Chūji tabi nikki
(Giappone 1927, Diario di viaggio di Chūji, colorato, durata originaria della trilogia 340m a 18 fps, durata dei frammenti conservati 94m a 18 fps); trilogia composta da Kōshū sakkihen (Combattimento a Koshū), Shinshū kesshōhen (Riso cruento a Shinshū), Goyōhen (In nome della legge); regia: Itō Daisuke; produzione: Nikkatsu Mukōjima; sceneggiatura: Itō Daisuke; fotografia: Okusaka Takeo (Kōshū sakkihen), Watarai Rokuzō (Shinshū kesshōhen), Karazawa Hiromitsu (Goyōhen).
Il 19° secolo fu in Giappone un'epoca di carestie e di dittatura militare repressiva. Capi di rivolte giustiziati come Kunisada Chūji (1810-1850) divennero eroi immortali della letteratura popolare, del teatro e del cinema. Fra il 1911 e il 1940 il nobile yakuza Chūji ‒ che libera i contadini sfruttati da un crudele esattore delle tasse e dopo un lungo inseguimento cade nelle mani degli sgherri del potere statale ‒ sarà il protagonista di almeno cinquanta film. La trilogia di Itō non celebra l'eroe popolare o l'onnipotente boss yakuza. Sin dall'inizio, tutto ciò appartiene al passato. Questo Chūji ha perduto tutto e la sua fine sarà solo questione di tempo. Nell'episodio che si è conservato della seconda parte, Chūji deve separarsi dal figlioletto adottivo Kantarō, perdita lancinante dell'ultimo rapporto umano innocente. La grandezza dell'esistenza del fuorilegge, che si fonda sulle leggi dell'onore e sullo spirito cavalleresco, è calpestata e infangata dagli stessi uomini di Chūji: essi abusano del suo nome glorioso per darsi a volgari rapine. Nella parte finale giunta fino a noi, Chūji vive nell'anonimato, lavorando in incognito nell'ufficio commerciale di una distilleria di sakè. Uno yakuza locale minaccia il figlio del suo datore di lavoro e Chūji salva il giovane, ma in questo modo rivela la propria identità. Quando la figlia del proprietario della distilleria, innamorata dell'attraente contabile, capisce che questi è il latitante più ricercato e che il suo è un amore impossibile, si toglie la vita. Chūji si sottrae all'accerchiamento delle truppe governative, ma durante la fuga è preda di allucinazioni e subisce un tracollo. I suoi ultimi fidi lo mettono in salvo dagli inseguitori e lo portano dalla concubina Oshina. Qualcuno lo tradisce, e gli ultimi uomini del boss ormai paralizzato cadono, uno dopo l'altro. Chūji non è in grado di sguainare la spada e deve lasciarsi catturare vivo.
Come il toro destinato a essere immolato nella corrida ‒ scrisse il saggista inglese Ian Buruma ‒ l'eroe dei film di genere vive ogni volta lo stesso melodramma ricco di fiammeggianti scene d'azione e va incontro a una morte bella e violenta, ultima consacrazione della sua purezza eroica. Quando Itō Daisuke nega a Chūji l'apoteosi, degradandolo ad assistere dal letto di malato all'ultimo sacrificio dei suoi uomini, l'eroe attinge nella fine ignominiosa una tragicità ancor più commovente del canonico epilogo della bella morte. Chūji tabi nikki intensifica e modifica recisamente la formula standard, ma le trasformazioni sono tutt'altro che variazioni arbitrarie. Il pubblico giapponese del 1927, assistendo alla distruzione di un eroe popolare che per tre lunghi episodi viene perseguitato dal potere statale, vedeva non soltanto un avvincente film di genere, ma anche un affresco politico dell'epoca. Le 'leggi per il mantenimento dell'ordine', promulgate nel 1925 come espediente per criminalizzare la sinistra, cominciavano a produrre i loro effetti; seguirono un'ondata di arresti, la messa al bando di partiti politici, assassinii e infine il colpo di stato in Manciuria. Sotto il travestimento dell'ambientazione in epoche passate, i cupi film di yakuza e samurai della fine degli anni Venti realizzati da Itō Daisuke, Makino Masahiro e Yamanaka Sadao avevano una fortissima caratterizzazione politica.
"La trilogia Chūji tabi nikki di Itō Daisuke con Ōkochi Denjirō nel ruolo del protagonista s'imprimerà a lungo nella memoria come un classico del film storico". Così, nel 1927, un critico cominciava la sua recensione, e il tempo gli avrebbe dato ragione: un sondaggio del 1959, volto a stabilire i migliori dieci film nella storia del cinema giapponese, decretò al primo posto Chūji tabi nikki. Ma allora si trattava di un film leggendario, andato perduto come la maggior parte delle pellicole giapponesi dell'epoca d'oro del muto. Alla fine del 1991 emersero i resti di una copia positiva: un episodio della seconda parte e la metà circa della parte finale, insieme all'epilogo, in tutto 1.800 metri sui 6.540 originari. Restaurato dal National Film Center di Tokyo e integrato con didascalie, dal 1992 Chūji tabi nikki è stato proiettato più e più volte in Giappone e in vari festival internazionali. Persino nel suo stato frammentario e danneggiato, la pellicola di Itō è indubbiamente un capolavoro. Le recensioni dei contemporanei descrivono la trilogia come un trittico che dalla "freschezza" della parte iniziale, passando per "l'intensità del sentimento" del secondo episodio, giunge al "cupo nichilismo" dell'epilogo. Nel materiale che si è conservato si riscontra un'analoga modulazione di atmosfere nel progressivo decadimento di Chūji, ridotto da invulnerabile atleta a corpo steso su una barella. Perduta è la complessa rete di corrispondenze narrative, ritmiche e stilistiche, ma quanto ci è pervenuto testimonia comunque la capacità creativa del regista; perduta è anche la maggior parte dei celebrati passaggi sperimentali con montaggio accelerato o cinepresa 'scatenata', ma nel materiale giunto fino a noi troviamo molti momenti di cinema perfetto, con un eccezionale senso del ritmo e dei tempi cinematografici.
Poiché è sopravissuto pochissimo del cinema muto giapponese e quasi nulla della Nikkatsu, la casa di produzione specializzata in film di yakuza e di samurai, i frammenti di questa opera chiave rivestono una grande importanza. Essi ci mostrano la straordinaria potenza artistica e politica dei film a soggetto storico dell'anteguerra, la maestria dei registi e degli operatori, il talento degli attori. Accanto al Chūji di Ōkochi Denjirō si cala con particolare efficacia l'allora diciannovenne Fushimi Naoe nel ruolo di Oshina, che disegna nel finale un'eroina di forza inaudita. Film di regia e film d'attori al tempo stesso, Chūji tabi nikki esibisce scena dopo scena un'arte spettacolare di eccelso virtuosismo e piena maturità. Fra le star del periodo prebellico Ōkochi Denjirō ebbe una posizione preminente: la sua carriera era legata al trio di enorme successo formato dall'attore, da Itō Daisuke e dall'operatore Karazawa Hiromitsu. La loro collaborazione, destinata a protrarsi negli anni, iniziò proprio con il terzo episodio di Chūji tabi nikki.
Interpreti e personaggi: Ōkochi Denjirō (Kunisada Chūji), Nakamura Hideo (Kantarō), Fushimi Nade (Oshina), Nakamura Kichiji (Kabe Yasuzaemon), Sakamoto Seinosuke (Bunzo), Isokawa Motoharu (Sawadaya Kihei), Sawa Ranko (Okume), Murakami Eiji (Ginjirō), Akitsuki Nobuko (Shinobu), Onoe Kajō (Otozō), Nakamura Koka (Gantetsu), Onoe Utagoro (Genji).
I. Buruma, A Japanese Mirror. Heroes and Villains of Japanese Culture, London 1984.
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