CIARPELLONE (Zerpellone)
Nacque probabilmente in Lombardia tra la fine del XIV ed i primissimi anni del secolo seguente. Soldato di ventura, militò giovanissimo nelle schiere di Francesco Sforza; nel 1428, mentre era al servizio del duca di Milano, Filippo Maria Visconti, e aveva il compito di difendere dalle truppe venete il territorio e la città di Cremona, venne, secondo un'antica tradizione, battuto e catturato dal'Colleoni. Liberato, egli rientrò ai servizi dello Sforza, nell'esercito del quale era, a capo di una formazione di soldati a cavallo, nella campagna svoltasi nel 1433-34 nel territorio dello Stato pontificio contro le truppe d'Eugenio IV dapprima e quindi, dopo la. nomina dello Sforza a gonfaloniere della Chiesa, contro le schiere di Niccolò Fortebraccio e Niccolò Piccinino.
Nel settembre del 1434, con un'ardita scorreria di cavalieri, C. affrontò il Fortebraccio, che si era installato in Roma per fornire aiuto ai repubblicani insorti, che assediavano la Mole adriana, e lo scacciò dall'urbe. Trasferitosi quindi nelle Marche con lo Sforza, l'anno seguente, in luglio, insieme con Michele Troilo. impedì a Francesco Piccinino e a Sacramoro, capitani viscontei, di attraversare il fiume Savio presso Cesena, respingendoli; nell'ottobre del 1434, agli ordini di Alessandro Sforza, era accampato a Iesi.
Nel 1436 C. partecipò alla campagna condotta in Romagna dall'esercito di Francesco Sforza, nel quadro della guerra allora combattuta dalla lega di Venezia, Firenze, il papa, Genova e gli Angioini contro Filippo Maria Visconti collegato con Alfonso d'Aragona.
Pur essendo lo Sforza alle dipendenze del pontefice ed impegnato contro Niccolò Piccinino, nel settembre di quell'anno il legato papale, Bartolomeo d'Offida, ufficialmente con iniziativa tutta personale, prese segreti contatti con il condottiero visconteo per far cadere lo Sforza in una trappola ed ucciderlo. Lo Sforza, messo al corrente del complotto, assalì il campo del legato, dove fecero decisamente irruzione, sorprendendone i difensori, C. e Pier Brunoro, determinando la successiva cattura dell'Offida. Considerato ormai uno dei migliori e più esperti condottierà dello Sforza, C. si segnalò anche all'inizio del 1437, quando, durante la campagna condotta in Toscana dagli sforzeschi contro il Piccinino, intervenne, insieme con Pier Brunoro e Niccolò Pisano, a liberare Barga, tenuta dai Fiorentini, dall'atsedio postole dal Piccinino; le truppe di quest'ultimo furono in quell'occasione sorprese con ardita manovra e nello scontro, risoltosi con la vittoria degli sforzeschi, fu, catturato anche Ludovico Gonzaga, figlio del marchese di Mantova. Nel marzo del 1439. C. era nella Tuscia e il legato pontificio, G. Vitelleschi, formalmenie alleato degli sforzeschi, ingiungeva ai Viterbesi di non farlo entrare in città e di sorvegliarlo, nel caso si fosse recato per cure ai bagni termali.
Trasferitosi al seguito dello Sforza in Lombardia, C. prese parte alla campagna che ancora una volta contrappose nel 1439-40 gli sforzeschi al Piccinino, al soldo del duca di Milano.
Dopo la battaglia di Riva (novembre 1439), insieme con Marco Troilo fu inviato in avanscoperta a Verona, assalita dal Piccinmo; e quindi nella primavera del 1440, con brillante manovra, sconfisse e disperse lungo l'oglio le schiere dì Taliano Furlano, che, tentava di ricongiungersi al condottiero visconteo.
La ormai lunga consuetudine con lo Sforza, i numerosi scontri positivamente superati, la fama di condottiero esperto ed ardito che lo circondava facevano ormai di C. un capitano di notevole spicco. Spinto dalla fama di C., nell'autunno del 1440 il duca di Milano, pare anche per consiglio del Piccinino, lo indusse a cambiare campo e nel marzo del 1441 sembra gli concedesse in feudo la località e il castello di Arena. Nell'esercito del Visconti pare che C. avesse precise funzioni di comando, tanto da apparire più "dux", che "dux milesque", come per il passato (Simonetta, p. 104); comunque, dopo aver conquistato il 24 aprile del 1441 il castello di Lovere, il 25 giugno di quello stesso anno C. fu ferito nella battaglia di Cignano, presso Brescia, mentre difendeva il luogo contro gli antichi commilitoni sforzeschi.
La parentesi viscontea di C. fu di breve durata; infatti, dopo la conclusione della pace di Cavriana (10 dic. 1441), che sanciva l'accresciuta potenza dello Sforza, C. nello stesso mese di dicembre ritornò alle dipendenze di quest'ultimo, dando inizio al perio do più brillante, anche se breve e tragicamente concluso, della sua carriera militare.
Destinato ad operare nella Tuscia, viscese con seicento cavalli e quattrocento fanti, e conquistò Torri presso Acquapendente, catturandovi Luigi Della Cerbara; avrebbe dovuto accompagnare, nel marzo del 1442, Renato d'Angió da Cometo a Todi, ma Alessandro Sforza sconsigliò l'operazione, non essendogli sembrato opportuno porre il sovrano "in arbitrio et mano de Ciarpellone, quale è homo de ventura" (Osio, p. 262); evidentemente il recente voltafaccia non era state del tutto dimenticato fra gli sforzeschi. Ciononostante, scoppiate nell'estate le ostilità fra Pontifici, Aragonesi e le schiere dei Piccinino, da una parte, contro lo Sforza, appoggiato da Firenze, Venezia e l'Angiò dall'altra, a C. furono affidate operazioni di notevole responsabilità. Nel giugno egli compì numerose razzie nel territorio dell'alto Lazio, fra Orvieto e Castro; quindi, richiamato nelle Marche dallo Sforza, vi si ritirò con Dolce dell'Anguillara, compiendo alcune scorrerie in Umbria (agosto 1442); tornato subito dopo nella Tuscia, si stabili in Tuscania, dove costituì per alcuni mesi una spina nel fianco delle forze pontificie, compiendo continue azioni di disturbo, che spesso si trasformavano in pure e semplici razzie, banditesche. Fu il giorno di Natale del 1442 e l'8 marzo del 1443 a Viterbo, nel gennaio del 1443 a Civitavecchia; nel maggio del 1443 ancora in territorio di Roma e di nuovo a Civitavecchia, di cui, forzate le difese, pose a sacco il porto; nel corso di uno scontro (26 febbr, 1443) avvenuto nei pressi di Orvieto, si batté "come un paladino" (Della Tuccia, p. 189). Richiamato ancora una volta nelle Marche dallo Sforza, che, era incalzato dagli avversari, C. vi accorse nell'estate, insieme con Dolce dell'Anguillara, non omettendo di conquistare lungo il tragitto il castello dì Piegaio e di cederlo per 3.000 fiorini al Comune di Perugia. Dopo aver contribuito a rafforzare le difese delle località marchigiane rimaste fedeli allo Sforza, C. partecipò nell'autunno alla riconquista dei dominio sforzesco e l'8 novembre sconfisse, con una ammirevole manovra di accerchiamento, le truppe del Piccinino a Montemilone nel Pesarese.
All'inizio del 1444, con una consistente parte dell'esercito dello Sforza, C. stazionava fra il Chientie il Potenza, fronteggiando l'esercito del Piccinino, stabilitosi quindi a Montefano, respinse il 12 marzo una puntata pontificia, e l'11 maggio tese un fortunato agguato in Montemilone a Niccolò Piccinino, che si salvò a stento, lasciando nelle mani del capitano sforzesco molti prigionieri. C. continuò quindi a compiere scorrerie contro Osimo e Recanati, finché, affrontato decisamente nel giugno dal Piccinino, in un primo momento riuscì ad impedirgli la conquista di Castelfidardo, ma poi, persi tutti i carriaggi ad Appignano, fu costretto a ritirarti su Fermo, ove si riunì allo Sforza. Con questo partecipò in agosto alla campagna contro Francesco Piccinino, che si concluse con la vittoriosa battaglia di Montolmo, nel corso della quale un disertore sforzesco, tale Colella, catturò il condottiero sconfitto e lo consegnò a C., suo ex capitano; C. insultò poco cavallerescamente l'avversario prima di consegnarlo allo Sforza e quindi, con un odioso stratagemma, intascò la cospicua somma di denaro destinata al Colella come premio.
Conclusasi, dopo la sconfitta dell'esercito pontificio, la pace di Perugia (30 sett. 1444), nei cui capitolati definitivi, stabiliti il 21 novembre successivo, C. fu incluso come "aderente" dello Sforza, il capitano sforzesco fu per la seconda volta tentato dal Visconti, che aveva perduto il suo vecchio condottiero (il Piccinino era morto il 15 ottobre) e voleva sostituirlo. Avviatesi le trattative, C., che soggiornava a Fermo con lo Sforza, chiese a costui il permessó di lasciarlo per recarsi in Lombardia, ma lo Sforza ricordandosi, come dice il Della Tuccia (p. 197), "d'alcuni tradimenti e bischizzi che li aveva fatti... lo fe' pigliare, impiccare e squartare la domenica 29 di novembre" del 1444.
Un conciso ed efficace ritratto di C. ha lasciato B. Baldi (in Della Tuccia, p. 105): "Fu Ciarpellone d'animo grande, ancorché bassamente nato; fin da giovinetto caro allo Sforza, sotto cui si portò in modo che di piccolo e abbietto pervenne al nome di famoso capitano. Nelle fazioni di guerra quanto accorto, pronto e valoroso, tanto nel civil vivere temerario, rapace, vano, violento e poco fedele".
Non sembra che abbiano fondamento sicuro né l'identificazione proposta da P. Ghinzoni di C. con un Antonio Attendoli da Sanseverino (Osio, p. 328), né quella con un Antonio Colella, anch'egli soldato di ventura sforzesco.
Fonti e Bibl.: Ephemerides Urbevetanae..., in Rerum Ital. Scriptores, 2 ed., XV, 5, a cura di C. Fumi, pp. 489, 510; I. Simonetae Rerum gestarum Francisci Sfortiae... Commentarii, ibid., XXI, 2, a cura di G. Soranzo, pp. 45 ss, 53, 66, 69, 90, 94, 102, 104, 113 s., 117, 120 s., 130-134, 137, 141-44, 146-52, 164, 499, 504; Cristoforo da Soldo, Cronaca, ibid., XXI, 3, a cura di G. Buzzolara, pp 41, 53; L. Osio, Docc. diplom. tratti dagli archivi milanesi, III, Milano 1872, pp. 262, 328 s.; N. Della Tuccia, Cronache di Viterbo..., in Cronache e statuti della città di Viterbo, a cura di I. Ciampi, Firenze 1872, ad Indicem; C. Pinzi, Lettore del legato Vitelleschi, in Arch. della Soc. rom. di storia patria, XXXI (1908), pp. 403 s.; E. Ricotti, Storia delle compagnie di ventura in Italia, III, Torino 1845, pp. 98, 104 s.; G. Benadduci, Della signoria di Francesco Sforza nella Marca..., Tolentino 1892, ad Indicem; N. F. Faraglia, Storia della lotta tra Alfonso V d'Aragona e Renato d'Angiò, Lanciano 1908, p. 275; A. Giulini, Doc. pel condottiero sforzosco Colella da Napoli, in Arch. stor. lombardo, XLI (1914), pp. 334-37; B. Belotti, La vita di B. Colleoni, Bergamo 1923, pp. 22, 79, 118 s., 136 s., 147; C. Argegni, Condottieri, capitani, tribuni, I, Milano 1936, p. 168; C. Calisse, Storia di Civitavecchia, Firenze 1936, pp. 195 s.