Vedi CILICIA dell'anno: 1959 - 1994
CILICIA
Provincia romana dell'Asia Minore.
La C. fu, tra le province romane, quella i cui confini furono in ogni tempo più mutevoli, e restano oggi di incerta determinazione: sappiamo per esempio, con certezza, che in alcuni periodi la provincia comprese la Pamphyha, in altri la Lycaonia, ma i termini sono del tutto controversi; così come è improbo rifare la storia dei numerosi regni vassalli, posti ai confini o anche entro la provincia, e i cui rapporti col legato imperiale e col governo romano si fondavano su trattati mutevoli e su consuetudini oggi ignorate. Possiamo tenere per certo che la base politica e culturale della C. prima del dominio romano fu il periodo seleucidico, almeno dopo la battaglia di Magnesia, quando l'impero dei Seleucidi, perduto ogni influsso diretto sulle regioni centrali dell'Anatolia e sui territori passati a formare il regno di Pergamo e la repubblica rodia, guadagnò sui Tolomei la C. Trachea, ossia la parte occidentale della regione, a ponente di Tarso, di modo che i Seleucidi vennero a possedere tutte le città del mare di Levante, gli approdi del mare Syriacum, del sinus Issicus e dell'aulon Cilicius. Poco meno di mezzo secolo più tardi le rive sinuose e sicure di questi specchi marini divennero il rifugio di un regolo corsaro: Diodoto Trifone. Dalla fine del III sec. a. C. prende rilievo nella politica romana il problema della provincia piratica per eccellenza, la C., cui fu preposto per primo Marco Antonio nel 103 a. C., e infine, mezzo secolo più tardi, Pompeo, che ne soggiogò definitivamente le città costiere, nel corso della guerra piratica; tra i governatori successivi, incaricati di debellare le tribù montane, fu anche Cicerone.
La provincia dura, nei confini tradizionali, compresa la parte orientale, la Pediàs, che Pompeo si era fatto cedere dal re dell'Armenia, Tigrane, fino all'età di Marco Antonio, quando la C. fu ceduta ai Tolomei. Con Augusto, la parte orientale, la Pedias, fu verisimilmente attribuita alla Siria, salvo un breve periodo in cui costituì assieme a Cipro una provincia autonoma. Dall'età giulio-claudia deriva pertanto la tradizione, continuata anche nel periodo successivo, della piena autonomia della provincia, secondo cui i Cilici si adunano in un unico koinòn con i Siri ad Antiochia di Siria. Augusto, e così parzialmente Tiberio, lasciarono sussistere numerosi reami semindipendenti: tra essi il primo a scomparire, con Tiberio, fu lo stato del massiccio dell'Amanus (Nur-Daghlari), a levante di Isso, eppoi, in parte con Claudio e definitivamente con Vespasiano, la cosiddetta Cilicia aspera, parte della Trachea, concessa dapprima da M. Antonio a Amyntas di Galazia, poi ad Archelao di Cappadocia, e infine, da Caligola, ad Antioco IV di Commagene. La capitale di questo regno fu Elaeusa, alla foce del Lamus, detta dai dinasti Sebaste in onore di Augusto. Nella parte restante della C. Trachea domina la dinastia teocratica che aveva la capitale ad Olba, poche miglia a ponente di Sebaste: questo regno dura più a lungo nella compagine amministrativa romana, ma già all'età di Claudio, un suo re, Polemone, diventa cittadino romano. Dal tempo di Nerone abbiamo testimonianza del legatus Augusti pro praetore, inviato a governare la provincia di C., che ci fa supporre che da quel momento la C. sia stata staccata dalla Siria. Vespasiano sottomette pressoché integralmente la parte occidentale e porta la provincia ai confini classici, nell'anno 74.
Da quel periodo la C. comprende così i territorî tra la catena del Tauro e il mare a levante di Coracesium, la vecchia roccaforte piratica, e per intero i bacini del Calycadnus (Göksu Nehri) e del Lamus (Lamas), nonché le piane deltizie del Cydnus (Tarsus Irmak), del Sarus (Seyhan Nehri) e del Pyramus (Ceyhan Nehri), sino al gruppo dell'Amanus.
La capitale era a Tarso, sul Cydnus a poche miglia dalla foce: ivi si riunì a partire dal II sec. il koinòn dei Cilici. Tra gli approdi più notevoli si annoverano Issus, al fondo del golfo omonimo, Margarus, alle foci del Pyramus, Soli, detta già Pompeiopolis, Nagidus, dirimpetto a Cipro, e verso la frontiera occidentale Selinus, ove morì Traiano, e da allora chiamata Traianopolis. Nomi onorarî, come Germanicopolis, Claudiopolis, Flaviopolis, vennero dati da dinasti indigeni ai centri dell'interno; in età romana venne pure l'uso di mutare il nome alle numerose Antiochiae (tra cui Tarso), fondate dai Seleucidi. Nella sostanza però il sistema urbano restò quello dei Seleucidi, ed altrettanto può dirsi per quello viario: le poche arterie di grande comunicazione con l'interno - una da Nagydus ad Ancyra attraverso la Lycaonia e la Galatia, un'altra, ben più importante, da Tarso per le Pilae Ciliciae (passo di Durak) verso Caesarea in Cappadocia e verso Ancyra, ed altre da Isso, il maggiore nodo stradale della provincia, verso la Cappadocia e la Commagene - sono certamente di fondazione ellenistica. Una via costiera riuniva i centri principali, e raggiungeva a levante Seleucia Piena, a ponente Attalea.
Con la riforma tetrarchica parte della C. Trachea andò a formare la nuova provincia di Isauria, che ebbe come capitale Seleucia alla foce del Calycadnus, e fu retta da un praeses; con Arcadio la restante C. fu divisa in prima, con capitale a Tarso, governata da un consolare, e in secunda, con capitale a Anazarbus, a monte del medio corso del Pyramus, che fu retta da un praeses. Il forte proselitismo cristiano conferì alla provincia un aspetto politico e culturale particolare.
Bibl.: R. Preuss, De C. Romanorum provincia, Königsberg 1859, ancora utile repertorio di fonti e di osservazioin; poi i resoconti di viaggi, scoperte e scavi; utili infine A. H. M. Jones, The Cities of the Eastern Roman Provinces, Oxford 1937, pp. 192-215; G. Barbieri, L'amministrazione delle provincie Ponto-Bitinia e Licia-Panfilia nel sec. II d. C., in Riv. di Filol. e d'Istr. Class., n. s., XVI, 1938, pp. 365-370; R. Syme, Observations on the Province of Cilicia, in Anatolian Studies, Presented to William Hepburn Buckler, Manchester 1939, pp. 299-332; D. Magie, Roman Rule in Asia Minor, Princeton N. J. 1950, passim.
(G. C. Susini)
Iconografia. - La personificazione della C. appare sulle monete adrianee sotto vari aspetti, ma più di frequente come una figura femminile coperta con un lungo chitone che porta un elmo a tre creste e con la mano destra regge un vessillo. In un esemplare la C. non ha elmo e non porta il vessillo. Una figurazione musiva in cui appare C. seduta e con lo stesso abbigliamento sopra descritto è stata scoperta nella cosiddetta "Casa di C." ad Antiochia.
Bibl.: Mattingly-Sydenham, The Roman Imperial Coinage, II, Londra 1926, p. 453, n. 883; esemplare unico: J. M. C. Toynbee, The Hadrianic School, Cambridge 1934, p. 69; mosaico: D. Levi, Antioch Mosaic Pavements, Princeton 1947, p. 57, tav. IX D.
(L. Rocchetti)