CICALA (Cigala) ZOAGLI, Giovanni Battista
Nacque a Genova nel 1484 da Giorgio Zoagli e da Simonetta Navone di Francesco.
La famiglia Zoagli da cui discendeva (il cognome Cicala venne premessolsolo nel 1528, a seguito della riforma nobiliare per "alberghi" voluta da Andrea Doria; tale cognome venne poi tralasciato dai discendenti dopo la nuova riforma del 1576) aveva già dato un doge alla Repubblica, Nicolò, eletto nel 1394; ma essa, secondo la diffusa tradizione genovese, benché nobile, continuò ad attendere ai traffici e ai commerci. Il padre del C., Giorgio, nobile, mercante, ghibellino di parte bianca, aveva svolto in Oriente proficua attività mercantile come emissario del Banco di S. Giorgio e pare avesse anche ricoperto la carica di capitano di Caffa in Crimea. Ormai indifferente al problema istituzionale, negli anni in cui si successero i vari governatori francesi all'inizio del XVI secolo, Giorgio indirizzò all'attività politico-commerciale anche il C. e gli altri figli maschi: Antonio, Nicolò, Stefano, Lazzaro e Francesco.
Il C. nel 1506 fece parte dell'ufficio della Moneta e poi di quello di Chio; nel 1509 e nel 1510 gli venne affidato l'ufficio di Mercanzia e di Gazaria, incaricato di sorvegliare la dogana e il traffico con l'Oriente; nel 1512 e nel 1513 fece parte dell'ufficio di Moneta, non solo regolatore della Zecca, ma vero e proprio ministero delle Finanze; nel 1514 di quello dei consoli della Ragione, con funzioni di amministrazione giudiziaria, nel 1515 di Banchi e infine nel 1517 dei censori.
A questo punto la carriera del C. sembra come interrotta, sia che egli si sia recato al di fuori della patria per curare personali interessi economici sia che dall'attività pubblica si sia volontariamente o forzatamente allontanato, in coincidenza con gli anni del predominio spagnolo su Genova.
L'attività politica del C. riprese nel 1530, dopo la riforma legislativa del Doria (grazie alla quale ancora egli venne ascritto alla nobiltà) e la pacificazione interna: allora il C. fu assunto all'onorifico, mcarico diprocuratore della Repubblica. Evidentemente, dopo la parentesi di assenza, ritornava alle magistrature che richiedevano competenza in materia economica, essendo compito dei procuratori curare l'amministrazione delle finanze dello Stato e, tra l'altro, i rapporti con il Banco di S. Giorgio. Di una sua ambasceria a Clemente VII resta solo un vago accenno. Il C. venne eletto governatore di Corsica nel 1537, quando l'isola, in pieno conflitto franco-imperiale, era di importanza strategica fondamentale. Del resto, il prestigio pubblico di cui dovette godere è dimostrato anche dal fatto che nel 1538 fu inviato, col magnifico Nicolò Negroni, quale ambasciatore a Carlo V al congresso di Nizza.
Data l'importanza dell'incontro, voluto da Paolo III tra l'imperatore e Francesco I per concludere la tregua tra i due, incontro in cui gli interessi genovesi erano così massicciamente coinvolti, è evidente la funzione di osservatori del C. e del Negroni. Infatti, durante la loro permanenza a Nizza, i due ambasciatori mantennero con Carlo V rapporti costanti, e chiesero e ottennero di essere da lui direttamente informati durante il corso delle trattative. Ma dalle loro lettere al Senato (la prima da Villafranca il 15 maggio 1538e l'ultima da Savona il 21 giugno) risulta che il compito specifico della loro missione era di insistere presso l'imperatore per ottenere finalmente la corresponsione dei 3.000 ducati mensili per quel mantenimento di truppe cui Genova si era obbligata quando aveva rinnovato la lega. I due ambasciatori dovevano dimostrare che tale promessa sovvenzione (reclamata fin. dal 1535, anche con l'invio in Spagna di Adamo Centurione, banchiere personale di Carlo V) si dimostrava ormai essenziale e improrogabile, per la precaria situazione in cui, firmata una fragile tregua, allontanata la sua armata, la Spagna avrebbe lasciato Genova.
Dopo Nizza, il C. venne nuovamen te utilizzato in ambascerie di prestigio: a Paolo III a Roma e, nel 1541, di nuovo a Carlo V, quando, con l'ex doge G. Grimaldi Bracelli, andò a incontrarlo ai Giovi per presentargli l'ossequio della Repubblica. In questi anni, il C. dovette essere molto legato al Doria e condividerne le direttive politiche ed economiche: infatti, nel 1547, dopo il fallimento della congiura dei Fieschi, imposta dal Doria la riforma costituzionale tradizionalmente nota come legge del "garibetto", fu uno degli otto membri della commissione che la elaborò.
Per essa, sottratta alla sorte e affidata ai voti l'elezione di un quarto dei membri del Maggior Consiglio e di tutti quelli del Minore, secondo criteri di proporzionalità tra gli "alberghi", i "vecchi" nobili risultavano ampiamente favoriti nei confronti dalla nobiltà nuova, essendo titolari di ventitré "alberghi" contro cinque.
Nel 1556 al C. venne affidato l'incarico di riordinare le ascrizioni alle famiglie. nobili, in cui si erano introdotti nomi abusivi. Nel 1557, mentre la Corsica era travagliata dalla occupazione francese e dalla rivolta diSampiero, poiché il Banco di S. Giorgio, non più in grado di mantenere il possesso dell'isola, cercava di affidarlo alla diretta sovranità della Repubblica, il C. fu incaricato di studiare le modalità del passaggio, ma, viste le difficoltà dell'operazione, preferì declinare l'affare (che, del resto, egli stesso avrebbe definitivamente composto durante il suo dogato). Dopo essere stato eletto nel 1559 alla carica di sindacatore supremo, il 4 ott. 1561, una quindicina di giorni dopo la morte del doge Paolo Battista Calvi Giudice, venne eletto doge con 185 voti su 300circa.
Appena stabilito in carica, si diede a trattare affari delicati e importanti. Riuscì a ricondurre sotto il diretto governo della Repubblica, sottraendoli al Banco di S. Giorgio, non solo, come già accennato, la Corsica, ma altre città e luoghi di terraferma. Inqltre, con la giustificazione ufficiale di difendere la reputazione della solvenza genovese all'estero, si fece promotore di una iniziativa finanziaria: i fratelli Giacomo e Agostino Lercari, mercanti nobili in Anversa, erano debitori verso il re di Francia di 25.000 scudi, somma che erano impossibilitati a corrispondere; il C. allora propose una sottoscrizione fra i magnati dei Senato: egli stesso si sottoscrisse, "non tamquam Dux sed proprio nomine", offrendo una considerevole somma; e, come lui, avendo sottoscritto altri sei senatori, si poté completare la somma dovuta al re di Francia, somma che venne inviata con lettera di cambio il 20 genn. 1563. Dai verbali del Senato risultano gli altri atti, più e meno importanti, del dogato del C.: oltre alla vendita del castello d'Aulla e sue pertinenze alla famiglia Centurione, egli fissò la normativa per l'attribuzione definitiva delle dodici chiavi che racchiudevano la custodia del Sacro Catino. Durante il dogato, si mantenne anche in corrispondenza con l'arcivescovo di Milano, Carlo Borromeo, per ottenerne la mediazione presso la S. Sede per i restauri ad alcune chiese genovesi. Il C., infine, diede facoltà ad Agostino Pinelli e a Giacomo Promontorio di vendere i diritti che la Repubblica aveva in Spagna.
Terminato il dogato, il C. fu dichiarato procuratore perpetuo. Nel settembre 1565, insieme con Agostino Pinelli, attuò la sua ultima operazione finanziaria: per incarico del doge Giovan Battista Lercari organizzò un prestito di 10000 scudi all'imperatore; stretto l'accordo, il contratto venne sottoscritto dai cinque procuratori perpetui. Mori nello stesso anno 1565.
Dal matrimonio, contratto attorno al 1510, con Bianca Bonassoni di Michele gli erano nati tre figli: Vincenzo, Stefano (entrambi ascritti alla nobiltà nel 1534) e Giorgio, nato molti anni più tardi (una modifica del 5 ott. 1536 del testamento di Bianca estende i diritti ereditari dai fratelli al nascituro) e ascritto nel 1559, Stefano premorì al padre e Vincenzo continuò invece la carriera politica e la discendenza. Secondo il Giustiniani, il C. avrebbe avuto anche vivi interessi storico-letterari, tanto che, durante il dogato, avrebbe composto opere di storia patria e, negli ultimi anni, una Historia dei Mamelucchi che, rimasta manoscritta. sarebbe stata conservatada Giovan Battista Sauli, discendente del Cicala. Ma non è da escludere che il Giustiniani confonda il C. con l'omonimo e contemporaneo cardinale.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Genova, mss. 10, cc. 43, 70, 98, 117, 166, 199, 212; 436, c. 314; 494, c. 233;Ibid., Lettere Ministri Spagna, busta I/2410; Istruzioni e relaz. degli ambasciatori genovesi, a cura di R. Ciasca, Roma 1951, I, p.136;M. Giustiniani, Gli scrittori liguri, Roma 1667, I, p. 131; F. Casoni, Annali della storia di Genova, Genova 1830, II, p. 133; III, p. 143;L. Levati, I dogi biennali della Rep. di Genova, Genova 1913, pp. 102-107; V. Vitale, Diplom. e consoli della Rep. di Genova, in Atti della Soc. ligure di storia patria, LXIII (1934), p. 161;A. Cappellini, Diz. biografico dei genovesi illustri, Genova 1936, p. 44.