Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Chrétien de Troyes è uno dei primi, e il più grande, fra gli scrittori di romanzi in volgare del Medioevo occidentale. Oltre a prove letterarie diverse, di lui ci sono pervenuti cinque romanzi in versi, composti fra il 1160 e il 1185 ca. nelle corti della Francia settentrionale. Il mondo di re Artù e dei cavalieri della Tavola rotonda è materia e paesaggio costante della sua opera letteraria, che presenta figure leggendarie di cavalieri (Lancillotto, Galvano ecc.), storie d’amore di complessa struttura e psicologia raffinata, collocate però all’interno di concrete dinamiche storiche e feudali, ove la dialettica fra i valori guerrieri dell’onore, prodezza e coraggio e le tematiche cortesi e amorose è combinata alla quête personale e spirituale dei personaggi (Lancillotto, Perceval).
Chrétien de Troyes
Il Ponte della Spada
Chevalier de la Charrette (Lancelot), vv. 3011 ss.
Sulla dritta via camminando,
van finché il dì va declinando,
e sono al Ponte della Spada,
poco prima che sera cada.
Presso il ponte, che fa paura,
son scesi di cavalcatura,
e vedon l’acqua feroce,
nera e urlante, spessa e veloce,
laida e tremenda, tale e quale
come fosse il fiume infernale,
tanto fonda e pericolosa
che non c’è al mondo alcuna cosa
che, se vi cade, non la spacci
quell’acqua come il mar dei ghiacci.
Ed il ponte lì di traverso
da tutti gli altri era diverso:
mai ce ne fu né sarà uguale.
Davvero mai fu così male
fatto ponte o plancia per niente:
d’una spada bianca e lucente;
era il ponte sul freddo flutto,
ma la spada era forte in tutto;
due lance in lungo misurava.
Testo originale:
Le droit chemin vont cheminant,
Tant que li jors vet declinant,
Et vienent au Pont de l’Espee,
Aprés none vers la vespree.
Au pié del pont, qui molt est max,
Sont descendu de lor chevax,
Et voient l’eve felenesse,
Noire et bruiant, roide et espesse,
Tant leide et tant espoantable
Con se fust li fluns au deable,
Et tant perilleuse et parfonde
Qu’il n’est riens nule an tot le monde,
S’ele i cheoit, ne fust alee
Ausi com an la mer betee.
Et li ponz qui et an travers
Estoit de toz autres divers,
Qu’ainz tex ne fu ne ja mes n’iert.
Einz ne fu, qui voir m’an requiert,
Si max ponz ne si male planche:
D’une espee forbie et blanche
Estoit li ponz sor l’eve froide,
Mais l’espee estoiz forz et roide,
Et avoit deus lances de lonc.
Chrétien de Troyes
La processione del Graal
Conte du Graal
Entrò da una stanza un valletto
Che teneva una lancia bianca
impugnata a mezzo il tronco
E passò avanti tra il fuoco
E loro sul giaciglio seduti.
E tutti i presenti potevan vedere
La lancia bianca e il ferro bianco,
E usciva una goccia di sangue
Dal ferro della lancia al sommo,
E giù fino alla mano del valletto
Colava quella goccia vermiglia
Quel miracolo vide il giovinetto
Che là dentro era giunto quella notte,
E s’è astenuto dall’interrogare,
Come tal cosa avveniva,
Ché si ricordava del monito
Di colui che l’aveva armato cavaliere,
Che gli aveva insegnato e inculcato
Che si guardasse di parlare troppo,
E teme, se ne facesse domanda,
Che non gli fosse considerata villania:
perciò non ne fece domanda.
Frattanto entrarono altri due valletti
Che reggevano in mano candelabri,
Di fin oro niellato.
Bellissimi erano i valletti
Che portavano i candelabri;
Ardevano su ciascun candelabro
Dieci candele almeno.
Un gradale con ambo le mani
Reggeva una damigella
Che insieme ai valletti avanzava,
Bella e gentile e nobilmente ornata.
Testo originale:
Un vaslet d’une chambre vint
Qui une blanche lance tint
Anpoignee par le milieu,
Si passa par antre le feu
Er çaus qui el lit se seoient
Et tuit cil de leanz veoient
La lance blanche et le fer blanc
S’issoit une gote de sanc
Del fer de la lance au somet
Et jusqu’a la main au vaslet
Coloit cele gote vermoille.
Li vaslez vit cele mervoille
Qui leanz ert la nuit venut
Si s’est del demander tenuz
Comant cele chose avenoit;
Que del chasti li sovenoit
Celui qui chevalier le fist,
Qui li anseigna et aprist
Que de trop parler se gardast,
Si crient, se il le demandast,
Qu’a li tenist a vilenie:
Por ce si nel demanda nie.
Atant dui autre vaslet vindrent,
Qui chandeliers an lor mains tindrent
De fin or, ovrez a neel.
Li vaslet estoient mout bel
Qui les chandeliers aportoient;
An chascun chandelier ardoient
Dis chandoiles a tot les mains.
Un graal antre ses deus mains
Une demoisele tenoit,
Qui avuec les vaslez venoit,
Bele et jante et bien acesmee.
Se non fu il primo nel panorama della nuova narrativa europea e romanza, Chrétien de Troyes è senza dubbio stato il più grande romanziere del Medioevo volgare. Le notizie che abbiamo su di lui sono quelle che egli stesso ha incluso nelle sue opere poiché nessun dato documentario si possiede e la stessa identificazione dello scrittore non riposa su nessuna notizia certa.
Sappiamo che la sua attività letteraria si svolse in parte alla corte di Maria di Champagne, figlia di Eleonora d’Aquitania e del suo primo marito, Luigi VII di Francia. Figlia di re, Maria aveva sposato nel 1164 Enrico il Liberale, conte di Champagne dal 1152 e uomo di grande cultura. Chrétien dice all’inizio di un suo romanzo, lo Chevalier de la Charrette, di averlo scritto proprio su invito della contessa: sul “comandemanz de sa dame de Chanpaigne”. Dal prologo della sua ultima opera, il Conte du Graal, lo sappiamo invece al servizio di Filippo d’Alsazia, conte di Fiandra forse da lui conosciuto nella stessa corte di Troyes, quando Filippo vi soggiornò poco dopo il 1181 per chiedere, invano, la mano di Maria che era intanto divenuta vedova. In un altro prologo, quello del suo primo romanzo conservato Erec et Enide, l’autore si nomina al v. 9 come “Crestïen de Troyes”, precisando dunque la sua origine champenoise (altrove poi solo come Chrétien).
Questo è tutto ciò che sappiamo del grande romanziere: l’uomo Chrétien si riduce insomma integralmente all’opera di Chrétien. E per quanto non siano mancate ipotesi, più o meno fantasiose, di un’identificazione storica dello scrittore, nessuna riesce a tutt’ora convincente: si è cercato di identificarlo con un “Christianus”, canonico a Saint Loup di Troyes ricordato in un documento del 1173; si è detto, a partire da una peculiare interpretatio nominis, che si trattava di un ebreo convertito (e che il Conte du Graal sarebbe espressione di tale conversione); che sarebbe stato vicino in gioventù alle corti Plantagenete dell’Inghilterra ove avrebbe composto l’Erec et Enide. Nessuna di tali ipotesi sembra però plausibile e solidamente fondata.
Quanto alla sua formazione, invece, tutto sembra far pensare a un chierico ossia né più né meno del clerc Wace, il primo autore di un romanzo in volgare d’oïl, o di Benoît de Sainte-Maure; a tale proposito è interessante ricordare che Wolfram von Eschenbach, che adatterà poi il Conte du Graal in medioaltotedesco, lo indicherà come maestro (meister Christiân von Troys).
La corte di Maria di Champagne costituì uno dei maggiori “spazi letterari” del XII secolo: circondata da letterati latini e volgari, la figlia di Eleonora – pure al di là di ogni mito storiografico – si dovette trovare al centro di un ambiente raffinato e letterariamente avvertito. Se il marito Enrico appare maggiormente interessanto alla cultura classica e all’elaborazione teologica (è stato studiato l’inventario della biblioteca e alcuni dei volumi sono stati individuati in manoscritti tutt’ora conservati), l’attenzione di Maria è spiccatamente rivolta alla cultura in volgare: dedicataria di parafrasi bibliche (l’Eructavit e la parafrasi del Genesi di Evrat), Maria di Champagne è però anche personaggio nel De amore di Andrea Cappellano – è una delle nobili dame esperte nella dottrina d’amore – e dedicataria di un altro romanzo francese, l’Eracle di Gautier d’Arras. Persino alcune liriche sono a lei connesse – in particolare quelle in lingua d’oïl di Gace Brulé se non anche una in lingua d’oc di Rigaut de Barbezilh –, mentre ancora destinataria è, più che probabilmente, delle poesie del fratellastro Riccardo Cuor di Leone, composte durante la prigionia.
Anche l’opera di Chrétien de Troyes non è conosciuta che parzialmente. Nel prologo del suo romanzo Cligès, Chrétien offre infatti il catalogo delle sue opere precedenti: degli adattamenti da Ovidio – di cui solo il Philomena (basato sulla storia di Tereo e Procne del VI libro delle Metamorfosi) è conservato e al romanziere, pur dubitativamente, attribuito –, un romanzo “del roi Marc et d’Ysalt la blonde”, legato evidentemente alla materia tristaniana (ma l’eroe, significamente, non vi è nominato) e, infine, il primo suo romanzo arturiano: Erec et Enide.
La cronologia dell’opera di Chrétien è dunque grosso modo così ricostruibile:
– 1160-1170 ca.: opere ovidiane e romanzo di Marco e Isotta;
– 1170: Erec et Enide;
– 1176: Cligès;
– 1177-1181 ca.: Chevalier de la Charrette (Lancillotto) – incompiuto e portato a termine da Godefroi de Leigni – e Chevalier au Lion (Yvain), composti forse contemporaneamente;
– 1181 ca. - 1185?: Conte du Graal, incompiuto.
Di Chrétien restano inoltre due canzoni d’amore grazie alle quali egli è peraltro considerato il primo troviero attestato. Dubbia è invece l’attribuzione al grande romanziere del Guillaume d’Angleterre (il cui autore si nomina anch’egli come Chrétien), un romanzo non legato a tematiche arturiane bensì strutturato sulla leggenda di San Eustachio.
I cinque romanzi di Chrétien sono i primi testimoni conosciuti di romanzo arturiano, raccontano cioè vicende, nominano luoghi e rappresentano personaggi (Artù e Ginevra, Erec, Galvano, Lancillotto ecc.) del mondo di pace stabilito da Artù dopo quelle guerre che da Brutus (antenato eponimo dei Bretoni, discendente ed erede della storia illustre di Troia) hanno dominato la storia dell’isola britannica. Per questo, in quei dodici anni di pace e in un mondo senza historia, la geste può essere sostituita dall’aventure, il canto epico degli eroi o il racconto storico dei lignaggi può cedere il passo alla merveille. Non è un caso perciò che in un testimone della Bibliothèque Nationale di Parigi, ms. Fr. 1450 (uno dei due soli manoscritti, assieme a quello celebre copiato da Guiot – Paris, BNF, Fr. 794 – a tramettere tutti e cinque i romanzi di Chrétien), il testo dell’Erec et Enide sia collegato direttamente alla copia del Brut di Wace, all’interno di una più ampia congiunzione della materia bretone a quella greca, incipitaria (Roman de Troie), e poi latina (Eneas).
L’universo arturiano è insomma lo sfondo complesso eppure immutevole entro il quale si svolgono le avventure dei cavalieri e degli eroi di Chrétien: con l’eccezione del solo Cligès, che lega nell’ambientazione l’Inghilterra al mondo orientale e bizantino, tutti gli altri romanzi scelgono infatti il medesimo paesaggio entro il quale, pure a volte con un occhio preciso sulla realtà del XII secolo, le imprese giungono a compimento. Non che i temi epici non siano presenti o richiamati: in Cligès, ad esempio, il tradimento del conte Engrès è paragonato a quello di Gano, nello Chevalier au Lion il protagonista Yvain è valoroso più di Rolando, nella Charrette si nomina il gigante Ysoré, personaggio del Moniage Guillaume, una chanson de geste del cosiddetto ciclo di Guillaume. Ma è la natura degli eroi che vi è mutata e con loro gli stessi valori epici della prodezza, generosità e valore.
Scrittura e congiunzione
Elaborata nella seconda metà del XII secolo, nel periodo dunque di migliore espressione della cosiddetta rinascenza del XII secolo, l’opera di Chrétien è anche frutto di grande e sapiente architettura: è lui a inventare il ritorno dei personaggi, è lui a parlare, relativamente al romanzo che ha elaborato, esplicitamente di conjointure: Chrétien “tret d’un conte d’avanture / Une mout bele conjointure” (Erec et Enide, vv. 13-14). Il termine raro – ricorre significativamente nella Genesi poc’anzi citato – è evidentemente collegato all’area semantica del congiungere e del connesso e, al di là del fatto che trovi la sua fonte propria in un quadro di riferimento di tipo retorico – la callida iunctura dell’Ars poetica di Orazio –, teologico o logico-filosofico – Logica vetus e altre parti dell’Organon, Boezio –, non vi è dubbio che esso sia dall’autore riferito a un modo nuovo d’intendere l’organizzazione del testo narrativo in volgare (volta a volta il termine è stato inteso come coesione dei materiali e delle parti, unità dell’opera, coerenza psicologica, organizzazione del récit ecc.) e che si contrapponga, anche polemicamente, all’opera di coloro che “per vivere di racconti, frammentano e parcellizzano le storie” – tale polemica è relativa evidentemente anche alla fruizione del testo e ricorre anche in altri tipi di scrittura volgare, ad esempio la lirica; il passo forse più prossimo a quello di Chrétien si rinviene però nel Roman de Tristan di Thomas ove l’autore vuole en uni dire (“raccontare unitariamente, con coerenza”) una storia che altri cuntent diversement.
Un altro tema importante che giunge alla letteratura moderna grazie all’opera di Chrétien è quello della translatio studii: l’idea è precisata nel prologo del Cligès ove si esplicita appunto l’avvenuto passaggio di sapere e conoscenza (clergie) come di prodezza e valore (chevalerie) dalla Grecia a Roma e da Roma finalmente in Francia. Era questa in fondo un’altra declinazione della figura dei nani moderni che, posti sulle spalle dei giganti del passato – secondo la celebre metafora di Bernardo di Chartres –, potevano per ciò stesso vedere più lontano; ma da Chrétien l’eccellenza veniva in tal modo posta non solo e non tanto sui moderni in quanto tali, ma sulla Francia, luogo di perfetta cortesia più e meglio di ogni altra regione del mondo noto.
Il primo romanzo di Chrétien, l’Erec, mette in campo un eroe cavaliere, figlio di re Lac (il nome stesso dell’eroe ne tradisce l’ascendenza celtica: Weroc è la forma armoricana, Gereint quella gallese). Erec si trova, nel corso di una caccia al cervo bianco, a giungere in un borgo ove si terrà un torneo. Lì sconfiggerà Yder e sposerà infine con gran sfarzo la più bella, Enide, alla corte di Artù. Preso dalla felicità coniugale, Erec è poi accusato di recreantise, di venir meno cioè ai nobili doveri di un cavaliere. Da quel momento Erec partirà per una serie di avventure (una delle più affascinanti e pericolose è quella della Joie de la Cour ov’è il tema della liberazione da un incantesimo fatato) e poi tornerà alla corte di Artù; infine, a Nantes, dopo la morte di suo padre, Erec e Enide saranno incoronati sovrani.
Il Cligès racconta invece dapprima gli amori di Alessandro per Soredamor (Alessandro è figlio dell’imperatore di Costantinopoli venuto alla corte di Artù per farsi addobbare cavaliere). Da loro nascerà Cligès e da qui si svilupperà la seconda traccia del romanzo ove la lotta dinastica per il trono di Costantinopoli fra Alessandro e Alis, suo fratello, si intreccia al rapporto amoroso che legherà, dopo varie traversie, Cligès a Fenice, figlia del re di Germania. In tal modo e con tale translatio (dalla Grecia a Londra) si compiva un trasferimento più profondo: non più i romanzi antichi (ove quel nome ovviamente era cifra delle gesta di Alessandro Magno), ma, con un nuovo romanzo, la nuova materia di Francia. Insieme i conflitti e gli intrighi per il potere, ma anche gli intrecci e le complesse trame amorose e psicologiche, il reale ancora e il meraviglioso giustapposti in mirabile equilibrio fra le parti. Quanto al discorso amoroso, il Cligès è stato definito un anti-Tristano, un controcanto al celebre romanzo: qui la difesa della passione adultera fra Tristano e Isotta – che infrange anche il patto feudale (e in tal modo l’ordine sociale costituito) poiché il tradìto, re Marco, è zio di Tristano – lì la dichiarata superiorità di Cligès su Tristano, il rifiuto di Fenice di dividere il suo corpo, come Isotta, fra due uomini.
Il terzo romanzo di Chrétien è costruito sulla figura celebre di Lancillotto: nel giorno di Ascensione la regina Ginevra è rapita da un cavaliere sconosciuto che dice ad Artù di tenere in suo potere numerosi sudditi del regno di Logres. Lo sfida e gli dice che li libererà se il campione che accompagnerà la regina riuscirà vincitore. Il siniscalco Keu si lancia spavaldo, ma è sconfitto e Ginevra e il suo rapitore scompaiono nella foresta. Allora alla ricerca della regina parte Galvano, ma trova un cavaliere sconosciuto (Lancillotto) già dedicato all’impresa (solo dopo si rivelerà essere la stessa). Successivamente il cavaliere si trova dinanzi a una carretta guidata da un nano, di quelle – dice l’autore – che un tempo si usavano per esporre i condannati alla berlina. Il nano precisa che solo salendovi si potrà ritrovare Ginevra. Il cavaliere è combattuto fra l’Onore, che secondo ragione gli sconsiglia di salire, e l’Amore, che lo spinge a esporsi: esita due passi poi vi sale. Da qui una serie di avventure e peripezie (il regno di Gorre, il letto pericoloso, il cimitero ove l’eroe si trova di fronte alla sua lastra tombale, il ponte della spada ossia un ponte di lama che Lancillotto, sanguinando, attraverserà a mani e piedi nudi ecc.) al termine delle quali Lancillotto del Lago combatterà il crudele Meleagant liberando così la regina e le genti prigioniere di Logres. Ma Lancillotto è accolto con sdegno da Ginevra – dopo si saprà che è per il fatto che il cavaliere ha esitato per ben due passi a salire sulla carretta. Da qui ancora varie peripezie che culminano nel torneo di Noauz, ove Lancillotto dovrà sopportare per la regina, ancora, disonore e vergogna; egli è poi rinchiuso a tradimento in una torre (da questo punto in poi il romanzo è completato da Godefroi de Leigni); alla fine, inaspettatamente liberato, sconfigge definitivamente e uccide Meleagant, nella gioia generale della corte.
Romanzo enigmatico e complesso, il terzo romanzo di Chrétien vive di contrasti e contrappunti: fra il mondo cortese del regno arturiano e il regno oscuro, in parte oltremondano, di Gorre; fra la ricerca di Lancillotto, che salva la regina, ma libera anche un popolo, e la ricerca di Galvano; fra i valori della cavalleria e l’infamia della carretta; contrappunto posto, anche nella scrittura e nei registri scelti, fra il lirismo, l’amore e il valore, l’onore.
Il romanzo dello Chevalier au Lion racconta invece le avventure del cavaliere Yvein che avvengono di fatto negli stessi anni e dunque parallelamente alla quête (ricerca) di Ginevra da parte di Lancillotto. La storia ha sempre principio nella corte d’Artù ove un cavaliere, Calogrenant, racconta di una sua disfatta: vi è nella foresta di Broceliande una fontana magica e pericolosa difesa da un temibile cavaliere. Yvein decide di tentare la stessa avventura per riuscirne vincitore.
In effetti sconfigge il cavaliere, ma, proseguendo nel cammino, resta prigioniero in un castello. Qui troverà Lunete e la sua signora Laudine, si innamorerà di quest’ultima e seguiranno una serie di avventure fra le quali la liberazione del leone attaccato dal serpente: da quel momento il leone gli sarà fedele compagno, da cui il titolo del romanzo.
Non vi è dubbio che l’ultimo romanzo di Chrétien – scritto su invito del nuovo mecenate, Filippo d’Alsazia e rimasto incompiuto, per la morte dell’autore, a credere a Gerbert de Montreuil, uno dei continuatori dell’opera – segna una nuova orientazione della materia romanzesca. Come dice lo stesso titolo, Conte du Graal (Perceval è intitolazione probabilmente seriore), materia del racconto è ora un oggetto misterioso, il Graal, non più l’avventura di un cavaliere o la conquista, e riconquista, di una donna (Enide, Ginevra, Laudine). La quête non è tanto amorosa quanto spirituale e oggetto della quête è il Graal, il “gradale” della Passione, e attraverso essa si crea la figura del cavaliere eletto e predestinato, un uomo dal destino incomparabile.
Il giovane Perceval, che ignora il suo nome, vive ai margini del mondo, protetto dalla madre che ha visto morire da cavaliere suo marito e due suoi figli. Un giorno, nella foresta, Perceval incontra cinque cavalieri, lucenti nelle loro armature. Così decide di andare alla corte di Artù per farsi addobbare cavaliere. Qui una ragazza e un folle predicono la gloria futura di quel ragazzo umile e selvaggio. Perceval raggiunge allora il castello di Gornemant de Goort che gli apprenderà l’arte della cavalleria. Cominceranno un serie d’avventure, e l’amore per Blanchefleur, poi Perceval giungerà a un misterioso castello ove assisterà a una singolare processione: un uomo porta una lancia la cui punta è ancora insanguinata, una fanciulla il Graal e un terzo un piatto d’argento. Perceval resta in silenzio e non osa domandare il senso del corteo e degli oggetti esposti. L’indomani al risveglio Perceval troverà il castello vuoto. Uscito, attraversa la foresta e incontra sua cugina; al suo cospetto conoscerà finalmente il suo nome: Perceval le Galois. La ragazza gli svela il suo errore: se egli avesse chiesto del Graal e della spada, il Re Pescatore sarebbe stato guarito e il suo regno restaurato e se Perceval è rimasto in silenzio ciò è a causa del suo peccato, aver fatto morire di dolore sua madre. Da lì una serie di peripezie, di combattimenti e di prove di valore che condurranno Perceval da un eremita che gli rivelerà parte del mistero del Graal e che sua madre è la sorella del Re Pescatore. Dopo un’altra serie di avventure, ma di Gauvain, il romanzo si interrompe.
Numerosi i problemi irrisolti, a partire dalla stessa dualità Perceval/Galvano: relativamente alla materia, alle fonti, alla stessa cristianizzazione del sostrato leggendario celtico. L’opera incompiuta fu poi continuata da autori diversi e ha dato origine a un monumentale romanzo (complessivamente 60 mila versi assommano le varie continuazioni in taluni manoscritti). L’opera di Chrétien avrà un successo enorme e precoce: in medioalto tedesco sono da ricordare i romanzi di Hartmann von Aue – Erec e Iwein – e il Parzifal di Wolfram von Eschenbach; in medioinglese, fra i più antichi, l’Ywain and Gawain e in Scandinavia le varie saghe (Erex Saga, Ivens Saga, Percevals Saga). Immensa poi la fortuna del romanzo arturiano, fino alle rivisitazioni moderne e contemporanee.