Maudet, Christian
Vero nome di Christian-Jaque, regista cinematografico francese, nato a Parigi il 4 agosto 1904 e morto a Boulogne-Billancourt (Parigi) l'8 luglio 1994. Figura prolifica ed eclettica, nel corso della sua carriera M. affrontò vari generi realizzando film caratterizzati da una notevole ricercatezza tecnica. Scrupoloso nella cura formale seppe compensare, grazie a un buon mestiere, i disagi di produzioni per lo più a basso costo. L'attenta elaborazione degli elementi necessari a confezionare un prodotto corretto lo portò a curare la stesura di molti suoi film: in particolare, la sceneggiatura di Les perles de la couronne (Le perle della corona), da lui scritta in collaborazione con Sacha Guitry, che ne fu il coregista, venne premiata alla Mostra del cinema di Venezia nel 1937. Nel 1952 ottenne l'Orso d'argento al Festival di Berlino e il riconoscimento come miglior regista al Festival di Cannes per Fanfan la Tulipe.Iscrittosi ai corsi di architettura dell'École des Beaux Arts, cominciò a comparire come Christian-Jaque, pseudonimo coniato unendo il suo nome a quello dell'amico Jacques Chabraison, e che M. avrebbe mantenuto anche dopo la fine di questo sodalizio per firmare i suoi lavori successivi. Durante gli studi si avvicinò al cinema perfezionando la realizzazione di bozzetti scenografici, quindi lavorò dapprima come cartellonista poi, tra il 1926 e il 1932, come scenografo. Contemporaneamente si interessò al giornalismo cinematografico collaborando, tra il 1927 e il 1932, con la rivista "Cinégraph". Dopo aver diretto alcuni cortometraggi ed essere stato aiuto regista di Julien Duvivier, esordì nel lungometraggio con Le bidon d'or (1932), satira sportiva che anticipa gli elementi distintivi del suo cinema. Già in Ça colle (1933), infatti, affiora, dietro una struttura narrativa basata sul meccanismo dell'agnizione tipico della commedia degli equivoci, una velata critica politico-sociale. M. riuscì inoltre, in questo film, a mettere in luce le qualità recitative e le caratteristiche burlesche del volto di Fernandel, avviando una collaborazione con l'attore che sarebbe proseguita anche nei successivi Un de la légion (1936; Un marito scomparso), François Ier (1937) ed Ernest le rebelle (1938; Ernesto il ribelle).
Durante la Seconda guerra mondiale, quando la Francia era sotto il governo collaborazionista di Vichy, M. realizzò quello che si potrebbe definire il primo film d'occupazione, in cui si affrontano attraverso un impianto metaforico le tematiche allora censurate dal regime nazista: infatti, in L'assassinat du Père Noël (1941) gli intrighi polizieschi sono solo funzionali al racconto, effettuato dal cartografo Cornusse, della favola della bella addormentata, con cui si evoca la situazione della Francia del tempo. Nel 1945 realizzò Carmen, adattamento dell'opera di Bizet, e poté invece affrontare direttamente la denuncia sociale in Boule de suif (Ribellione), per poi concentrarsi su un più feroce attacco nei confronti della borghesia provinciale in Un revenant (1946; Lo spettro del passato), film che, presentato al Festival di Cannes nello stesso anno della sua uscita, suscitò aspri dissensi da parte della critica.Nel 1948 ridusse per il grande schermo La Chartreuse de Parme (La Certosa di Parma), dal romanzo omonimo di Stendhal, e nello stesso anno realizzò D'homme à hommes, biografia del fondatore della Croce rossa, H. Dunant. Nel 1951 diresse Barbe-bleue (Barbablù), considerato il primo esempio significativo di uso del colore, ottenuto con il sistema Gevacolor, nel cinema francese; il regista, infatti, considerò il colore come elemento visivo essenziale e lo rese perfettamente funzionale alla caratterizzazione dei personaggi. Anche in Fanfan la Tulipe, ricco di effetti di sorpresa ben calibrati nello scorrere filmico, M. riuscì a sopperire all'esilità della trama con una perfetta costruzione narrativa. M. diresse poi la moglie Martine Carol in Lucrèce Borgia (1953; Lucrezia Borgia), Brigitte Bardot nella commedia satirica Babette s'en va-t-en guerre (1959; Babette va alla guerra), e quindi Sophia Loren in Madame Sans-Gêne (1962), senza però ritrovare il ritmo vivace del film precedente. Girò successivamente Les bonnes causes (1963; Il delitto Dupré), dal romanzo di J. Labourde, un giallo che gioca sull'ambiguità dei protagonisti, e tornò ad affrontare il film 'di cappa e spada' con La Tulipe Noire (1964; Il Tulipano Nero). Realizzò poi un 'western al femminile', Les pétroleuses (1971; Le pistolere) con Brigitte Bardot e Claudia Cardinale, prima di dedicare un omaggio al teatro nella sua ultima regia per il cinema, La vie parisienne (1977).
P. Billard, L'âge classique du cinéma français. Du cinéma parlant à la Nouvelle Vague, Paris 1995, pp. 116-17 e 538-40.