UBALDINI, Cia
(Marzia, Marcia, Maucia; Cia degli Ordelaffi). – Fu figlia di Giovanni di Tano da Castello, del ramo degli Ubaldini di Montaccianico, e di Andrea Pagani, primogenita del signore romagnolo Maghinardo Pagani da Susinana.
Il padre Giovanni è più noto con il nome di Vanni da Susinana, assunto dopo aver ottenuto il castello eponimo e altri castelli nell’alta valle del Senio, lasciati nel 1302 in eredità a sua moglie da Maghinardo Pagani.
Non si conosce l’anno di nascita di Cia Ubaldini, verosimilmente di poco anteriore al 1307, allorché nel testamento di sua madre le venne assegnata una dote di 1500 fiorini d’oro e un lascito ereditario di 500 fiorini. Si deve ritenere che tale testamento fosse stato dettato quando Cia era nei primi anni di vita. Molto probabilmente trascorse la sua prima età in uno dei castelli appenninici dell’antico dominatus dei Pagani. La giovinezza vissuta in un mondo signorile e rurale, fra gente di montagna avvezza al mestiere della guerra, avrebbe alimentato il mito di Cia come donna esperta «maravigliosamente d’arme e di capitaneria» (M. Villani, Cronica, a cura di G. Porta, 1995, l. VII, cap. 58).
Non si hanno attestazioni di Cia Ubaldini fino al suo matrimonio con Francesco di Sinibaldo Ordelaffi, signore di Forlì, avvenuto, secondo la testimonianza degli Annales Caesenates, nel 1334, dunque in un’età non giovanile. L’anno coincide con la presa del potere di Francesco Ordelaffi sulla città di Cesena, ove impose una signoria fondata sull’autorità personale e familiare. Pertanto Francesco fece trasferire la moglie, insieme alla famiglia di origine, nella cittadella fortificata che sorgeva in posizione rialzata all’interno delle mura di Cesena.
Da questo momento il baricentro biografico e politico di Cia Ubaldini si spostò dal mondo rurale e appenninico dei suoi avi a quello cittadino del marito. Nulla si sa però di lei nei successivi vent’anni, pure totalmente oscuri sulle forme di dominazione adottate da Ordelaffi.
Attorno alla metà degli anni Cinquanta si collocano le due vicende che resero celebre la donna: la prima fu un valoroso respingimento dell’incursione fatta dalle truppe pontificie fin sotto le mura di Cesena nel 1354; la seconda, che ebbe un’eco profonda, fu l’assedio subito nella stessa città da parte delle milizie papali circa due anni dopo, all’inizio del 1357. Entrambi gli episodi sono peraltro attestati esclusivamente attraverso le cronache e non sempre è possibile tracciare un discrimine fra accadimenti storici e pratiche discorsive.
L’impegno politico e militare di Cia Ubaldini si colloca nella cornice della politica di assoggettamento dei poteri signorili delle città romagnole, tenacemente perseguita dopo il 1353 dal cardinale Egidio Albornoz, legato papale in Italia e vicario nello Stato della Chiesa. In tale frangente Francesco Ordelaffi – che controllava allora Forlì, Forlimpopoli, Bertinoro e Cesena oltre a una serie di castelli in area collinare, e appoggiava Bernabò Visconti contro il Papato – decise di avvalersi della collaborazione della moglie, affidandole il presidio della città di Cesena. Cia si trovò pertanto a collaborare attivamente alla difesa del dominatus signorile del marito, tanto che nelle fonti è ricordata più spesso con il nome di Cia degli Ordelaffi.
L’attacco di Albornoz, nell’agosto del 1354, prese di mira Cesena in quanto città più esposta, trovandosi al confine con la signoria dei Malatesti di Rimini, fedeli al Papato. Cia Ubaldini, con un’abile sortita alla testa dei suoi fedeli in armi, si oppose al contingente agli ordini del capitano d’arme Carlo conte di Dovadola, inviato a destabilizzare e a depredare il territorio cesenate. Il conte fu ferito a morte, il bottino fu recuperato, mentre furono fatti prigionieri due figli di Ramberto Malatesta e molti masnadieri. Secondo Matteo Villani, Marzia si sarebbe comportata «non come femina, ma come vertudioso cavaliere» (Cronica, cit., l. V, cap. 77), montando armata a cavallo e incitando alla lotta.
Nell’aprile del 1357 il cardinale Albornoz decise di sferrare il colpo decisivo alla signoria di Francesco Ordelaffi, rimasto politicamente isolato in Romagna, fulminato dalla scomunica e bersaglio di una crociata. Ancora una volta l’attacco contro la vicina Cesena parve la scelta strategicamente migliore, prima di puntare su Forlì. In un consiglio di guerra tenuto a Forlì, Ordelaffi rifiutò la proposta dei suoi concittadini di negoziare con Albornoz la resa di Cesena e decise invece di difendere strenuamente la città, affidandone la custodia a Cia Ubaldini, fiancheggiata da due consiglieri (Sgaraglino da Pietracuta e Giorgio Tiberti), da duecento cavalieri e numerosi fanti. Il 29 aprile 1357 i cittadini di Cesena, temendo di dover sostenere un duro assedio e sobillati ad arte da alcuni esponenti dell’aristocrazia urbana, che gli Annales Caesenates elencano nominativamente, si ribellarono al potere signorile, inneggiando al regime popolare e alla Chiesa. Cia Ubaldini, difesa da un manipolo di mercenari, dovette pertanto ritirarsi nella cittadella, detta Murata, insieme al figlio minore Sinibaldo, ai nipoti del marito, Giovanni e Tebaldo, figli di defunto Ludovico Ordelaffi e a due giovanissime nipoti, nate dal matrimonio fra la figlia Onestina e Gentile da Mogliano, già signore di Fermo. Nella Murata furono pure condotti alcuni cittadini cesenati fatti prigionieri durante la sommossa urbana. Alcuni di questi, accusati di aver fomentato la rivolta, furono immediatamente fatti decapitare e gettati dall’alto delle mura, mentre Giorgio Tiberti fu recluso nelle carceri.
Nei giorni seguenti i soldati al comando di Cia Ubaldini compirono alcune sortite per incendiare e devastare alcuni punti nevralgici della città, fra i quali il ponte Nuovo e la beccheria Vecchia, e punire così i rivoltosi. Il 13 maggio Cia, sospettando che Sgaraglino da Pietracuta e Giorgio Tiberti avessero avuto parte nella ribellione della città, li fece decapitare, provocando peraltro lo sdegno del marito. La situazione era disperata: Albornoz stava concentrando ingenti forze militari contro la città e aveva fatto trasportare otto grandi macchine da getto da Ancona, mentre puntava su Cesena per dirigere personalmente le operazioni. Il 28 maggio 1357 anche in seguito alla defezione di parte delle milizie, la cittadella fu espugnata dalle milizie papali (mercenari ungheresi e rivoltosi cesenati) guidate da Galeotto Malatesta e da Roberto Alidosi. Cia Ubaldini dovette così rifugiarsi nella fortificazione maggiore della rocca attraverso gallerie sotterranee, faticosamente fatte scavare, dapprima svuotando la cisterna e poi minando addirittura le fondamenta della torre maestra. Potendo contare ancora su un discreto contingente di armati – Villani annovera quattrocento uomini tra cavalieri e masnadieri, pronti a ubbidire fino alla morte (Cronica, cit., l. VII, cap. 68), ma la cifra appare eccessiva rispetto alle capacità logistiche della rocca – Cia riuscì a ritardare la resa e fece pure compiere altre devastazioni, quali l’incendio del campanile e delle case dell’episcopato. Il 21 giugno tuttavia si arrese ad Albornoz; secondo Villani, chiese al cardinale un salvacondotto per i soldati che erano stati ai suoi ordini, ma nulla per sé. Albornoz fece condurre la donna e i suoi congiunti nella prigione della Rocca innocenziana di Ancona, sua principale residenza in Italia. Qui Marzia avrebbe tenuto un profondo contegno «come se la vittoria fosse stata sua» (ibid., l. VII, cap. 69) e perciò avrebbe meritato un trattamento di particolare riguardo.
Dopo circa due anni di prigionia, Cia Ubaldini fu scarcerata nel luglio del 1359, quando anche Forlì fu conquistata; Francesco Ordelaffi rinunciò a ogni pretesa sulla città e fu prosciolto dalla scomunica, ottenendo la liberazione dei familiari. La donna poté pertanto ricongiungersi al marito e ai figli, esiliati a Chioggia e poi a Venezia.
Francesco ricoprì incarichi militari al servizio della Repubblica di Venezia, ma di Cia Ubaldini non si hanno più notizie, né se ne conosce la data di morte. Le sue spoglie, insieme a quelle del marito, furono portate a Forlì nel 1381 nella chiesa di S. Agostino, in concomitanza del Capitolo generale degli eremitani, per volontà del loro figlio Sinibaldo Ordelaffi, il quale era tornato a insignorirsi della città e aveva da poco ottenuto da Urbano VI il titolo di vicario apostolico. Qualche anno più tardi, i corpi dei due furono traslati nella chiesa di S. Francesco.
Il profilo di Cia Ubaldini è restituito essenzialmente attraverso le cronache dell’Anonimo romano e di Matteo Villani. In entrambi i testi domina l’elemento romanzesco, teso a esaltare le doti eroiche e guerriere della donna; i dialoghi immaginari o gli scambi di lettere inseriti nella narrazione acuiscono i toni eroici. I due racconti ne esaltano il vigore e l’ardimento, la fedeltà alla causa degli Ordelaffi, il temperamento impavido, l’indefessa e strenua difesa armata nell’assedio di Cesena, infine l’animo «ardito e franco, più che virile» (M. Villani, Cronica, cit., l. VII, cap. 68).
Alcuni episodi riportati nelle cronache appaiono probabilmente frutto d’invenzione, o quanto meno accolgono dicerie diffuse attorno all’assedio di Cesena. Così entrambi i cronisti inscenano un patetico dialogo fra Cia e il suo vecchio padre Vanni da Susinana, il quale nei giorni dell’assedio, stando sotto le mura della cittadella, avrebbe prudentemente esortato la figlia ad arrendersi, mentre dall’alto delle mura questa avrebbe ribadito il suo fermo proposito di difesa, meritandosi infine l’ammirazione dello stesso padre. Parimenti, può essere ascritta a un’enfasi retorica l’accorata petizione rivolta da cinquecento donne cesenati ad Albornoz per salvare la vita dei loro uomini prigionieri nella cittadella di Cesena, crudelmente costretti da Cia a scavare gallerie sotto la torre maestra, con pericolo di imminenti crolli (Anonimo romano, Cronica, a cura di G. Porta, 1991, pp. 233 s.).
Risulta peraltro singolare che nelle fonti cronachistiche le figure di Cia Ubaldini e di Francesco Ordelaffi, pure esaltate per la loro fedele alleanza matrimoniale, siano delineate in modo antitetico. Alla rappresentazione eroica e idealizzata della donna si contrappone infatti l’immagine dell’uomo quale tiranno crudele ed eretico. Il destino storico dei due fu comunque divergente: entrambi costretti a difendere il potere signorile dagli assedi delle truppe papali inviate da Albornoz, Cia dovette fronteggiare la ribellione dei cittadini di Cesena nel 1357, mentre Francesco poté contare, due anni dopo, sull’appoggio incondizionato degli uomini di Forlì fino al momento della capitolazione della città.
Il carattere di exemplum della vicenda di Cia Ubaldini è reso esplicito da Villani: l’autore palesa infatti che se l’assedio di Cesena «fosse avvenuto al tempo de’ Romani, i grandi autori non l’avrebbono lasciata senza onore di chiara fama» (Cronica, cit., l. VII, cap. 69). Non stupisce dunque che in epoca moderna questa figura sia stata riscoperta, soprattutto durante il Risorgimento, per proporre un mito femminile di eroismo patriottico, declinato prevalentemente nel teatro e con toni melodrammatici. Fu pure interpretata come un’antesignana di Caterina Sforza Riario, quale virago capace di opporsi al potere papale sulla Romagna.
La tradizione folklorica vuole riconoscere oggi in Cia Ubaldini la figura femminile posta tra il profilo di due torri che campeggia nello stemma di Palazzuolo sul Senio, nell’Appennino tosco-romagnolo, il castello avito degli Ubaldini entrato dal 1362 a far parte dello Stato territoriale fiorentino.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Firenze, Diplomatico, Riformagioni, Atti pubblici (1307 luglio 20); Cronache forlivesi di Leone Cobelli dalla fondazione della città sino all’anno 1498, a cura di G. Carducci - E. Frati, Bologna 1874, pp. 105, 116, 120, 121, 149, 153; Cronaca di ser Guerriero da Gubbio dall’anno 1350 all’anno 1472, a cura di G. Mazzatinti, in RIS, XXI, 4, Città di Castello 1902, p. 14; Corpus chronicorum bononiensium, a cura di A. Sorbelli, ibid., XVIII, 3, Bologna 1916-1939, pp. 66 s.; Cronache malatestiane dei secoli XIV e XV, a cura di A.F. Massera, ibid., XV, 2, Bologna 1922-1924, pp. 22 s.; Anonimo romano, Cronica, a cura di G. Porta, Milano 1991, pp. 230-236; M. Villani, Cronica, con la continuazione di F. Villani, a cura di G. Porta, Parma 1995, l. V, cap. 77, l. VII, capp. 38, 58, 68, 69, 77; Annales Caesenates, a cura di E. Angiolini, Roma 2003, pp. 145, 192-194.
E. Duprè Theseider, C. degli Ordelaffi, in Studi romagnoli, XVI (1965), pp. 113-122; A. Mazzeo, Donne di Romagna: C. degli U., Forlì 1969; C. Dolcini, Comune e signoria, in Storia di Cesena, II, 1, Il Medioevo (secoli VI-XIV), a cura di A. Vasina, Rimini 1985, p. 257; A. Poloni, Ordelaffi, Francesco di Sinibaldo, in Dizionario biografico degli Italiani, LXXIX, Roma 2013, pp. 419-422; M.C. Pepa, Marzia Ubaldini. Una guerriera medievale nella mitografia medievalistica, in Medievalismi italiani (secoli XIX-XXI), a cura di T. di Carpegna Falconieri - R. Facchini, Roma 2018, pp. 115-130.