Xi Jinping sa che i dieci anni che ha dinanzi a sé come segretario del Partito comunista cinese e presidente (da marzo 2013) della Cina non saranno come il decennio che lo ha preceduto. Allora, nel 2002, la Cina, diventata a pieno titolo una potenza mondiale soprattutto di carattere economico, si attestava come la fabbrica del mondo, un paese al quale guardare in termini di investimenti, di possibilità, al quale prestare la indispensabile attenzione. Erano i tempi dei frutti dell’opera economica e di apertura di Deng Xiaoping, amplificati da una serie di congiunture e dal lavoro di Jiang Zemin. Il burocrate (un ‘tecnico’, diremmo oggi) Hu Jintao, che diventava presidente e segretario del Partito comunista cinese, si è limitato a mantenere l’armonia nel paese, continuando l’opera di attrazione degli investimenti e di crescita intrapresa dai suoi predecessori. Ma ha dovuto fare i conti con due problemi: la crisi economica e internet. Nel 2008 la Cina ha subito come tutti la grande crisi economico-finanziaria e l’ha risolta immettendo denaro, favorendo le infrastrutture, ma generando anche un grosso debito (la cui vera entità rimane un mistero) dei governi locali nei confronti delle banche statali. La crisi scoppiata negli ultimi anni ha avuto effetti devastanti soprattutto in termini di crescita: nel corso del 2012, la crescita del prodotto interno lordo è scesa ai minimi degli ultimi tre anni. Le principali cause del rallentamento sono principalmente il raffreddamento della domanda mondiale, che ha penalizzato le esportazioni del made in China, e lo sgonfiamento della bolla immobiliare, che ha ridotto l’attività del settore trainante dell’economia cinese. Ma, nonostante questo, grazie ad una serie di politiche monetarie e fiscali espansive messe in campo dal governo la Cina è riuscita a registrare, lievemente sopra a quanto programmato, per il 2012 il tasso di crescita al 7,8%, il peggiore da 13 anni e per la prima volta sotto l’8% da otto anni. Internet invece è scoppiato in mano ai burocrati cinesi, che probabilmente l’avevano sottovalutato. Come la maggior parte al mondo, anche gli occupanti dello Zhongnanhai (l’oscuro compound di fianco alla Città proibita, sede dell’establishment cinese) non potevano immaginare una diffusione così rapida delle tecnologie della rete, l’uso delle stesse attraverso non più solo computer da casa ma tablet o telefonini, amplificando così le possibilità informative o di denuncia. I cinesi hanno provato ad arginare il tutto con la ‘Great Firewall of China’, la grande muraglia di fuoco che blocca le connessioni e che, attraverso il Grande fratello, controlla le trasmissioni internet. Ma è difficile riuscire a mettere in gabbia un animale che cambia continuamente aspetto e così internet sta diventando sempre più il veicolo delle denunce in Cina, le stesse che minano quell’armonia che Hu Jintao ha sempre voluto mantenere, spesso utilizzando la forza. Xi Jinping si trova dinanzi un paese diverso. Dovrà fare i conti con una forte crisi economica mondiale, che ha investito in pieno anche Pechino. Sa che i dieci anni che lo aspettano dal punto di vista economico non possono essere come quelli appena trascorsi. La sua Cina necessita di riforme per procedere sulla via dell’armonia (reale e non forzata, come spesso si è assistito), le stesse appena accennate in questi anni. In un paese nel quale il numero delle manifestazioni per il malcontento è in aumento, nel quale nonostante i controlli l’informazione riesce a circolare più facilmente, il nuovo segretario/presidente dovrà agire sull’economia per favorire i consumi interni, migliorare il welfare (quasi inesistente), demolire alcuni monopoli e favorire il privato, passare da un sistema ancora troppo legato all’export verso uno che favorisca molto la domanda interna, lavorare sul renminbi. Dovrà combattere fortemente la corruzione imperante nel Partito, sostenere le classe deboli e tentare di ridurre il gap fra ricchi e poveri. Ma dovrà lavorare anche su piani non economici molto caldi: le questioni sociali, la partecipazione democratica sempre più richiesta, le libertà. E su dossier scottanti come Tibet (non dimentichiamo che al 23 febbraio 2013, nella quasi indifferenza totale, sono 95 i tibetani che si sono auto-immolati dal febbraio 2009, dei quali 83 nel 2012, 8 nel 2013), Uiguri e Taiwan, oltre che sui rapporti con Usa, Giappone ed altri paesi. Dovrà rigenerare la classe politica. Lui ci sta provando, per ora, chiedendo rigore, mettendo fine alle spese pazze, e lottando contro la corruzione. Xi è considerato un giovane – ha 59 anni. Il premier designato, Li Keqiang (assurto, a differenza del suo predecessore, al secondo posto nella speciale classifica di valori all’interno del gruppo che controlla il paese), ha 57 anni. Gli unici due sotto i 60 anni tra i sette componenti del Comitato permanente dell’ufficio politico del Partito comunista cinese che governa la Cina, a puntare sui due mandati quinquennali. Gli altri cinque membri saranno rimpiazzati da una nuova generazione di leader che si sta facendo largo nelle amministrazioni locali. Ma la sfida è difficile e si deve tener conto del malcontento. Si dovrà sicuramente mettere mano a riforme in grado di rispondere alle istanze crescenti all’interno della società cinese che, da più parti, chiede di potersi esprimere più liberamente, di partecipare alle scelte collettive, di essere più rappresentata da una classe politica sempre più lontana dai problemi della gente comune.