CIMITILE
Centro della Campania in prov. di Napoli, a meno di km. 1 da Nola, la cui origine e il cui nome sono legati alla presenza nel suburbio dell'antica città romana di una vasta area cimiteriale ove, in anno imprecisato ma sicuramente anteriore alla pace religiosa, fu deposto il martire Felice (metà del sec. 3°).Nella storiografia del complesso monumentale, sviluppatosi in un lungo arco di secoli in relazione alla tomba venerata e in funzione del culto martiriale, una netta cesura è stata determinata dagli scavi archeologici compiuti a più riprese da Chierici, a partire dal 1931 e fino al 1961, e quindi da successivi interventi. Sino a tale epoca l'unica fonte era costituita dai dati offerti dalle opere di Paolino di Nola (i Carmina natalicia composti annualmente per la festa di s. Felice e le Epistulae scritte all'amico Severo), mentre i resti monumentali rimanevano inglobati nelle costruzioni moderne e pertanto risultavano leggibili solo parzialmente.Gli scavi hanno rimesso in luce una parte della necropoli sviluppatasi secondo un asse direzionale N-S con ambienti sepolcrali allineati lungo un iter ovvero disposti in gruppi, attribuiti a un periodo che va dal 2° al 4° secolo. Alcuni di questi mausolei presentano ancora i resti della decorazione affrescata e in particolare il monumento nr. 13 - che venne in seguito a costituire la c.d. basilichetta dei Ss. Martiri - mostra scene veterotestamentarie (i Protoparenti, il ciclo di Giona) che si pongono ai primordi dell'arte funeraria cristiana (sec. 3°).I medesimi scavi hanno inoltre consentito di riconoscere la tomba di s. Felice nella prima, da S, del gruppo di tre sepolture - le altre due sono attribuite ai vescovi di Nola Massimo e Quinto - oggi all'interno di una edicola monumentale, ma in origine racchiuse in un ambiente funerario, costruito, secondo una recente ipotesi (Korol, 1988), in un momento posteriore alle inumazioni suddette, forse nei primissimi anni del sec. 4°; a esse si unirono sul lato orientale due altri mausolei per il desiderio dei fedeli di essere sepolti vicino alla tomba del santo, primi fra essi i vescovi nolani, come testimoniano in taluni casi le loro epigrafi funerarie.Ben presto la comunità cristiana provvide a erigere una prima aula di culto che si è proposto di riconoscere nell'edificio absidato a N e aperto con un triforio a S, lungo l'iter del cimitero. L'aula, databile alla seconda metà del sec. 4°, aveva le pareti affrescate con scene del Nuovo Testamento, secondo l'esplicita testimonianza di Paolino (Ep., XXXII); della sua decorazione rimangono alcuni resti nelle pareti meridionale e occidentale: fra questi degna di nota, sul lato dell'ingresso, la rappresentazione di una città cinta da mura, nella quale si vuole identificare Gerusalemme.Contigua a E alla prima e aperta verso di essa fu eretta una seconda aula cultuale, la basilica vetus degli scritti paoliniani, divisa in tre navate da pilastri e con abside orientale fiancheggiata da pastofori. Al suo fianco meridionale, in un momento ancora anteriore al sec. 5°, venne ad appoggiarsi la c.d. cappella di S. Calionio. La duplicità degli spazi cultuali, martyrium ad corpus e aula per la sinassi, consente di avvicinare il santuario di Felice ai più grandiosi complessi martiriali romani di età costantiniana, secondo un'organizzazione liturgica e un progetto costruttivo che trovava il modello ideale negli edifici dell'Anastasi a Gerusalemme.A O, infine, una grande abside, installatasi su precedenti mausolei, venne a completare la disponibilità ricettiva del santuario come presumibile spazio destinato ai refrigeria, secondo quanto lasciano supporre i recenti ritrovamenti archeologici al suo esterno, consistenti in resti di suppellettile ceramica e vitrea associati ad avanzi di pasto. Non risulta a tutt'oggi chiaro l'eventuale apporto recato da papa Damaso I (366-384) a talune di queste fabbriche.Il momento di grande fervore religioso e di maggiore sviluppo del santuario feliciano coincise con l'arrivo e il soggiorno, tra gli ultimi anni del sec. 4° e i primi del seguente, del console suffectus governatore della Campania, Meropio Ponzio Anicio Paolino, ivi ritiratosi insieme alla moglie Terasia e poi divenuto vescovo di Nola. La sua attività edilizia si esplicò tra il 400 e il 405. Le necessità di ricezione per la comunità residente e per i pellegrini dovevano ogni giorno farsi più pressanti, cosicché accanto agli edifici di culto sorsero altri spazi e altre fabbriche in parte conosciute attraverso Paolino: gli ambienti monastici che avevano accolto coloro che insieme a lui e a sua moglie conducevano una vita religiosa molto dura, l'ospizio costruito per i pellegrini poveri - dove, al piano superiore, aveva trovato alloggio lo stesso Paolino -, l'acquedotto che serviva per le diverse necessità, tra cui l'alimentazione delle fontane di cui era dotato il complesso martiriale, e infine un hortulus e un pomarium. Grandioso fu il progetto paoliniano di rinnovamento degli edifici cultuali. Un primo intervento riguardò il rapporto spaziale con la tomba venerata: la maggioranza degli studiosi lo ha identificato con la costruzione della monumentale edicola sorretta da colonne e capitelli, in buona parte di spoglio, e decorata da mosaici con racemi e girali su fondo azzurro e iscrizione in distici. Di recente tale identificazione è stata respinta a favore di un'attribuzione dell'edicola al sec. 6°, limitando quindi l'intervento di Paolino all'apertura di un triforio in luogo dell'abside dell'aula ad corpus appositamente abbattuta in modo da collegare gli spazi liturgici esistenti alla grande basilica nova eretta a settentrione della tomba venerata. La basilica, a tre navate divise da undici colonne per lato, aveva abside sopraelevata a tricora con il lobo centrale illuminato da tre finestre. Ai lati conche minori (secretaria), ciascuna con una finestra, erano destinate, rispettivamente, al vescovo che consacra il pane e ai presbiteri partecipanti alla sinassi. L'altare era al centro e sotto di esso Paolino raccolse reliquie di apostoli e martiri nonché un frammento del legno della Croce. Una profusione di ornati abbelliva l'edificio: il pavimento era in opus sectile, l'abside aveva nell'emiciclo centrale, sopra uno zoccolo in marmo bianco, un rivestimento in opus alexandrinum e nella calotta una ricca decorazione musiva, quasi interamente perduta, che, stando alla descrizione lasciata dallo stesso Paolino (Ep., XXXIII), raffigurava una grande croce gemmata stagliantesi su un cielo stellato circondata da dodici colombe e sormontante l'Agnus Dei sul monte paradisiaco, verso cui si dirigevano due teorie di sei agnelli. Ugualmente perduto nella sua massima parte risulta il partito decorativo delle pareti, ispirato a temi del Vecchio e del Nuovo Testamento. Infine una serie di transenne marmoree, delle quali sono superstiti numerosi resti, doveva suddividere lo spazio nei singoli edifici o recingerne i presbiteri: l'interesse di questo gruppo omogeneo, più che nel motivo decorativo a traforo con spartizione a losanghe o a pelte, ripetente un repertorio comune nei secc. 4° e 5°, sta nel fatto che sulle cornici Paolino volle far incidere alcune massime morali di ispirazione biblica.Al medesimo periodo è stata attribuita la decorazione a fresco del mausoleo nr. 14, in cui si riconoscono scene del Vecchio Testamento. Al contrario non risulta a tutt'oggi documentato archeologicamente il battistero, della cui esistenza in interiore situ, rispetto alla basilica nova, è fatta esplicita menzione nei testi letterari.Nei primi decenni del sec. 6° una catastrofica alluvione dovette recare non pochi danni al complesso: la documentata presenza di uno spesso strato di limo consente di porre, in età antecedente l'evento calamitoso, al di sopra di uno spazio funerario, la costruzione della basilica di S. Stefano al limite nordoccidentale dell'area indagata e, in un momento successivo, quella della chiesa di S. Tommaso, progettata come aula cimiteriale con un sistema organico di tombe in muratura a più piani aperte nel pavimento, che hanno restituito corredi e doni funebri ascrivibili al 6° e al 7° secolo. A tale periodo è possibile inoltre attribuire un restauro della basilica nova, utilizzata anch'essa all'epoca per sepolture, e agli anni successivi un intervento edilizio sull'edicola mosaicata, con una diversa articolazione dello spazio mediante l'inserimento di nuovi colonnati.Intorno all'800 si devono al vescovo Lupino lavori a favore delle fabbriche feliciane: le testimonianze della sua committenza si limitano però ad alcune lastre e a taluni pilastrini di arredo liturgico.Ben più ampia è la documentazione relativa all'opera rinnovatrice del vescovo Leone III, consacrato da papa Formoso (891-896), tra gli ultimi anni del sec. 9° e il 10°: per suo volere fu ristrutturato il mausoleo nr. 13, che divenne la basilichetta dei Ss. Martiri: con muratura in tufo vennero tamponati gli arcosoli esistenti e costruiti due altari a blocco appoggiati alla parete orientale, nella quale fu inserita un'abside; l'antico ingresso a S fu sostituito da un altro sul lato N, verso il polo cultuale di s. Felice, arricchito da un protiro sorretto da pilastrini sulle cui mensole fu inciso il nome del vescovo costruttore. In un secondo momento (forse molto più tardi, nel sec. 18°) la basilichetta fu messa in rapporto con gli ambienti contigui nrr. 11 e 14. Alla medesima fase edilizia del sec. 10° è possibile attribuire anche la ricostruzione dell'oratorio di S. Calionio, con le stesse dimensioni e lo stesso orientamento della basilichetta dei Ss. Martiri: in esso inoltre risulta indicativa la presenza di un altare a blocco costruito con le medesime tipologie e la stessa muratura in tufo dei due esistenti nell'altro santuario. Numerosi sono i resti della ricca suppellettile marmorea di cui furono dotati i diversi edifici del complesso durante l'episcopato di Leone, il che testimonia anche l'intensa attività delle botteghe campane.La basilichetta dei Ss. Martiri fu decorata a fresco e nei resti ancora visibili Belting (1978) ha proposto di distinguere tre successivi interventi, risalenti rispettivamente alla metà del sec. 10° (quando il vescovo committente era già morto) - da porre in rapporto analogico sul piano stilistico con le miniature ancorché più tarde del rotulo della Benedictio fontis della cattedrale di Benevento (Roma, Casanat., 724/II, già B.I.13) -, al tardo 11° e al 13° secolo. Il programma della decorazione originale, di alto livello qualitativo, tanto da rappresentare "la più valida testimonianza della pittura murale dell'Italia meridionale nel sec. 10°" (Belting, 1978), è conservato nella maggior parte sulle tre pareti e sulla volta. In quest'ultima, ai quattro angeli-cariatidi, forse sorreggenti un clipeo con l'Agnus Dei, si uniscono i simboli dei quattro evangelisti. Sulla parete dell'abside è raffigurata una Maiestas Domini con cherubini e angeli, mentre sulle pareti occidentale e settentrionale si susseguono scene di un ciclo della Passione (Tradimento di Giuda, Salita al Calvario, Crocifissione, Discesa agli inferi, Pie donne al sepolcro, Noli me tangere, Incredulità di Tommaso), completate da due rappresentazioni petrine (Vocazione apostolica di Pietro e Andrea, Insediamento di Pietro) e dalla scena della Presentazione di Cristo al Tempio. Numerose figure di santi si collocano nelle strombature delle finestre e negli spazi di risulta delle pareti (Ss. Cosma e Damiano, S. Pantaleone, S. Caterina, S. Gennaro). Alla medesima fase decorativa sembrano appartenere anche le pitture superstiti nella cappella di S. Calionio, tra le quali i ritratti dei Ss. Felice e Paolino. Nella parete absidale della basilichetta dei Ss. Martiri la pittura nel catino con la Madonna orante fra due angeli appartiene alla seconda fase, insieme ai vela sopradipinti nello zoccolo, mentre per la terza fase pittorica si possono menzionare i Ss. Eusebio e Maddalena affrescati nelle nicchie rispettivamente a destra e a sinistra dell'abside.
Bibl.:
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