Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Con il diffondersi della religione cristiana e il declino dell’impero romano la scienza greca assume un’aura di empietà. Il pensiero scientifico greco appare legato al culto degli dei pagani, o devoto a un dio creatore privo di qualunque affetto per il genere umano, o intriso di puro materialismo. Le obiezioni cristiane alla scienza dominante erano tuttavia iniziate prima che un secolo di reiterate invasioni barbariche avesse condotto l’Impero d’Occidente alla dissoluzione. Di fatto, anche i primi Padri della Chiesa avevano nutrito pesanti sospetti e avanzato critiche radicali ai contenuti del sapere greco.
Con il diffondersi del cristianesimo, il desiderio di legare ogni conoscenza al dettato delle Sacre Scritture, uniche depositarie del sapere rivelato, conduce in particolar modo a negare la sostanza empirica e teorica di quelle dottrine che mostrano relazioni più strette con il mito ebraico della creazione. In particolare devono essere completamente rivedute le assunzioni concernenti la forma del Cielo e della Terra. Fa poca differenza che il mondo sensibile sia il risultato del casuale aggregarsi degli atomi come voleva Democrito di Abdera, o composto da sistemi di sfere cristalline concentriche come voleva Aristotele, o infine regolato da combinazioni di circonferenze come voleva Claudio Tolomeo. Qualunque cosmologia greca va respinta in modo che il credente possa accettare senza riserve il contenuto delle Sacre Scritture. In questo contesto divengono oggetto di discussione anche i risultati più elementari di quella plurisecolare tradizione che aveva avuto in Alessandria d’Egitto il principale centro di elaborazione e di diffusione del sapere scientifico greco.
I primi concetti a essere negati sono quelli relativi alle dimensioni e alla forma della Terra. Nel mondo greco tali concetti vantavano una tradizione che aveva raggiunto la maturità con la stima della circonferenza terrestre eseguita da Eratostene di Cirene. Nonostante ciò, sulla scia di Lattanzio, il pensiero cristiano nega il concetto della rotondità della Terra e, di conseguenza, anche la conclusione aristotelica che i corpi pesanti cadano verso il suo centro. Sulla scia di Basilio viene meno anche l’idea della sfericità del cielo, perché in contraddizione con il mito ebraico della creazione. In un universo sferico non sarebbe infatti possibile collocare le “acque superiori” menzionate all’inizio della Genesi. Queste acque superiori assumono un forte valore esplicativo nella concezione cosmologica dei Padri della Chiesa. Esse moderano l’ardore del Sole, della Luna e delle stelle, che altrimenti riarderebbero la Terra; il loro miracoloso defluire verso il basso aveva prodotto il Diluvio universale; in un prossimo futuro, nel giorno del Giudizio, esse estingueranno il fuoco di tutti gli astri.
È verso la fine del IV secolo che la dottrina cristiana comincia a elaborare una cosmologia antitetica a quella geocentrica tramandata dalla tradizione astronomica alessandrina. Diodoro, vescovo di Tarso, avanza l’idea, poi accolta da altri scrittori, secondo cui il cosmo ha la forma di un tabernacolo, del quale la Terra occupa il fondo. Gli otto cieli cristallini e sferici della tradizione alessandrina – uno per ciascun pianeta anticamente noto (Luna, Mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove e Saturno) e per le stelle fisse – non esistono. Esistono invece solo due cieli, non sferici ma a forma di volta. Il primo funge da tetto per la Terra e per le acque inferiori, cioè quelle dei fiumi, dei laghi, dei mari e dell’oceano che circonda i tre continenti noti: Europa, Asia e Africa. Questo primo cielo, o firmamento, sostiene le acque superiori e costituisce a sua volta il pavimento del secondo cielo, sotto il quale risiedono Dio e gli angeli. L’idea di un universo a forma di tabernacolo è sostenuta da Teodoro, vescovo di Mopsuestia. Questi asserisce in più che i movimenti degli astri non dipendono da meccanismi di natura geometrica, ma sono regolati direttamente dagli angeli in dipendenza del volere divino.
Questo sistema cosmologico raggiunge la massima espressione per opera di Cosma, detto Indicopleuste (ovvero “navigatore delle Indie”). Nella Topographia christiana, oltre a illustrate la propria vita e le esperienze compiute nei lunghi viaggi per mare, Cosma si dedica a demolire le concezioni astronomiche di Aristotele e di Tolomeo. In quanto estremamente pesante, la Terra non può rimanere immobile al centro dell’universo ma deve giacere nel luogo più basso. Per questo stesso motivo né la Terra né il cielo possono avere forma sferica. Del resto, se avesse avuto tale forma, la Terra non sarebbe potuta emergere dalle acque nel giorno della creazione, né essere coperta dalle acque nel giorno del Diluvio.
La vera forma dell’universo può essere compresa solo esaminando il tabernacolo che Mosè aveva costruito nel deserto, fatto a immagine del mondo visibile. La Terra è perciò un piano di forma rettangolare la cui lunghezza in direzione est-ovest è doppia rispetto alla larghezza in direzione nord-sud. L’oceano che circonda i tre continenti è a sua volta delimitato da un’altra terra. Questa è stata la sede del paradiso terrestre e della civiltà prima che il Diluvio universale inducesse Noè a imbarcarsi sull’arca, ad attraversare l’oceano e a stabilirsi con i propri discendenti nei tre continenti centrali. La terra che contiene l’oceano sorregge anche le quattro pareti laterali dell’universo, sormontate da un primo soffitto piano, sede delle acque superiori e del firmamento, e da un secondo soffitto a forma di mezzo cilindro, appoggiato alle pareti nord e sud. Il vano inferiore del cosmo sarebbe la sede degli uomini e degli angeli fino al giorno del giudizio. Dopo tale giorno le schiere angeliche e le anime dei beati si sarebbero spostate nel vano superiore, dove avrebbero dimorato per l’eternità insieme a Dio.
Cosma dà anche spiegazioni particolari per tutti quei fenomeni per i quali la scienza greca aveva elaborato modelli fisici e matematici. Il Sole, la Luna, i pianeti e tutte le stelle fisse sono trasportati al di sopra della Terra e sotto il firmamento dagli angeli. Le terre emerse formano invece una sorta di enorme montagna, le cui pendici abitate declinano verso sud-est. Questa inclinazione è dimostrata dallo scorrere più impetuoso di alcuni fiumi, quali il Tigri e l’Eufrate, dal procedere più rapido delle navi in rotta verso Levante e dal percorso obliquo del Sole fra l’alba e il tramonto. L’angelo preposto alla conduzione del Sole si muove sempre orizzontalmente rispetto alla base dell’universo; il suo volo è tuttavia percepito come obliquo perché l’umanità abita una superficie inclinata. L’enorme montagna serve anche a spiegare il succedersi del giorno e della notte. Quest’ultima cala quando l’angelo preposto al Sole si spinge nelle regioni più settentrionali e scompare dietro l’enorme montagna.
Anche il succedersi delle stagioni e il corrispondente variare della durata dei giorni (più lunghi in estate e più corti in inverno) sono spiegati in modo analogo: il medesimo angelo si mantiene a una quota più bassa nella stagione fredda e a una quota più alta in quella calda. In questo modo rimane nascosto più a lungo dietro la base l’enorme montagna durante le notti invernali che non dietro la sua vetta durante le notti estive.
Questa concezione del mondo è avvalorata dalla grande esperienza materiale che Cosma acquisisce durante i propri viaggi. Essa esaudisce le richieste di fedeltà al dettato delle Sacre Scritture avanzate dai Padri della Chiesa ed è perciò accolta senza particolari riserve da numerosi autori del VII secolo con interessi in campo sia cosmologico che geografico. Soprattutto in quella che una volta era stata la regione centrale dell’Impero romano, l’Italia, l’idea del cosmo a forma di tabernacolo vanta seguaci fino al IX secolo.