È noto che dal 2010 la popolazione urbana della Terra ha superato quella rurale. Il dato probabilmente più indicativo di questa esplosione dell’urbanizzazione è che questo fenomeno interessa, quasi nella sua totalità, le città dei paesi in via di sviluppo, ed in particolare le aree del sud-est asiatico.
La Cina, urbanizzandosi a una velocità che non ha precedenti nella storia umana, come sottolinea l’urbanista Mike Davis, ha raggiunto più abitanti-cittadini negli anni Ottanta di quanto abbia fatto l’intera Europa – Russia compresa – nel 19° secolo ed è oggi il paese al mondo che conta il maggior numero di cittadini. Il tasso di urbanizzazione, inferiore al 20% negli anni Sessanta, è bruscamente aumentato a partire dal 1979 (anno in cui viene inaugurato da Deng Xiaoping il ‘nuovo corso’) e la popolazione cinese è divenuta in maggioranza urbana alla fine degli anni Ottanta. Nel 2050 il 75% degli abitanti cinesi vivrà in città ed è prevista l’edificazione di mezzo miliardo di metri quadrati di superficie residenziale, nonché la costruzione di porti, aeroporti, tunnel (già oggi la Cina consuma oltre un quarto dell’acciaio prodotto nel mondo e circa la metà del cemento).
Il caso cinese è significativo anche perché è l’unico paese, tra quelli considerati in via di sviluppo, nei cui indicatori di sviluppo urbano c’è una correlazione diretta tra prodotto interno lordo e crescita della popolazione urbana. Tuttavia la crescita repentina dell’urbanizzazione ne rivela anche la sua intrinseca insostenibilità: secondo i dati della Banca mondiale già dal 2007 la Cina ha superato gli Stati Uniti e risulta il primo paese per emissioni di gas serra nell’atmosfera – 16 tra le 20 città più inquinate del mondo sono cinesi.
In Cina il fenomeno urbano assume caratteri precipui: innanzitutto perché la Cina è un paese che dovrebbe essere analizzato e considerato piuttosto alla stregua di un continente, dal punto di vista dell’estensione e della popolazione, arrivando a comprendere all’interno del suo territorio condizioni e modelli di urbanizzazione differenti, raggruppabili in due macro-tipologie principali. Un primo modello urbanistico è quello della Cina orientale, rappresentato dall’insieme delle città costiere, economicamente sviluppate e molto densamente abitate; un secondo modello è quello relativo alla Cina occidentale, rappresentato dalle conurbazioni a bassa densità delle aree interne, caratterizzate da significativi fenomeni di sprawl. Nelle regioni costiere, i processi di urbanizzazione procedono rapidamente, con progressive accelerazioni, dando luogo a fenomeni di urbanizzazione a scala regionale; al contrario, nelle regioni centrali e occidentali della Cina, dove lo sviluppo è molto lento se comparato con le regioni costiere, è più opportuno in realtà parlare di fenomeni di ‘pseudo-urbanizzazione’. Nel primo caso la crescita repentina stimola una rete regionale attiva e vivace, attraverso insediamenti continui che si sviluppano senza soluzione di continuità praticamente lungo l’intera fascia costiera. Questi fenomeni di sviluppo regionale sono in parte comparabili a quelli che si verificano nella Baia di San Francisco, sulla costa occidentale statunitense, oppure alla conurbazione della costa orientale formata dai centri di Boston, New York e Washington D.C. Il modello urbano della Cina occidentale si appalesa invece, come sottolineato, come un fenomeno di ‘pseudo-urbanizzazione’, o meglio di ‘sotto-urbanizzazione’, essendo alimentato dalla massiccia e pressoché continua affluenza di un enorme numero di immigranti provenienti dalle campagne, le cui necessità di sopravvivenza gravano sulle infrastrutture delle città, sovraccaricandole, e addirittura mettendo a repentaglio i processi di approvvigionamento di cibo e acqua, non consentendo in generale la garanzia dei servizi minimi di sussistenza: infatti, il risultato di questi processi, di solito, è la nascita di slums. I numeri di questa ‘ondata contadina’ sono cospicui: negli ultimi 20 anni 300 milioni di abitanti si sono spostati dalla campagna in città, e si attende che altri 500 milioni si spostino entro la metà del 21° secolo. In seguito a questo colossale afflusso, già nel 2005 ben 166 città cinesi – contro appena 9 città degli Stati Uniti – avevano una popolazione superiore al milione di abitanti. Soprattutto questo fenomeno dimostra che, al di là della sua indubbia peculiarità, lo sviluppo urbano cinese presenta una certa analogia con quello del grande inurbamento ottocentesco avvenuto in Europa.
Il processo di ‘occidentalizzazione’ dei modelli urbanistici cinesi è relativamente recente: dalla riforma di Deng Xiaoping, e dalla fine degli anni Settanta, una serie di innovazioni innescano una particolare rivoluzione urbana. Il sostegno al mercato immobiliare, il riconoscimento delle proprietà edilizie, così come l’ingresso delle Real Estate Companies, attori di grandi trasformazioni urbane, hanno favorito l’affermarsi di modelli occidentali. In particolare, a partire dagli anni Novanta la crescita diviene esponenziale e i modelli urbanistici finiscono inevitabilmente per sovrapporsi, al punto che le rappresentazioni geografiche tradizionali non sembrano più in grado di dare conto adeguatamente della complessità dei processi territoriali in atto. Ci troviamo di fronte a gated communities, grattacieli, ‘villaggi’ costruiti in mimesi con le tipologie storiche, ma anche villaggi rurali autentici inglobati dalla crescita urbana, e infine le più avanzate sperimentazioni ecosostenibili, come l’insediamento (presentato all’Expo del 2010) che sorgerà di fronte a Shanghai nel 2020, sull’isola di Chongming e ospiterà circa 20.000 abitanti.
La Cina rappresenta, dunque, l’emblema della discrasia tra sostenibilità e insostenibile pesantezza dell’urbano, nodo che riguarda l’intero pianeta. Inoltre, la dicotomia dei modelli di sviluppo urbano (costiero e regionale interno) dimostra che, alla consueta contrapposizione tra città e campagna, tende a sostituirsi sempre più il confronto tra megalopoli e città di medie dimensioni. Se le megalopoli edificate dal nulla rappresentano il risultato senza dubbio più eclatante della pianificazione cinese, è altrettanto vero che proprio in Cina, più che altrove, le città medie e le regioni metropolitane a bassa densità sono i luoghi in cui avverranno le trasformazioni territoriali, sociali ed economiche più rilevanti e che finiranno per ospitare la maggior parte dei nuovi cittadini del pianeta, rischiando di diventare il paesaggio tipico del 21° secolo.