Cina
. Mentre D. accenna, sia pur fugacemente, agli Arabi, a Maometto, all'India, manca nella sua opera qualsiasi riferimento diretto alla C. o meglio al ‛ Catai ', nome col quale essa era a quel tempo conosciuta, e al Giappone. E si che suo contemporaneo fu proprio Marco Polo (1254-1324), il quale, reduce dal lungo soggiorno in Oriente, aveva acquistato fama, già vivente, per le sue descrizioni di quei lontani paesi e soprattutto del grande Impero dei Tartari, padroni anche della Cina. Ma D. mostra d'ignorare il Polo e la sua opera: forse per quell'amore di verità di cui s'era nutrito fin dall'infanzia - com'egli stesso scrisse nella Quaestio de aqua et terra - e che lo avrebbe portato a dubitare, come tanti altri suoi contemporanei, dell'attendibilità delle descrizioni del Milione. Per i due riferimenti a popoli e cose dell'Estremo Oriente, contenuti in Cv II VIII e in If XVII 16-18, v. TARTARI.
Fortuna di D. in Cina. - Un concreto interessamento da parte degl'intellettuali cinesi per D. comincia solo con l'inizio di questo secolo, allorché il noto critico, giornalista e uomo politico Liang Ch'i-ch'ao (1873-1929) fece di D. uno dei personaggi del suo dramma musicale Hsin Lo-ma (La nuova Roma).
Compromesso in patria per la sua attività rivoluzionaria, dopo il fallimento del movimento di Riforma del 1898 Liang era stato costretto a riparare in Giappone, dove aveva continuato a svolgere tra gli studenti cinesi ivi residenti un'azione di propaganda diretta a inculcare nei loro animi i principi della libertà, della democrazia, del nazionalismo. Come il suo maestro K'ang Yu-wei (1858-1927), anche Liang ritenne di additare ai suoi compatrioti l'esempio dell'Italia: paese antico e d'illustre civiltà come la C., sede anch'esso un tempo di un grande Impero, successivamente decaduto e invaso dai barbari, ma che era poi riuscito con le sole sue forze a liberarsi e a riacquistare l'indipendenza. Nel suo dramma musicale, apparso sul periodico in lingua cinese " Hsin-min ts'ung-pao " (Il popolo nuovo) di Yokohama nel 1902 (nn. 10, 11, 12, 13, 15 e 20), Liang si propose per l'appunto di riassumere i più importanti episodi del Risorgimento italiano, dal congresso di Vienna fino alla presa di Porta Pia. Dei 40 atti di cui avrebbe dovuto consistere il dramma, Liang ne scrisse soltanto sei, oltre a un prologo in cui per l'appunto figura il personaggio di D. del quale aveva avuto notizia leggendo i saggi dei primi dantisti giapponesi. Nel suo dramma D. si presenta in scena a cavallo di una gru, come un " immortale taoista ", vestito di seriche vesti e con una barba fluente, e in un lungo monologo, in parte cantato, in parte recitato, dichiara di aver fatto ritorno in patria dopo mille anni per ammirare i progressi compiuti dai suoi compatrioti. Dopo una breve esposizione degli avvenimenti che hanno condotto all'unità d'Italia, D. esce di scena, sempre a cavallo di una gru, per recarsi in C. " in compagnia dei suoi grandi amici: Shakespeare e Voltaire " (il che dimostra che Liang Ch'i-ch'ao non era a conoscenza dei malevoli giudizi formulati da Voltaire sul conto degli altri due poeti). Forse perché non finito, forse perché apparso a puntate su una rivista dalla circolazione limitata a ristretti gruppi di esuli, il dramma ebbe scarsa fortuna. È stato pubblicato nell'edizione delle opere complete di Liang Ch'i-ch'ao (Yin-ping-shih chuan-chi, " Raccolta di monografie dello studio dove si bevono le granite ", Shanghai 1932, vol. XIX).
Un altro fugace accenno a D. si trova in una poesia di Su Man-shu (1884-1918), monaco buddhista, scrittore, poeta e uomo di cultura: " Dante e Byron sono i miei maestri; il loro genio fu come il fiume, come il mare; la loro vita fu diritta come un filo " (Penshih in Su Man-shu ch'üan-chi, " Opere complete di Su Man-Shu ", Shanghai 1928-1931).
Il movimento per la Rivoluzione Letteraria del 1916, che sosteneva la necessità di adottare uno stile più corrispondente alla lingua comunemente parlata e di abbandonare l'uso dello stile classico, cercò conferma di tali sue tesi nella storia letteraria di altri paesi e, primo fra tutti, dell'Italia, che, per merito soprattutto di D., aveva saputo abbandonare l'uso del latino per servirsi del volgare. Il principale promotore di tale movimento, il filosofo e letterato Hu Shih (1891-1962), scrisse nel 1917 sulla rivista " Hsin ch'ing-nien " (Nuova gioventù) un articolo in cui invitava gli scrittori cinesi a seguire l'esempio di Dante. È da domandarsi però come i Cinesi avrebbero mai potuto procurarsi una conoscenza diretta delle opere di D., finché non ne esistevano traduzioni nella loro lingua. Una versione in cinese dell'Orazione Domenicale (Pg XI 1-24) era stata già pubblicata nell'opera di N. Besso, La fortuna di D. fuori d'Italia, Firenze 1912, 311. Ne era autore il ministro di C. presso il nostro governo,
Wu Tsung-lien; ma, forse per la sede in cui era stata pubblicata, passò del tutto inosservata. A far meglio conoscere l'opera di D. in C. contribuì invece la rivista " Shao-nien tsa-chih " (Rivista dei giovani), che nel 1921, in occasione del centenario dantesco, dedicò un intero numero al nostro poeta. Da allora cominciarono ad apparire le prime traduzioni, condotte però su versioni inglesi o francesi. Nel 1924 Ch'ien Tao-sun tradusse i primi cinque canti della Commedia: Shench'ü i-luan (" Saggio di una versione della D.C. ", Shanghai 1924). Dieci anni dopo Fu Tung-hua riassunse tutta la Commedia presentandola ai lettori come un romanzo (Shanghai 1934). Infine nel 1939 venne pubblicata a Shanghai la prima versione integrale dell'Inferno a cura di Wang Wei-k'e, cui fecero seguito nel 1948 le versioni del Purgatorio e del Paradiso. Secondo quanto il traduttore scrive nel terzo volume, la sua limitata conoscenza dell'italiano non gli ha permesso di tradurre dall'originale, che pure ha tenuto presente, basandosi soprattutto su versioni francesi e tedesche. La Vita Nuova è stata tradotta da Wang Tu-ch'ing (Shanghai 1934).
Fra gli autori cinesi contemporanei, Kuo Mo-jo (n. 1895), principale personalità culturale della C. popolare, scrisse nel 1923 una poesia ispirata al V canto dell'Inferno, nella quale finge che D., attirato dalla bellezza di Francesca, esprima il desiderio di non lasciare più l'Inferno pur di restare accanto a lei (Mo-jo wen-chi, " Raccolta delle opere di Kuo Mo-jo ", Hongkong 1957, I 185). Kuo Mo-jo spinse la sua ammirazione per D. al punto di arrivare a paragonare sé stesso al poeta. Così fece in gioventù nella novella autobiografica P'iao-liu san-pu-ch'ü (Tre canti di una vita dissipata), in cui descrive la partenza della moglie giapponese, costretta dalla miseria a lasciare la C. per fare ritorno in Giappone insieme ai figli. Al momento del distacco egli saluta la donna gridando: " Addio mia Beatrice...! " e le promette di scrivere, come D., un grande poema che la renderà famosa (Mo-jo wen-chi, " Raccolta delle opere di Kuo Mo-jo ", Hongkong 1957, V 117-157). Un altro scrittore, Mao Tun (pseudonimo di Shen Yen-ping, n. 1896), paragonò nel 1936 D. al grande poeta cinese Ch'ü Yüan: ambedue i poeti - egli scrisse - soffrirono l'esilio, ma mentre il poeta cinese supplica e invoca il ritorno, il poeta italiano aspramente critica. Lo stesso Mao Tun, divenuto poi ministro della cultura della C. popolare, sostenne la necessità di pubblicare una serie di traduzioni dei principali classici stranieri, fra cui anche D., nel corso di un congresso dei traduttori cinesi tenuto a Pechino dal 18 al 25 agosto 1954. Come immediato risultato si ebbe una nuova ristampa della traduzione di Wang Wei-k'e (Shanghai 1957) e un rinnovato interessamento per l'opera del nostro poeta. Valga a conferma di ciò l'articolo del critico Ts'ai I intitolato Lun hsien-shih chu-i wen-t'i (Del problema del Realismo), apparso in " Wen-hsüeh Yen-chiu " (Studi letterari) I (1957) 1-21. In esso l'autore polemizza con il critico russo Y.Y. Elsberg, il quale, nella " Literaturnaya gazeta " del 10 maggio 1956 aveva scritto che il realismo in arte avrebbe avuto inizio solo con il Rinascimento. Ts'ai I, invece, sostiene che il realismo in arte daterebbe dai tempi più antichi e a sostegno della sua tesi cita proprio l'opera di D., come esempio di realismo dei primi tempi.
Bibl. - Sulla fortuna dell'opera di D. in Cina vedi la bibliografia di traduzioni cinesi della Commedia, incompleta e non priva di inesattezze, in Pih Shut'Ang, Catalogo di opere in cinese tradotte dall'italiano o riguardanti l'Italia, Pechino 1942; P.G. Allegra, Le fortune di D. in Cina, in " Il Marco Polo " III (1942). Su Liang Ch'ich'ao e il suo dramma, v. G. Bertuccioli, Echi del Risorgimento in Cina, in " Il Veltro " 5-6 (1961) 155-170; ID., La letteratura cinese, Milano 1968, 319-323.