CIFRA (fr. chiffre; sp. cifra; ted. Ziffer; ingl. figure)
Segno o simbolo scritto, che rappresenta lo zero o una delle nove unità nel sistema di notazione numerica decimale; il vocabolo si applica anche al numero rappresentato da una o più cifre. Spesso quei segni, in base alla loro origine, sono chiamati cifre arabiche, in contrapposto ai numeri romani; invece applicare a questi ultimi il nome di cifre è cosa del tutto impropria e contraria all'etimologia e al secolare uso storico del vocabolo.
Sull'origine e l'introduzione delle nostre cifre in Europa moltissimo si è discusso e si discute; qui ci limitiamo a indicare i risultati certi o probabili delle più recenti indagini.
Per rendersi conto di alcuni problemi, come pure del vizio intrinseco di alcune ipotesi, occorre tener presenti i fatti seguenti: a) che l'uso delle cifre con valore di posizione può essere indipendente dalla loro combinazione con l'uso dello zero; ciò, naturalmente, in notazioni elementari, come sarebbe l'indicazione dei prezzi delle merci, ecc.; b) che, come gli Arabi orientali, cioè d'Asia e d'Egitto, ebbero e hanno un tipo di scrittura diverso alquanto da quello maghrebino degli Arabi occidentali, ossia dell'Africa settentrionale e della Spagna (v. arabi: Scrittura, III, p. 870), così i primi hanno un tipo di cifre diverso da quello dei secondi; le cifre di tipo occidentale, dette ḥurūf al-ghubār "lettere della polvere (sparsa sulla tavoletta da calcolo)", sono l'origine delle forme europee; c) che la Geometria attribuita a Boezio (morto nel 524 o 525 d. C.) ora è ritenuta opera del sec. XI (P. Tannery, J. L. Heiberg, N. Bubnov); è evidente interpolazione il passo aritmetico contenente i segni dei nove apices (cifre), senza lo zero, che sono di tipo ghubār e vengono dati come invenzione dei Pitagorici; d) che i rapporti diretti di Gerberto (poi papa Silvestro II, 999-1003) con dotti arabi sono una tarda tradizione senza fondamento (già Chasles nel 1843).
In India veri segni numerali cominciano ad apparire nel sec. III a. C. (iscrizione del re buddhista Aśoka, v.), ma non per le sole unità. e quindi senza valore di posizione e senza zero. Il modo decimale di esprimere a parole i grandi numeri nella lingua sanscrita e l'uso di numeri enormi per i calcoli astronomici indiani (basati su cicli di molti milioni di anni) produssero o almeno favorirono il sorgere del sistema di rappresentare i numeri mediante le sole cifre delle nove unità, combinate con il valore di posizione decimale progressiva e con lo zero, la cui invenzione è il fatto scientificamente più importante; ciò avvenne intorno al 500 d. C., e solo a poco a poco il sistema entrò in uso. Fuori dell'India la fama di questo mirabile metodo di scritturazione dei numeri e di calcolo sembra raccolta nel 662 in Mesopotamia in un opuscolo in siriaco del monaco Severo Sēbōkt, che vi accenna a gran lode degl'Indiani contrapposti ai Greci vanitosi di lor glorie; ma non si può dedurne con certezzu che le cifre, almeno a scopo di calcolo, fossero allora già usate fuori dell'India. Certo è che gli Arabi, invadendo e conquistando verso la metà del sec. VII la Mesopotamia, la Siria, la Palestina e l'Egitto non vi trovarono sistemi di contabilità basati sulle cifre e sul sistema decimale, e che essi non vennero a conoscenza delle cifre e dei metodi indiani se non dopo che un'ambasciata venuta dall'India Baghdād nel 158 èg. (772-773 d. C.) ebbe portato seco libri astronomici sanscriti, subito tradotti in arabo. Così furono introdotti presso gli Arabi i segni numerali col sistema decimale, chiamati da essi appunto "cifre indiane" (ḥurūf hindiyyah, arqām al-hind) e usati andando da sinistra a destra come in sanscrito, malgrado che la scrittura araba proceda da destra a sinistra. Il primo trattato arabo di "calcolo indiano" (ḥesāb hindī) fu composto nella prima metà del sec. IX da al-Khuwārizmī (v.) a Baghdād; tradotto in latino verso il 1130 dall'inglese Adelardo di Bath in Spagna, insegnò questo nuovo sistema di calcolo agli Europei, che lo chiamarono algorismus o algoritmus dal nome dell'autore.
Oscuro è il modo con cui nacquero le forme arabe occidentali dette ghubār (v. sopra), le quali potrebbero essere derivate da forme indiane parallelamente, benché forse più tardi, alle forme arabe ultime. Ad ogni modo le forme ghubār si irradiarono dalla Spagna musulmana nell'Europa cristiana: dapprima come curiosità o per piccoli usi pratici indipendenti dal calcolo e senza lo zero (come in una postilla latina del 976 d'un monaco spagnolo ad opera non matematica, che è il più antico esempio conosciuto), e solo dopo la citata versione di Adelardo di Bath (Algoritmi de numero Indorum) combinate con l'uso dello zero e con il nuovo metodo di calcolo detto algoritmico. Il Liber abaci composto nel 1202 da Leonardo Fibonacci pisano, e più ancora i libri meno scientifici e più popolari di scrittori della metà del sec. XIII finirono col far prevalere le cifre arabiche sui numeri romani.
Lo zero in sanscrito si chiama śūnya "vuoto" (sost.) e gli Arabi lo tradussero con il corrispondente vocabolo ṣifr. Adelardo di Bath chiamò lo zero circulus dalla sua forma nel tipo ghubār (e talvolta anche araba orientale); chiamò invece figurae o litterae, in conformità ai termini arabi ḥurūf e ashkāl, le nuove cifre significative; lo stesso fece, pochi anni dopo, il traduttore ebreo-latino Giovanni di Siviglia. Altri mantenne per lo zero la voce araba più o meno storpiata (ad essa va ricondotto anche il sipos di Rodolfo di Laon, circa 1120); Leonardo Pisano la latinizzò in zephirum, donde le forme italiane medievali zefiro, zeuero, zepiro, dalle quali sorse il moderno zero (il primo esempio noto è del 1491). Altri latinizzò il vocabolo in cifrum o cifra, così come intorno al 1330 il monaco bizantino Massimo Planude, trattando del "calcolo indiano", usa τζ ίϕρα. La grandissima importanza che ha lo zero nel sistema di numerazione decimale fece sì che nel sec. XV in Europa si cominciasse a estendere il suo nome (cifra) anche alle nove cifre significative; sicché a lungo accade di trovar usato in Italia, Francia, Germania il vocabolo cifra nel senso di zero e in quello moderno; ancora nel 1740 l'aritmetica di Guido Grandi oppone cifra (ossia zero) ad unità. Con la metà del sec. XVIII il vocabolo cifra assume il senso odierno, eccetto che in inglese, ove cipher continua a significare zero. Il francese chiffre, con ch iniziale anziché con s (come nelle forme francesi medievali cifre, sifre, ecc.), sembra dovuto all'influenza italiana in Francia nel Rinascimento. L'etimologia dal greco ψηϕοϕορία "calcolo", è insostenibile.
Bibl.: F. Woepcke, Mémoire sur la propagation des chiffres indiens, in Journal asiatique, s. 6ª, I (1863), pp. 27-79, 234-290, 442-529 (lavoro sempre pregevolissimo, benché la tesi storica in alcune parti non regga, essendo fondata sulla credenza nell'autenticità del noto passo di Boezio); D. E. Smith e L. C. Karpinski, The Hindu-Arabic Numerals, Boston e Londra 1911 (buon lavoro; gli autori non conoscevano ancora il passo di Severo Sēbōkt, scoperto nel 1910); J. Ruska, Zur ältesten arabischen Algebra und Rechenkunst, Heidelberg 1917, pp. 37-47, 82-92. Per le trasformazioni subite dalle forme delle cifre in Europa dal 976 a tutto il sec. XVI (forme molto variabili e capricciose prima dell'introduzione della stampa), v. G. F. Hill, The Development of Arabic Numerals in Europe exhibited in sixty-four Tables, Oxford 1915. Insostenibile è la tesi svolta dal Carra de Vaux nel 1917 (in Scientia di Bologna, XXI, pp. 273-82) e nel 1921 (Penseurs de l'Islam, II, pp. 102-10), che le cifre provengano da antiche scuole neoplatoniche o neopitagoriche della Persia, donde sarebbero state trasmesse prima all'India e poi agli Arabi. G. Horn D'Arturo, Numeri arabici e simboli celesti, in Pubblicazioni dell'Osservatorio astronomico della R. Università di Bologna, I (1925), pp. 187-204, ha tentato di sostenere che le forme delle cifre europee siano una riduzione dei simboli usati dagli astronomi per indicare i corpi celesti del sistema solare, i nodi lunari e le congiunzioni ed opposizioni della luna rispetto al sole; riduzione che sarebbe stata destinata a sostituire le forme arabe delle cifre dopo la famosa congiunzione planetaria generale del 1186.