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CIMA, Giovanni Battista, detto Cima da Conegliano

di Luigi Menegazzi - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 25 (1981)
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CIMA, Giovanni Battista, detto Cima da Conegliano

Luigi Menegazzi

Forse figlio di Pietro, "cimatore" di panni, nacque a Conegliano nel 1459 o '60: nel 1473 risulta tra le persone tenute a pagare le tasse, cosa che, secondo le leggi venete, avveniva al quattordicesimo anno di età. Mancano dati relativi alla sua giovinezza e alla sua formazione artistica: la prima notizia è la scritta sulla pala per la chiesa di S. Bartolomeo di Vicenza, datata. 1489 . Intorno al 1492, ma probabilmente qualche anno prima, si stabilì a Venezia, in contrada San Luca nella cui chiesa teneva le sue riunioni la fraglia dei pittori. Ebbe due figli, Pietro e Riccardo, dalla prima moglie Corona, e tre figlie dalla seconda, Maria.

Riccardo divenne frate col nome di fra' Nicolò e in una causa di famiglia è indicato "persona industriosa" che "desegnava" e "depenzeva" a Conegliano; ma non fu pittore di professione: a lui era attribuita una Madonna con Bambino del Museo Correr di Venezia, ora assegnata a Pietro da Messina (G. Mariacher, Il Museo Correr..., Dipinti dal XIV al XVI secolo, Venezia 1957, pp. 129 s.). Il Federici (1801 p. 222), confuso e impreciso annotatore di monumenti e opere d'arte della provincia di Treviso, parla di un figlio del C. "pittore per nome Carlo", ma è indicazione errata come ha rilevato il Botteon (1891 pp. 75 ss.).

Pur ricevendo commissioni da varie parti, non risulta che il C. si sia a lungo assentato da Venezia. Nell'agosto 1516 è a Conegliano per il pagamento della pala eseguita per il monastero delle benedettine di S. Maria Mater Domini, e, forse a Conegliano, muore il 3 sett. 1517 0 1518.

Il suo nome compare raramente, e quasi sempre di sfuggita, nelle fonti antiche fino alla fine del sec. XVIII. Tradizionalmente è ricordato solo come allievo e buon imitatore di Giovanni Bellini", spesso confuso con altri pittori; il primo studio sul C. è del Cavalcaselle (1871); successivamente il Botteon (1893) pubblicò diversi documenti tentando di redigere un catalogo, troppo ampio, dei suoi dipintiy e il Burckhardt (1905)stese una diligentissima monografia. Negli anni seguenti la critica si interessò di lui: gli furono dedicati numerosi articoli e la monografia del Coletti (1959) che ha chiuso un ciclo di ricerche. La mostra del 1962a Treviso è stata occasione importante per un riesame critico dell'opera del C., per un'analisi approfondita dei suoi contatti e rapporti con la cultura pittorica veneziana e veneta, per una più puntuale definizione della sua individualità, attraverso l'esame comparativo dei dipinti più significativi, in certi casi per la prima volta chiaramente leggibili a seguito delle puliture e dei restauri allora effettuati.

Non è risolto il problema della, formazione che il Burckhardt (1905) pensa avvenuta a Vicenza, i Venturi (1907, 1915) a Conegliano, il Coletti (1959) nella terraferma trevigiana (Gerolamo da Treviso il Vecchio) come il Gronau (Dario da Treviso), mentre per il Berenson (1919) e per il Pallucchini (1962) si deveguardare invece ad Alvise Vivarini. Forse, dopo aver appreso il mestiere a Conegliano, il C. andò giovanissimo a Venezia dove, forte della sua "rusticità" (Longhi, 1946), a contatto con Bartolomeo Montagna (Madonna in trono con Bambino tra s. Giacomo Apostolo e s. Girolamo del Museo civico di Vicenza), Giovanni Bellini (pala del duomo di Conegliano) e Alvise Vivarini (polittico della parrocchiale di Olera-Bergamo), rivelò una personalità, modesta ma ben definita, che gli permise poi di superare senza crisi il turbamento provocato nella pittura veneziana dalla lezione giorgionesca. È preoccupato dalla ricerca di soluzioni volumetriche e cromatiche quando Madonne e santi sono ambientati sotto severe architetture (pala del duomo di Conegliano), ma quando esce all'aperto la sua pittura è poesia e musica insieme; il colore si riscalda nella limpida luce, il disegno si ammorbidisce e i personaggi vivono al limite tra la realtà e il sogno in paesaggi che sono nostalgiche rievocazioni o interpretazioni fantastiche della terra natale: come nella Madonna col Bambino e il ritrattodel committente del Museo di Berlino-Dahlem, dipinto stranamente poco considerato dagli studiosi - con l'eccezione del Van Marle (1935) che lo giudica "il migliore del Cima della prima maniera" - ma di notevole significato perché qui per la prima volta l'elemento paesistico è inserito in modo naturale e organico nel contesto della composizione, o nel Battesimo di Gesù (1494) della chiesa di S. Giovanni in Bragora di Venezia nel quale L. Venturi (1907) osserva l'originalità di soluzioni personali. In questodipinto del C., infatti, si avvertono una commozione sottile e profonda, un'armonia di rapporti e un equilibrio di valori tra la figura umana e l'ambiente naturale che ritornano nella Madonna dell'arancio delle Gallerie dell'Accademia di Venezia, dove i personaggi acquistano una trasparenza d'espressione mediata dall'immensa pace della natura e dall'intensa diffusa lu;minosità che prelude al senso di solennità biblica, di suggestione musicale smorzata da lontananze profonde (Riposonella fuga in Egitto della Fondazione Gulbenkian di Lisbona) e alla successiva semplificazione compositiva delle realizzazioni più riuscite e colloca in una dimensione extratemporale personaggi e paesaggio e le rovine di un tempio le cui architetture non sono un "ricordo" archeologico ma solo un originale motivo decorativo (Madonna col Bambino fra s. Michele Arcangelo e s. Andrea della Galleria nazionale di Parma).

Molto si è discusso della influenza di Carpaccio sul C. (T. Pignatti, in Omaggio a G.B. C. ..., 1962, pp. 9-11), ma forse il problema è più semplice di quanto non si creda perché riducibile ad assonanze che portano ad accostare i nomi dei due pittori: il C. ha in comune con Carpaccio la curiosità con la quale osserva i particolari, talvolta anche botanici e zoologici, della natura, che rimarrà una delle caratteristiche di tutta la sua produzione, ma non certo il linguaggio né la resa dell'atmosfera; il C. sì limita a una interpretazione personale del gusto e della dimensione narrativa di Carpaccio in opere quali la Presentazione di Maria al tempio della Gemäldegalerie di Dresda, il Miracolo di s. Marco del Museo di Berlino-Dahlem e L'ambasceria al Sultano (coll. priv. di Zurigo) che propongono liberi giochi di fantasia nell'incanto tutto cimesco del racconto di favola domestica, nel rigore di una misurata spazialità, nello splendore di nitide, preziose, spesso precise, architetture lombardesche. E non si deve dimenticare che nel primo decennio del Cinquecento proprio Carpaccio, stanco e disorientato dalle proposte di Giorgione, Tiziano e dellostesso Bellini, cercherà un aiuto nella pittura del Cima. È anche possibile che il C. abbia avuto occasione di incontrarsi col Lotto, che nel 1507 aveva consegnato la pala della parrocchiale di S. Cristina di Treviso, e di vedere la Sacra Conversazione e santi (1508) del municipio di Recanati, la cui struttura architettonica è ripresa nel polittico della parrocchiale di S. Fior di Treviso dove intorno al bellissimo Giovanni Battista dal manto rosa emergono da un inusitato fondo nero, proprio del Lotto, figure di santi il cui esame porta il Coletti "ad essere tentato di parlare addirittura di collaborazione".

Difficili da definire sono i rapporti col Dúrer che nel 1506 aveva eseguito in Venezia il Cristo fra i dottori, ora nella collezione Thyssen di Lugano, poiché questo dipinto e quello di ugual soggetto eseguito dal C. (Museo nazionale di Varsavia) potrebbero essere derivati per la struttura compositiva da un qualche esempio precedente.

All'inizio del secolo il C. è nella piena maturità artistica e la felicità di questo momento, che si protrarrà per alcuni anni, è dimostrata dal fatto che nelle sue opere non si avvertono le inquietudini che travagliano la pittura veneziana dell'epoca, né si possono cogliere riferimenti alle vicende della sua vita.

A questo punto si pone il problema dei, rapporti con Giorgione che in genere la critica ha risolto semplicisticamente trasferendo il C. dalla sfera d'influenza del Bellini a quella del pittore di Castelfranco, e che il Coletti ha affrontato e risolto suggerendo un capovolgimento dei rapporti Giorgione-Cima. Sembra però che tutta la questione potrebbe essere ricondotta nei termini di un atteggiamento di simpatia e di interesse di Giorgione nei confronti di un artista proveniente come lui dall'entroterra veneto, con tutto ciò che questo comporta in fatto di esperienze culturali oltre che pittoriche, ma dal quale lo distingue una differenza di sensibilità che può essere avvertita, per esempio, analizzando alcuni dipinti a Parma (Galleria naz.), Berlino-Dahlem, Milano (Brera) e in particolare la Natività della chiesa del Carmine di Venezia, databile al 1509; questa è l'opera che certamente più si avvicina al mondo di Giorgione, ma l'accostamento è solo formale perché l'atmosfera è quella semplice e cordiale di Cima, sereno il racconto "di una toccante festa familiare" (Coletti).

Fedele per tutta la vita al tema della Madonna col Bambino, ripetuto con poca fantasia ma con inesausto amore, presenta sorridenti figure sempre commentate da un angolo di verde delle colline di Conegliano: Detroit (Museum of the Detroit Inst. of Arts), Berlino-Dahlem (Staatl. museem), Parigi (Petit-Palais e Musée Jacquemart-Andrè), Bologna (Pinac. naz.), Este (chiesa di S. Maria della Consolazione), Raleigh (State Art Society), Londra (National Gallery), la cui successione cronologica può essere indicata in base alla progressiva accentuazione cromatica, alla maggiore coscienza volumetrica, a un'esecuzione più morbida.

Talvolta sorprende con finezze formali che il Coletti definisce di gusto ellenistico, con ripensamenti belliniani e antonelleschi, con abili giochi di riflessi e di ombre trasparenti, con improvvisi approfondimenti psicologici (pala Montini, Galleria nazionale di Parma), ma il suo iter pittorico si snoda limpido e coerente, con variazioni minime tra le prime e le ultime opere, realizzate con linguaggio tutto quattrocentesco., 1 preciso nel modellato, delicato nel colore, valido in schenú compositivi talvolta di eccezionale semplicità (Incredulità di s. Tommaso delle Gallerie dell'Accademia di Venezia), di una "cordiale poetica che sa di classicismo virgiliano, di georgica antica" (Longhi, 1946).

Bibl.: Per una bibl. completa al 1957 si veda Coletti, 1959, pp. 101 ss., ma v. anche: Ch. De Brosses, Viaggio in Italia, Lettere familiari, Bari 1973, pp. 137, 140, 142, 184, 230; D. M. Federici, Memorie trivigiane..., Venezia 1803. 1, pp. 222, ss.; J. A. Crowe-G. B. Cavalcaselle, A history of painting in North Italy [1871], a cura di T. Borenius, London 1912, adIndicem;V. Botteon-A. Aliprandi, Intorno alla vita e alie opere di G. B. C., Conegliano 1893 (rec. di G. Gronau, in Repertorium für Kunstwissenschaft. XVII [1894], pp. 459-466); R. Burckhardt, C. da Conegliano, Leipzig 1905;L. Venturi, Le oririni della pitt. veneziana, Venezia 1907, pp. 260 s.; A. Venturi, Storia dell'arte ital., VII, 4, Milano 1915, pp. 500-551; B. Berenson, Dipinti venez. in America, Milano-Roma 1919, pp. 178-200; R. Van Marle, The development of the Ital. schools of painting, XVII, The Hague 1935, p. 408; R. Longhi, Fiatico per cinque secoli di pitt. venez., Firenze 1946, ad Ind.;L. Coletti, C. da Conegliano, Venezia 1959; L. Menegazzi. C. da Conegliano (catal.), Venezia 1962 (rec. alla mostra: R. Pallucchini, in Arte veneta, XVI[1962], pp. 221-228; B. Heynold von Graefe, in Weltkunst, XXXII[1962], 19, pp. 9 s.; A. Ballarin, in The Burlington Magaz., CIV[1962], pp. 483-486; L. Vertova, in Apollo, LXXVI [1962], pp. 716-719; R. Roli, in Arte antica e mod., 1962, pp. VIII-X; M. G. Rutteri, in Acropoli, III[1963], pp. 39-55; R. Marini, in Emporium, CXXXVII[1963], pp. 147-158); Omaggio. a G. B. C. da Conegliano, in La Provincia di Treviso, V(1962), n., 4-5; I. Kuehnel-Kunze, Ein Frühwerk Cimas, in Arte veneta, XVII (1963), pp. 27-34; L. Menegazzi, DiG. C. e di Silvestro Arnosti da Ceneda, ibid., XVIII (1964), pp. 168-170; D. Redig de Campos, Une Vierge italo-byzantine de C. da Conegliano, in Mélanges E. Tisserant, III, Cittàdel Vaticano 1964, pp. 245-249; F. Heinemann, Ein unbekanntes Werk des C. da Conegliano, in Arte veneta, XX (1966), p. 236; B. B. Fredericksen-F. Zeri, Census of pre-nineteenth-cent. Ital. paintings in North American public collections, Cambridge, Mass., 1972, p. 53; G. Poschat, Figur und Landschaft..., Berlin-New York 1973, ad Indicem;Ch. Wright, OldMaster Paintings in Britain, London 1978, pp. 37, s.; Peinture italienne, Avignon, Musée du Petit Palais (catal.), a cura di M. Laclotte-E. Mognetti, Paris 1977, n. 54 e fig.; P. Humphrey, C. da Conegliano at S. Bartolomeo in Vicenza, in Arte veneta, XXXI(1977), pp. 176 ss.; Id., C. da Conegliano and Alberto Pio, in Paragone, XXIX(1978), 341, pp. 86-97; U. Thieme-F. Recker, Künstlerlexikon, VI, pp. 593-596; Encicl. Ital., X. pp.244 s.

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Vocabolario
cima
cima s. f. [lat. cȳma «germoglio, parte terminale e più tenera di alcune piante» e nel lat. pop. «cima», dal gr. κῦμα «feto, germoglio», der. di κύω «concepire»]. – 1. a. La parte più alta, punta, sommità di qualche cosa: la c. del campanile;...
battista¹
battista1 battista1 (ant. batista) s. m. [dal lat. tardo baptista, gr. βαπτιστής, der. di βαπτίζω «battezzare»] (pl. -i). – 1. Propr., chi battezza, battezzatore; in partic., il sacerdote che ha l’incarico di battezzare in vece del parroco....
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