CIALDINI, Enrico, duca di Gaeta
Generale, uomo politico e diplomatico italiano, nato a Castelvetro di Modena nel 1811. Studiava medicina a Parma quando, scoppiati i moti del 1831, si arruolò nelle milizie volontarie del generale Zucchi (glorioso superstite delle guerre napoleoniche), milizie che furono respinte fino ad Ancona e quivi costrette a capitolare. Cialdini riparò allora in Francia, e a Parigi continuò gli studî di medicina. Ma quando il genovese Borso Carminati, fu incaricato di levare in Francia una legione straniera per combattere in Portogallo contro l'usurpatore don Miguel, il C. si arruolò come semplice soldato (1833). Passò poi nella Spagna dove i liberali cristini combattevano contro l'assolutismo carlista (1835). Combatté per la costituzione e si distinse in parecchi fatti d'arme. Nel 1838 aveva il grado di maggiore; ma l'anno seguente rinuimciò a quel grado per assumere quello di sottotenente nell'esercito regolare spagnolo, e in soli otto anni giunse al grado di colonnello nella gendarmeria. Avuta la missione di recarsi a Parigi per studiare l'organizzazione della gendarmeria di Luigi Filippo, si trovò presente allo scoppio della rivoluzione del febbraio 1848. Il C. si recò allora a Milano dove offri i suoi servigi al governo provvisorio. Non accettato, si rivolse al generale Durando, comandante in capo dell'esercito pontificio mobilitato nel Veneto, che lo accolse e lo aggregò al proprio stato maggiore. Fu, col D'Azeglio, alla difesa di Monte Berico (10 giugno 1848) dove rimase gravemente ferito al ventre. A guerra finita si recò in Piemonte ove ebbe il grado di colonnello dell'esercito sardo e il comando degli emigrati emiliani, con i quali fu costituito un reggimento, comportatosi poi bravamente alla Sforzesca (21 marzo 1849). Nel 1855 gli fu conferito il comando di una delle brigate inviate col corpo di spedizione in Oriente. Fu poi ispettore dei bersaglieri. Nell'imminenza della guerra del 1859 coadiuvò Garibaldi nella costituzione del corpo dei Cacciatori delle Alpi. Alla campagna partecipò come comandante di divisione e si distinse a Palestro.
L'anno seguente, alla testa di un corpo d'armata, prese parte all'invasione delle Marche e dell'Umbria. Vinte a Castelfidardo (v.) le truppe pontificie comandate dal Lamoricière (18 settembre 1870), il Cialdini fu promosso generale d'armata. Gli avvenimenti ulteriori portarono l'esercito piemontese contro l'esercito napoletano del quale il C. ebbe facilmente ragione nei combattimenti d'Isernia e di Sessa. Intanto Garibaldi aveva battuto i borbonici al Volturno. Nel novembre il C. iniziò le operazioni d'assedio contro la piazza di Gaeta, estremo ridotto del re di Napoli e dei suoi fedeli. La fortezza innalzò bandiera bianca il 12 febbraio 1861. Dopo di che il C. fu inviato a dirigere le operazioni contro la cittadella di Messina, che capitolò il 13 marzo. Al C. fu conferito il titolo di duca di Gaeta.
Nominato comandante del corpo d'armata di Bologna, ed eletto deputato per il collegio di Reggio Emilia, il C. fu alla fine di quello stesso anno (1861) incaricato di reggere le provincie dell'ex-regno di Napoli, come plenipotenziario civile e militare del re. Diresse la repressione del brigantaggio. Dopo circa un anno rioccupò il suo posto a Bologna. Nel 1864 fu eletto senatore.
Mentre la diplomazia preparava l'alleanza italo-prussiana per la comune guerra contro l'Austria, il C. fu interpellato circa il piano militare dell'invasione del Veneto. Fra lui e il La Marmora (v.) presidente del consiglio e preconizzato comandante supremo dell'esercito mobilitato, non si poté giungere sostanzialmente a un accordo (l'accordo fu apparente e basato su di un equivoco), preferendo il C. l'offensiva attraverso il basso Po e il La Marmora l'offensiva attraverso il Mincio con azione diretta contro il quadrilatero. Il La Marmora, dando prova di debolezza, finì con l'adottare un piano intermedio, col grave inconveniente della separazione delle forze. Delle 20 divisioni dell'esercito mobilitato, 8 furono poste agli ordini del C. e concentrate fra Bologna e Modena, col compito di passare il Po presso Ferrara due giorni dopo l'inizio delle azioni dimostrative che lo stesso La Marmora avrebbe compiute con la massa maggiore delle forze dal confine del Mincio. Ma, battute a Custoza (v.), le forze del La Marmora ripassavano alla destra del Mincio, mentre il C. sospendeva il passaggio del Po. Ripresa dopo due settimane l'offensiva, l'esercito italiano guidato dal Cialdini, che ne aveva assunto il supremo comando, avanzò nella pianura veneto-friulana per ristabilire il contatto con gli Austriaci, ma non riuscì che a raggiungere una retroguardia a Versa col corpo d'armata del generale Cadorna (v.). Dopo la guerra, fra il La Marmora e il C. furono lunghe e astiose polemiche.
Nel 1870 il C., che nel 1867 era stato insignito del Collare dell'Annunziata, fu a Madrid come ambasciatore straordinario presso il re Amedeo I di Savoia. Al ritorno in patria ebbe il comando militare di Firenze. Nel 1876 fu nominato ambasciatore a Parigi. Si ritirò dalla vita diplomatica nel 1881. Morì a Livorno nel 1892.
Bibl.: Nisco, Cialdini e i suoi tempi, Napoli 1893.