due soli anni, la colecistectomia laparoscopica ha goduto di un largo consenso da parte dei chirurghi, attratti dai decisi miglioramenti non soltanto nel dolore postoperatorio, ma anche nei tempi di recupero, nella relativa diminuzione dei tempi di degenza e nel conseguente aspetto economico. In meno di quindici anni, poche procedure chirurgiche sono rimaste escluse dall'essere ridiscusse con un approccio mini invasivo. Dati di grande interesse riguardano l'intervento per la correzione del reflusso gastroesofageo: eloquente è il passaggio dell'approccio in laparoscopia dall'iniziale 29% del 1993 al 95% stimato per il 2005. L'approccio laparoscopico per il trattamento della malattia da reflusso esofageo è diventato la terapia d'elezione per la cura di questa patologia.
Molti interventi sono diventati gold standard nella terapia di alcune patologie. In c. addominale sono considerati gold standard la colecistectomia, gli interventi sul tratto esofago;gastrico per la cura della malattia da reflusso esofageo e dell'acalasia, l'asportazione del surrene (surrenectomia), del rene (nefrectomia), della milza (splenectomie), interventi sull'intestino crasso (colectomie), interventi per la cura dell'obesità. Vi sono poi procedure che hanno superato la fase degli studi di fattibilità, ma non sono né standardizzati come tecnica né hanno avuto ancora il consenso da parte della comunità scientifica. Questi sono suddivisi in: interventi di c. oncologica maggiore quali epatectomie (per patologia benigna e maligna), pancreasectomie (sia a livello cefalico sia distale) per il carcinoma pancreatico, gastrectomie per il carcinoma gastrico, esofagectomie per il carcinoma esofageo; questo tipo di c., comunque, è appannaggio di centri pilota dove, già forti di casistiche e di conoscenza delle patologie trattate con tecnica chirurgica convenzionale, si è passati a un approccio laparoscopico avanzato. In c. toracica e cardiaca le indicazioni includono le procedure resettive per neoplasia, le timectomie sia per miastenia sia per timoma, le resezioni di bolle d'enfisema, gli interventi di bypass coronario. Per quanto riguarda gli interventi effettuati, si riscontra un massiccio incremento (dai 21.000 realizzati nel 1993 ai 315.000 stimati nel 2005).
Ulteriore e significativo progresso tecnologico in tema di c. mini invasiva sono i robot, con potenzialità di sviluppo particolarmente significative grazie alla micromeccanica e alla continua evoluzione delle nanotecnologie.
La c. robot-assistita, associata alla c. videoassistita, è ritenuta un'opportunità importante, sia per il volume di innovazione tecnologica richiesta, sia per i vantaggi offerti: la possibilità di azzerare il tremore fisiologico della mano del chirurgo, il raggiungere sedi anatomiche e posizioni spaziali difficilmente raggiungibili, la conseguente realizzazione di interventi estremamente precisi e delicati sono tutte condizioni rese possibili dall'applicazione robotica. Particolare attenzione è stata posta allo studio delle estremità degli strumenti che devono essere inseriti all'interno del corpo; il continuo sviluppo delle nanotecnologie ha permesso la realizzazione di estremità articolate che riproducono perfettamente i movimenti del polso umano ampliando e aggiungendo nuovi movimenti con angolatura e gradi di libertà superiori a quelli presenti in natura. Di fondamentale importanza è riuscire a offrire a questo tipo di strumenti maggiore destrezza possibile per il raggiungimento di gesti e movimenti in spazi intracorporei angusti e a volte non accessibili dalla mano del chirurgo. La rielaborazione dell'immagine della c. robot;assistita assicura notevole valore per la disponibilità di telecamere miniaturizzate e di tecniche di restituzione di immagine che danno rappresentazioni in tre dimensioni accurate e con perfetta riproduzione dello scenario operatorio. Gli strumenti chirurgici, sovrapponibili per disegno, struttura e dimensioni al normale strumentario laparoscopico, sono dotati di estremità articolate miniaturizzate, con ridotto spessore per poter essere posizionate attraverso i trocar e con lunghezze adeguate alla profondità dell'impiego intracorporeo, con procedura analoga a quella osservata per gli interventi eseguiti con tecnica videoassistita. Un'équipe chirurgica, composta da un secondo operatore, assistente e strumentista, è presente al campo per aiutare ed eventualmente intervenire con tempestività in modo chirurgico convenzionale se dovessero subentrare complicanze legate alla tecnologia o all'intervento. Per la sicurezza del paziente, in caso d'emergenza, il chirurgo deve potere estrarre l'attrezzo operativo in modo non traumatico e agevole; la sonda articolata, in altre parole, deve poter assicurare la completa estrazione, riproponendo a ritroso il processo della sua introduzione.
La comunità chirurgica si è rivolta al presidio denominato Da Vinci, robot che risponde maggiormente alle esigenze dell'esecuzione chirurgica. Il Da Vinci è una piattaforma per c. videoassistita dotata di una console con visione tridimensionale e di bracci robotici ai quali si collegano i ferri chirurgici la cui estremità è inserita all'interno dell'addome o del torace e che sono manovrati all'esterno dall'operatore. Il chirurgo opera a distanza dallo scenario operatorio seduto davanti alla console, praticamente immerso in una realtà virtuale tridimensionale. La console è collegata al complesso robotico da cavi che assicurano la trasmissione di tutti i gesti chirurgici eseguiti dalle mani del chirurgo ai bracci robotici. La visione del campo operatorio è assicurata da un'ottica binoculare che riproduce in tre dimensioni l'osservazione dell'atto chirurgico e dei gesti a esso correlato, così che l'operatore si trova immerso nell'ambiente chirurgico quasi a partecipare dall'interno all'intervento che sta eseguendo. Le dita del chirurgo manovrano gli strumenti attraverso piccoli manipoli che traducono il movimento delle falangi delle dita in altrettanti movimenti fini e senza tremore degli strumenti inseriti in sede intracorporea.
Con l'approccio robotico, nei centri in cui l'impiego è routinario, l'attività chirurgica presenta le stesse indicazioni dell'approccio tradizionale o laparoscopico. Da un'analisi della letteratura specifica, le citazioni bibliografiche relative all'impiego in c. della robotica hanno avuto un incremento percentuale del 100% dal 1994 al 2003 (fig. 1). L'impiego del robot è preferito in tutti gli interventi denominati monocampo, tipo surrenectomia, splenectomie, interventi sul giunto esofago gastrico, nefrectomie, interventi a cuore battente, in cui il posizionamento della piattaforma robotica non dovrebbe prevedere spostamenti considerato l'ingombro, il tempo e il necessario spazio per la collocazione al tavolo operatorio. Il robot non permette, al momento, una sensibilità tattile trasmessa attraverso gli strumenti laparoscopici per cui è impossibile 'sentire' spessore, consistenza e pattern delle strutture su cui si lavora. Inoltre, la curva di apprendimento in c. robotica è lunga e laboriosa con didattica tutoriale su simulatori virtuali e successivo passaggio clinico. La richiesta di abilità chirurgica e la verifica della curva di apprendimento è, quindi, ancora maggiore in quegli interventi che necessitano, oltre l'atto demolitivo di ablazione di organi, della ricostruzione e ristabilimento della continuità intestinale, biliare o vascolare. In tutti gli interventi ablativi e ricostruttivi per patologie oncologiche, per gli interventi per la cura dell'obesità, per gli interventi in cui è indicato l'uso del robot questo tipo di c. è appannaggio di centri pilota in c. robotica o di centri chirurgici dove, già padroni di tecnica chirurgica convenzionale, si è passati a un approccio laparoscopico e infine alla robotica chirurgica. Il logico passaggio della c. robotica, considerata la lontananza tra il chirurgo e il campo operatorio e la mancanza di feedback tattile, è l'applicazione a distanza. La telechirurgia sfrutta le acquisizioni tecnologiche derivanti da due ambiti scientifici: la robotica e la telematica. Le applicazioni delle telecomunicazioni avanzate in c. generale possono essere distinte in tre gruppi: teleconsultazione chirurgica, teleassistenza chirurgica e telemanipolazione chirurgica. La teleconsultazione chirurgica, utilizzando tecniche di videoconferenza, è già entrata nella pratica clinica per lo meno su base sperimentale. Il principio è quello di trasmettere un video intraoperatorio a un esperto in collegamento remoto per discutere le difficoltà delle operazioni in corso.
La teleassistenza chirurgica coinvolge l'opzione addizionale della guida a distanza di uno strumento o di un endoscopio da parte di un esperto distante (telemonitoraggio ospedaliero o domiciliare). La telemanipolazione chirurgica è caratterizzata dalla esecuzione di un'operazione o fasi di un'operazione senza essere presenti fisicamente al tavolo operatorio.
La realizzazione di reti telematiche con supporto satellitare (telechirurgia), con possibilità di intervento in zone geograficamente disagiate, sedi di catastrofi naturali, teatri di guerra, rappresenta la sfida più impegnativa e il più affascinante e suggestivo campo di applicazione della robotica alla chirurgia.
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Si possono inoltre consultare le seguenti pagine web:www.websurg.com; www.nccn.org; www.intuitivesurgical.com/products/davinci_surgicalsystem/; www.medscape.com/viewarticle/498575