MARGARUCCI, Ciccolino
MARGARUCCI, Ciccolino. – Nacque nel 1557 a San Severino Marche da Cesare e Tesaora Ciccolini. La famiglia apparteneva al locale patriziato, contando numerose presenze fra i consoli della Comunità.
Conseguito nel 1576 il dottorato in utroque iure all’ateneo di Perugia, si trasferì a Roma intorno al 1582, probabilmente per iniziare la pratica legale nella Curia romana.
Venne subito in contatto con Filippo Neri, che divenne il suo confessore. Il fondatore della Congregazione dell’Oratorio lo raccomandò al cardinale Carlo Borromeo in occasione di una sua visita a Roma e il M. entrò con la qualifica di gentiluomo nel personale di servizio dell’arcivescovo di Milano. Dopo l’Epifania del 1583, alla partenza di Borromeo da Roma, lo seguì a Milano e, presa dimora nel palazzo arcivescovile, entrò nel ristretto numero dei collaboratori esperti in diritto canonico. Il suo compito principale era quello di seguire «li negotij del tribunale», cioè le cause della corte arcivescovile (il M. a Carlo Borromeo, Milano 30 luglio 1584, in Margarucci Italiani, p. 344). Ebbe altresì l’incarico di ispezionare confraternite, ospedali, persino chiese parrocchiali dell’arcidiocesi per verificare il rispetto delle disposizioni di riforma emanate nei numerosi sinodi tenuti in quegli anni a Milano.
Nella «famiglia» del cardinale Borromeo, nella quale si distinguevano il barnabita Carlo Bascapè e Giovanni Botero, il M. trovò un clima intellettuale stimolante. Si legò altresì con il giovane Federico Borromeo, nipote del cardinale, ordinato sacerdote nel 1580 e sembrò condividere il clima austero del palazzo arcivescovile.
Nel luglio 1584, morto il padre, il M. chiese a Carlo Borromeo il permesso di allontanarsi da Milano per qualche mese. Problemi di divisione ereditaria lo costringevano infatti a tornare a San Severino. Borromeo concesse licenza e fornì al M., per il viaggio verso le Marche, una patente in cui lo dichiarava suo gentiluomo; lo raccomandò altresì al duca di Urbino Francesco Maria II Della Rovere, affinché alcuni crediti vantati dal M. in Urbino fossero sommariamente accertati e recuperati dallo stesso senza ricorrere alle vie legali. Giunto a San Severino, mentre attendeva alla soluzione dei problemi legati alla divisione ereditaria, il M. scrisse a Roma a Filippo Neri pregandolo di intercedere presso Borromeo affinché, al suo ritorno, gli fosse affiancato un collaboratore per sbrigare le pratiche del tribunale arcivescovile. Filippo Neri, secondo la tradizione agiografica, avrebbe risposto elusivamente, profetizzando la morte di Borromeo, che effettivamente avvenne il 3 nov. 1584.
Le prospettive del M. mutarono radicalmente. Rimasto a San Severino, fu nominato dal Consiglio magistrale della Comunità nella deputazione per l’edificazione di un santuario nei pressi di un’edicola nella quale, nel gennaio 1584, si erano verificate luminescenze e un’apparizione della Madonna col Bambino. Quindi, nel marzo 1585, si recò a Roma, dove di nuovo incontrò Filippo Neri, probabilmente per guadagnare l’appoggio dell’ambiente oratoriano al progetto. L’elezione a papa del marchigiano cardinale Felice Peretti con il nome di Sisto V, il 24 aprile, diede il definitivo impulso all’opera. In agosto, il M. fu inviato presso il vescovo di Camerino dal Consiglio di San Severino, insieme con il concittadino Silvio Tinti: l’obiettivo era di guadagnare all’opera il patronato pontificio. Effettivamente, nel maggio 1586 fu posta la prima pietra del santuario di S. Maria dei Lumi, su disegno del modenese Giambattista Guerra. I lavori furono conclusi in circa due anni: il 12 luglio 1589 il M. sottoscrisse il decreto per la verifica del consuntivo di spesa per la fabbrica conclusa.
Sisto V aveva provveduto a elevare San Severino da castrum a città e a creare la relativa sede diocesana (bolla Suprema dispositione, 26 nov. 1586). Tuttavia il M., presi in questo stesso torno di anni gli ordini sacri, non rimase nella città natale. Le sue competenze giuridiche e la fama derivata dalle esperienze di governo pastorale nell’arcidiocesi milanese ne fecero un esperto vicario diocesano. Grazie all’intervento di Lewis Owen (Ludovico Audeno), il vicario generale di Borromeo che il M. aveva conosciuto a Milano, ebbe nel 1587 l’incarico di vicario del vescovo di Savona Pier Francesco Centurione. Su raccomandazione di Filippo Neri era pronta per il M. anche la nomina a penitenziere della diocesi di Cremona in nome del vescovo, il cardinale Niccolò Sfondrati. La tradizione agiografica relativa a Filippo Neri ricorda l’episodio perché, di fronte ai ripetuti rifiuti del M., avrebbe risposto molto irritato, preconizzando l’elezione dello stesso Sfondrati a pontefice (avvenuta il 5 dic. 1590, con il nome di Gregorio XIV).
Per la sua carriera ecclesiastica, il M. poteva ormai contare apertamente sull’appoggio dell’ambiente oratoriano e di quello di Federico Borromeo (creato cardinale il 18 dic. 1587). Nel 1591, dopo che era fallito il tentativo di assegnargli la diocesi di Melfi, per intervento congiunto dell’oratoriano Francesco Maria Tarugi (futuro cardinale nel 1596) e del cardinale Borromeo, ebbe l’incarico di vicario generale della diocesi di Monopoli.
Fu il primo di una lunga serie di incarichi: il M. fu vicario diocesano a Genova (1592-93), Pavia (1593-98), Bologna (1599), Piacenza (1602-03), Faenza (1603-05), Padova (1605-07), di nuovo a Faenza (1607), Ravenna (1608-10), Perugia (1612-15). Mantenne contatti con Federico Borromeo, creato nel 1595 arcivescovo di Milano. Scrisse nell’occasione di «ralegr[arsi] per servitio di quella Chiesa a cui resta[va] del continuo con la medema devotione di sempre» (Margarucci Italiani, p. 354).
Il 26 maggio 1595 morì a Roma Filippo Neri. Poco dopo, nel 1600, gli oratoriani deliberarono di lasciare la custodia del santuario di S. Maria dei Lumi, che avevano ottenuto subito dopo il completamento dei lavori: al M., giunto in Curia al grado di protonotario apostolico, fu dato incarico dal Consiglio della Comunità di San Severino di recarsi a Roma per opporsi alla loro decisione. Arrivò a Roma nella primavera del 1601 con una lettera ufficiale della città per il cardinale Cesare Baronio; quindi tentò di ottenere aiuti in corte di Roma. Non ebbe successo: fallito anche il tentativo di ottenere che i gesuiti assumessero la custodia del santuario, si rivolse ai barnabiti, cioè ai chierici regolari di S. Paolo. Sulla decisione del M. pesarono probabilmente l’appartenenza a quest’Ordine di Bascapé, conosciuto da quasi vent’anni, gli ottimi rapporti di quest’ultimo con i barnabiti di Pavia (allacciati mentre ricopriva colà la carica di vicario diocesano) e l’appartenenza all’Ordine di un suo consanguineo, Basilio Margarucci. L’accordo con i barnabiti, sottoscritto dal M. a nome della città, fu concluso nel giugno 1601 e fu riconosciuto con breve pontificio il 1° luglio 1601.
Il M., che era tornato di nuovo a Roma nel 1607, in occasione del primo processo di beatificazione per Filippo Neri, dopo l’ultimo incarico di vicario diocesano a Perugia passò un periodo di riposo a San Severino Marche. Qui morì il 16 febbr. 1616.
Fonti e Bibl.: B.M. Margarucci Italiani, C. M. (1557-1616) nella storia della riforma cattolica accanto a Filippo Neri e Federico Borromeo secondo documenti inediti, in Miscellanea di studi marchigiani in onore di Francesco Allevi, a cura di G. Paci, Agugliano 1987, pp. 337-359.