CILENTO (A. T., 27-28-29)
Il nome è attribuito al paese montuoso che si erge a SE. del Golfo di Salerno e della pianura del Sele, compreso una volta nei confini della Lucania e costituente oggi la sezione più meridionale della Campania (provincia di Salerno). In senso stretto, per Cilento viene inteso solo il nucleo (detto del Monte della Stella) che chiude a sud il Golfo di Salerno e che sorge tra il Mar Tirreno e il fiume Alento; ma, nel senso più lato, abbraccia tutto l'impervio territorio che scende sul Sele, sul Tanagro, sul Vallo di Diano, sul Busento e sul Mar Tirreno.
Con quest'ultimo significato, il Cilento costituisce una vasta zona montagnosa dell'Appennino Meridionale, dalla base generalmente calcarea dei soliti terreni mesozoici, i quali però, meno che nella parte di N. e di E. complessivamente più alta, sono in quasi tutto il resto ammantati da masse argillose dell'Eocene. Da tale differente natura dei terreni superficiali deriva la principale differenza morfologica fra il Cilento di NE. (M. Alburno) e di E. (M. Cervati, 1899 m.; M. Bulgheria, 1225 m.) da un lato e il Cilento del centro (M. Sacro, 1705 m.) e di SO. (M. della Stella, 1131 m.) dall'altro lato: il primo è caratterizzato dalla morfologia carsica, e perciò dalla mancanza di acque superficiali, dai corsi sotterranei (il Busento si perde in una grotta presso Caselle in Pittari, e dalla grotta della Pertosa esce una parte delle acque circolanti nell'Alburno), e dalle forme prevalentemente piatte (il M. Alburno è un tipico altipiano calcareo, rialzato verso la valle del Tanagro, su cui precipita con ripidissime fiancate: M. Tirone, 1740 m.; e Punta Palermo, 1742 m.); il secondo si presenta attivamente elaborato dall'erosione normale e ha grande accidentalità di rilievo e orografia complicata e frazionata. Il paese è, perciò, dappertutto scarsamente accessibile, meno che forse dalla parte del mare, e al mare ritorna la popolazione dell'interno, che vi ricostituisce i centri abitati, moltiplicandovi le cosiddette marine. Tutti i centri abitati del Cilento hanno scarsissima popolazione (il più grande, Vallo della Lucania, non ha che 2765 ab.; 5298 ne abbraccia l'intero comune), e nella loro distribuzione risentono l'influenza del rilievo e dell'idrografia; fasciano, cioè, all'intorno i nuclei calcarei, o si succedono lungo le vallate fluviali. La scarsa densità della popolazione nel Cilento (70 ab. per kmq.), la più bassa di tutta la Campania, dipende dalla natura montuosa e dall'emigrazione.
Il paese è dato prevalentemente all'agricoltura e alla pastorizia: il ricco mantello di boschi, che vi costituiva fino a pochi decennî fa una delle più simpatiche attrattive del paesaggio, è stato in gran parte distrutto. L'area del pascolo, oltre alle zone disboscate in forte pendenza, abbraccia molte delle contrade più elevate anche pianeggianti, come accade per l'alto Alburno, che è la sede di pastorizia transumante proveniente dalla piana del Sele.
Il dissodamento dei boschi ha per altro diffuso, insieme col pascolo magro, il magro seminativo (grano, granoturco, orzo, segale, patata) nella montagna e nell'alta collina; ha esteso il seminativo alberato con fichi e con ulivi o il vigneto sulle falde delle montagne e sulle basse colline. Le colture hanno avuto larga diffusione nelle vallate e nelle zone pianeggianti; dove è utilizzabile l'acqua, si sono affermate le colture irrigue: sono, infatti, largamente rappresentati sul litorale gli agrumeti; e si avvicendano, nei dintorni di Vallo della Lucania, seminativi alberati irrigui, cereali e foraggi; e appare qualche foraggera pure nella zona orientale, là dove sgorgano sorgive dalle masse calcaree.
Il Cilento è oggi attraversato da varie rotabili (in generale dirette per lo più da NO. verso SE.), servite da linee automobilistiche; nella parte occidentale, lungo la valle dell'Alento e sul litorale, passa l'importantissima via di comunicazione ferroviaria che, costeggiando il Tirreno, unisce Napoli con la Calabria e la Sicilia. Per effetto di questi legami, il Cilento viene perdendo la fisionomia che, per le sue condizioni naturali, ha conservato finora, e comincia a trovare alla sua produzione agraria specializzata quegli sbocchi che varranno a intensificarla ancora di più nell'avvenire.
Bibl.: C. De Giorgi, Appunti geologici ed idrografici sulla provincia di Salerno, Roma 1882-1883; id., Da Salerno al Cilento, Firenze 1883; A. R. Passaro, Il circ. di Vallo della Lucania, in Atti della Giunta per l'inchiesta agr., Roma 1883; N. Parisio, M. Alburno, Napoli 1893; G. Di Stefano, Nuove osservazioni sulla geol. di M. Bulgheria in prov. di Salerno, in Boll. d. soc. geol. it., 1894; O. Raithel, Le tre vette dell'Alburno, Napoli 1898; A. Rühe, Studien in den KLalkmassiven des Appenin. Der M. Alburno, in Zeit. d. Gesell. für Erdk. zu Berlin, 1910; R. Biasutti, Tracce glaciali sul M. Cervati (App. lucano), Napoli 1916.
Storia. - Il nome Cilento appare, nel senso più ristretto, per la prima volta in un documento del 994. Di queste terre, già ricche di prodotti e di città, come Velia e Pesto, i Longobardi di Benevento avevano fatto il gastaldato di Lucania, che, in seguito allo smembramento di quel ducato, fece parte del principato di Salerno. I Saraceni ridussero il Cilento nelle tristi condizioni in cui lo troviamo descritto nel sec. X. Piantatisi, dopo tante scorrerie, ad Agropoli, essi distrussero Velia e Pesto, e, per lungo tempo, costituirono la più terribile minaccia delle popolazioni meridionali. Tuttavia, lentamente risorsero, sui monti o nelle vallate, corti, casali e ville, presidiati da torri e da castelli; e furono essi i nuclei da cui si svilupparono quasi tutti gli odierni centri urbani del Cilento. Il merito di quest'opera di risorgimento spetta in gran parte ai monaci benedettini dell'abbazia di Cava (v.).
Accanto alla Badia, troviamo più tardi parecchi nobili cavalieri normanni, che sostituiscono gli antichi signori feudali, ecclesiastici o secolari: tra essi, emersero Troizo o Torgisio di Rota, che in seguito si disse di San Severino, dal nome di uno dei borghi del contado di Rota, e Guglielmo detto del Principato, fratello di Roberto Guiscardo, che senza scrupoli s'industriava a formarsi una signoria fra la valle del Tanagro e il golfo di Policastro. Ma, arrestatasi al terzo erede la discendenza di Guglielmo il Principato, Torgisio di San Severino, figlio di Troiso di Rota, restò l'unico potente signore del Cilento, ed estendendo i suoi acquisti, formò la Baronia del Cilento, col suo centro nel Castello di Rocca. Da allora, la storia del Cilento s'identifica con quella, assai tragica, dei Sanseverino (v.).
Dai Sanseverino la regione fu governata con grande moderazione. Essa rimase estranea alle traversie del Regno, e visse una vita quasi patriarcale. Le popolazioni della vasta baronia, raccolte in un'unica università, ottennero dai loro signori anche degli statuti; uomini saggi e prudenti vennero a rappresentare i signori, quando essi si trasferirono, col titolo di principi, a Salerno e poi a Napoli. Tristissime invece divennero le condizioni del Cilento, quando la baronia, confiscata per sempre ai Sanseverino, fu suddivisa in tanti piccoli feudi, e questi, venduti all'asta, caddero in potere di cortigiani spagnoli e di curiali arricchiti, che da Napoli li sfruttarono a mezzo di avidi amministratori e li barattarono a vil prezzo, quando si trovarono sopraffatti dai debiti. Con un governo instabile e inumano, i popoli vissero miseri e oppressi, fra prepotenze ed aspre vendette private. Le campagne isterilivano, infestate, più che dalla malaria, da bande di ribaldi: il paese restò del tutto chiuso a ogni benefico influsso di civiltà.
Le sorti del Cilento accennarono a migliorare con Giuseppe Bonaparte e Gioacchino Murat. E nonostante che la restaurazione volesse cancellare ogni traccia del passato regime, la Carboneria non mancò di trovarvi proseliti, specialmente nel distretto di Vallo. Nel 1820, anche il Cilento si agitò. Ma due furono le rivoluzioni, per cui il Cilento s'inserì tra le regioni più benemerite del patrio risorgimento: del 1828, l'una; del 1848, l'altra. Entrambe miravano a conseguire istituzioni rappresentative. Nel 1828, la rivoluzione, preparata dalla società dei Filadelfi, fu opera d'un manipolo di audaci, intellettuali e possidenti, ed ebbe un capo nel canonico A. M. de Luca. Si sperò di rinnovare con miglior successo le gesta del 1820: correre dal Cilento sulla capitale e imporre la costituzione al sovrano. Ma, scoperti i piani, la sollevazione fu spenta sul nascere, quando nelle borgate, in mezzo al delirio del popolo, s'incominciava ad inalberare il vessillo costituzionale. Meglio preparata parve, invece, la rivoluzione che esplose nel gennaio del'48 e fu diretta da Constabile Carducci. Fu proprio questa rivoluzione che strappò a Ferdinando II la costituzione; e in sua difesa essa tornò a divampare nel luglio dello stesso anno. Il moto però fallì, per tutto quel complesso di cause che fecero naufragare gli altri tentativi rivoluzionarî del'48 nel Mezzogiorno. Le plebi contadinesche non secondavano gli sforzi dei liberali e patriotti. E questo si vide anche quando Carlo Pisacane sbarcò a Sapri con la sua schiera di audaci. Tuttavia i martirî e le galere non spensero mai del tutto, nel Cilento, le idee che condussero l'Italia all'unità e all'indipendenza.
Bibl.: M. Schipa, Storia del principato Longobardo di Salerno, Napoli 1887; G. Volpe, Notizie storiche delle antiche città e dei principali luoghi del Cilento, Roma 1898; P. Del Giudice, Gli Statuti inediti del Cilento, Napoli 1901; M. Mazziotti, La baronia del Cilento, Roma 1904; id., La rivolta del Cilento del 1828, Roma 1906; id., Constabile Carducci ed i moti del Cilento del 1848, voll. 2, Roma 1909; id., Appunti storici sul decennio dell'occupazione francese in provincia di Salerno, in Arch. stor. d. prov. di Salerno, III (1923); P.E. Bilotti, La spedizione di Sapri, Salerno 1908; C. Carucci, La provincia di Salerno dai tempi più remoti al tramonto della fortuna normanna, Salerno 1923; G. Guillaume, Essai historique sur l'Abbaie de Cave, Cava dei Tirreni 1877.