Thomasius, Christianus (italianizz. Cristiano Tomasio)
(italianizz. Cristiano Tomasio) Nome latinizz. del filosofo e giurista Christian Thomas (Lipsia 1655 - Halle 1728).
Conseguito il diploma di magister philosophiae a Lipsia nel 1672, seguì poi studi giuridici a Francoforte sull’Oder (1675-79). Tornato nella città natale, esercitò l’avvocatura e insegnò nell’univ. come libero docente. Nel 1688 apparve la maggiore delle sue opere giovanili, le Institutiones iurisprudentiae divinae, in cui, sebbene il suo pensiero appaia ancora legato a quello di Grozio e di Pufendorf, si delineano già i temi dell’ulteriore sviluppo. Th. distingue la giurisprudenza in divina e umana, non in base all’oggetto (in entrambi i casi le azioni umane) bensì in base alla fonte: la prima si riferisce alle leggi poste dalla volontà divina, la seconda a quelle poste dalla volontà umana. A sua volta la giurisprudenza divina si divide in due parti, naturale e positiva. Diverso è il principium cognoscendi (la ragione per le leggi naturali, la rivelazione per le positive) e diverso è l’oggetto (le azioni congruenti o no con la natura razionale dell’uomo e quindi immodificabili, nel primo caso; le azioni non immediatamente connesse con la natura umana bensì semplicemente imposte da Dio e quindi da lui modificabili, nel secondo). Coinvolto per vari anni in una serie di controversie accademiche, nel 1690 fu costretto all’esilio per la posizione liberale e critica nei confronti del sapere accademico, considerato pedante e scolastico. Venne quindi accolto a Berlino dall’elettore Federico III (I come re di Prussia) che lo autorizzò anche a tenere un insegnamento a Halle; qui nel 1694 fu fondata un’università, che diventò ben presto, per opera di Th., il centro più importante della cultura illuministica e pietistica in Germania. Fu questo il periodo più fecondo della sua maturità, articolato in due fasi: la prima, in cui il filosofo rimase fedele al pietismo, cui aveva aderito dopo la partenza da Lipsia, e scrisse varie opere filosofiche tra cui Versuch vom Wesen des Geistes (1699), e la seconda, nella quale si distaccò dal pietismo e svolse motivi più specificamente sensisti e lockiani. A questa fase risalgono i Fundamenta iuris naturae ac gentium ex sensu communi deducta in quibus secernuntur principia honesti, iusti ac decori (1705), che rappresentano la sintesi maggiore del suo pensiero. Importante è anche la Paulo plenior historia iuris naturalis (1711), in cui egli ripercorre lo sviluppo della dottrina del diritto naturale e che costituisce una testimonianza del suo razionalismo illuminato. La prima trattazione chiara e razionale del diritto naturale – secondo Th. – si deve a Grozio, dal quale prende l’avvio quella separazione del diritto naturale dalla teologia che sola permette alla scienza del diritto di progredire, e che è stata poi compiuta da Pufendorf.
Th. distingue chiaramente il diritto dalla morale e dalla politica (intesa come campo delle relazioni interpersonali). Principio dell’uno è lo iustum, delle altre l’honestum e il decorum. Precetto dello honestum è: «Quod vis ut alii tibi faciant, tute tibi facies»; del decorum: «quod vis ut alii tibi faciant, tu ipsis facies»; infine dello iustum: «quod tibi non vis fieri alteri ne feceris». Il punto di partenza di ogni comportamento onesto è pentirsi dei propri peccati per tendere alla perfezione morale, la prima regola del decoro è rimettere i debiti per stabilire con gli altri rapporti di mutua benevolenza e simpatia, infine la regola iniziale di tutte le azioni giuste è non turbare il possesso degli altri per rendere possibile una convivenza pacifica; su quest’ultimo principio si fonda tutto il diritto naturale. Nonostante questa tripartizione, il centro dell’interesse speculativo di Th. è il dualismo di diritto e morale, e quindi l’impegno a determinare le caratteristiche dell’azione giusta rispetto a quella legale. Se la morale si riferisce alla coscienza del soggetto, in quanto mira a procurare la pace interna, il diritto disciplina le relazioni del soggetto con altri rendendo possibile la coesistenza e la pace esterna. Il giusto riguarda quindi le azioni esterne e intersoggettive, l’onesto le azioni interne e soggettive; pertanto la morale è incoercibile, poiché si svolge nel foro interno, mentre il diritto si può far valere con la forza, per il tramite dello Stato. Il buon ordinamento civile è finalizzato alla felicità e al benessere dell’uomo, una felicità tutta mondana però, perché indicare la via per quella ultraterrena è compito della teologia, da cui la filosofia deve restare indipendente. La distinzione fra diritto e morale ha come conseguenza la limitazione dei poteri dello Stato: questo deve garantire l’ordinamento giuridico con il potere coercitivo, mentre il comportamento morale (e quindi anche religioso) esce dalla sua competenza per restare un fatto della coscienza individuale. In questa prospettiva, è anche negata alla Chiesa, comunità di credenti, la possibilità di esercitare direttamente e indirettamente un potere coercitivo nei confronti dei cittadini di uno Stato: di qui la piena affermazione da parte di Th. della libertà di pensiero e, in partic., della libertà religiosa. Tra le sue numerose opere si ricordano anche: De iure principis circa adiaphora (1695) e Das Recht evangelischer Fürsten in theologischen Streitigkeiten (1696), dissertazioni di diritto ecclesiastico; An haeresis sit crimen (1697) e De iure principis circa haereticos (1697), in cui difende la tolleranza religiosa; De crimine magiae (1701), De originibus processus inquisitorii contra sagas (1712), An poenae viventium eos infamantes sint absurdae et abrogandae (1723), contro i processi di stregoneria, le pene infamanti, la tortura.
Biografia