Cina
– Tra il 2003 e il 2004 una nuova generazione politica è salita al potere in C., imperniata sul binomio Hu Jintao (capo del partito comunista e presidente della Repubblica popolare) e Wen Jiabao (primo ministro). La nuova dirigenza, impegnata nella pianificazione della spettacolare crescita economica del Paese, ha contestualmente rafforzato il ruolo della C. sul piano internazionale potenziando l’azione diplomatica in aree geografiche centrali per gli interessi strategici e la sicurezza nazionale (Africa, Europa, America Latina e Asia centrale). All’interno, nonostante alcuni lievi segnali di cambiamento, la vita politica appare ancora segnata dal rigido controllo dello Stato sui mezzi di informazione, dal mancato rispetto dei diritti umani, da politiche di welfare insufficienti a garantire buone condizioni di vita ad ampi strati della popolazione e da una corruzione diffusa fino ai vertici del partito. Nel corso del primo decennio del 21° sec., periodicamente riemerge anche la delicata questione delle minoranze di etnia non Han: nell’agosto 2008, alcuni mesi prima dell’inizio dei Giochi olimpici di Pechino, si è riaccesa la protesta in Tibet, dove le imponenti manifestazioni anticinesi nelle strade di Lhasa sono state duramente represse dalla polizia. Ugualmente problematica appare la situazione delle popolazioni turcofone stanziate ai margini occidentali della Cina, nello Xinjiang, dove, nell’estate del 2009, sono state stroncate le proteste della minoranza musulmana degli .
Economia. – A fronte di un sostanziale immobilismo nella vita politica, la svolta all’insegna del capitalismo imposta da Deng Xiaoping alla fine del 1978, basata sulla duplice politica dell’apertura all’esterno e della transizione all’economia di mercato, ha dato in un trentennio risultati economici spettacolari, migliorando il tenore di vita di centinaia di milioni di persone. Questo è stato possibile nel contesto internazionale della globalizzazione. Il momento decisivo è stato l’ingresso della C. nella World trade organization (WTO) l’11dicembre 2001 e la sua integrazione nel sistema internazionale degli scambi. Da quel momento, infatti, la velocità di crescita del Paese ha conosciuto un’accelerazione senza precedenti. Nel corso del primo decennio del 21° sec. la C. ha mantenuto una crescita a due cifre del PIL, anche quando le economie degli Stati Uniti e dei paesi europei sono entrate nel 2009-2010 in fase di recessione. Tra il 2001 e il 2011 è riuscita a sorpassare Italia, Regno Unito, Francia, Germania e Giappone, classificandosi come la seconda maggiore economia mondiale in termini di reddito prodotto dopo gli Stati Uniti. Grazie a un tasso di crescita delle esportazioni che ha toccato anche il 20%, è arrivata a essere il primo Paese esportatore al mondo. La sua capacità di attrarre capitali risulta inoltre impressionante: i flussi di investimento in entrata sono passati da 40 miliardi di dollari nel 2001 a 106 miliardi nel 2011, rendendo la C. la seconda destinazione favorita dei capitali di tutto il mondo, subito dopo gli Stati Uniti.
La grande trasformazione. – La C. rappresenta probabilmente uno dei casi più riusciti di riforme economiche del 21° secolo realizzate adottando un inedito modello di sviluppo basato su un mix paradossale di capitalismo controllato, rigida direzione politica, concessione di libertà economiche e apertura all’insediamento di imprese straniere. Tale processo è avvenuto in due fasi distinte: nella prima si è favorito l’afflusso maggiore di investimenti dall’estero, allo scopo di sviluppare un’eccedenza di capitale per le esportazioni; nella seconda fase, l’afflusso di capitali esteri, interagendo con successo con il mercato interno, ha permesso il trasferimento di know how, capacità manageriali e tecnologie che hanno portato alla nascita e all’affermazione di grandi imprese transnazionali. La crescita economica della C., la sua rapida industrializzazione e la sua integrazione nell’economia mondiale hanno prodotto tre enormi conseguenze su scala planetaria. La prima è stata un aumento della competizione per l’accaparramento delle risorse mondiali. Oggi la C. è tra i principali consumatori delle più importanti materie prime, assorbendo il 40% dell’acciaio mondiale, il 25% dell’alluminio, il 38% del rame, il 30% dello zinco e il 18% del nickel. Il prezzo di queste materie viene oramai condizionato da Pechino. La seconda conseguenza è stata la riconfigurazione del mercato globale: la C. è diventata il primo Paese esportatore di merci al mondo (ha superato la Germania nel 2009) e le sue esportazioni, che hanno raggiunto nel 2010 quasi 1600 miliardi di dollari (erano 250 solo dieci anni prima), rappresentano quasi il 10% dell’export mondiale. In conseguenza di ciò, la C. ha accumulato regolarmente un attivo commerciale con gli Stati Uniti e con l’Europa ed è stata spesso in deficit nel suo interscambio con il resto dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina, zone da cui acquista materie prime, energia, derrate agricole e prodotti semilavorati. Da questo punto di vista, una delle conseguenze dell’ingresso della C. nel commercio mondiale è stata il trasferimento di risorse dal Nord al Sud del mondo. Inoltre l’espansione continua della C. in nuovi mercati è dipesa in larga misura alla sua capacità di ‘costruire’ nuovi vantaggi competitivi come risultato dell’attuazione di politiche industriali di lungo periodo e non come semplice effetto di fattori storici e geografici. La C., infatti, non solo ha raggiunto posizioni di assoluto rilievo nei settori in cui era già specializzata, come il tessile, abbigliamento e pelle (nei quali ha raggiunto quote di mercato intorno al 30% dell’export mondiale) o in quello dei computer e delle apparecchiature elettroniche (dove la quota di mercato della C. varia dal 20% al 30% a seconda dei comparti), ma risulta ai primi posti anche in settori in cui pochi anni prima era poco o per nulla specializzata (per es. legno e prodotti in legno, mezzi di trasporto, prodotti chimici, macchine e apparecchi meccanici). Il conseguimento di nuovi vantaggi competitivi, soprattutto nei settori a più elevata tecnologia, è stato il risultato di due sforzi congiunti, accomunati dall’obiettivo di trasformare la C. da ‘fabbrica del mondo’ a superpotenza scientifica e tecnologica. Da un lato l’aumento dei finanziamenti pubblici ai laboratori di ricerca scientifica delle università (la C. ha ampiamente sorpassato il Giappone e ogni singolo Paese dell’Unione europea per volumi di investimento in ricerca e sviluppo), e dall’altro una politica volta a incentivare le imprese multinazionali straniere (in particolare quelle che operano nei settori delle biotecnologie, nanotecnologie, genomica) a investire anche in centri di ricerca, dove abbonda l’offerta di neolaureati con salari nettamente inferiori a quelli occidentali. Tali politiche sono state inoltre accompagnate da misure incentivanti tese a favorire il rientro di ricercatori e manager cinesi formatisi all’estero (le cosiddette tartarughe di mare). La terza conseguenza, infine, riguarda il fatto che la C. sta diventando una delle principali aree mondiali di esportazione di capitali. Il surplus delle partite correnti della C., che nel 2007 hanno toccato il valore record dell’11% del PIL, combinato con il continuo afflusso di investimenti diretti esteri ha permesso l’accumulazione di ingenti riserve di valuta estera. La C. è diventata in questo modo il più grande detentore di riserve in valuta del pianeta: queste sono infatti passate dai 292 milioni di dollari del 2002 ai quasi 3200 milioni del 2011. Inoltre, sono cresciuti gli investimenti diretti compiuti da aziende di Stato e fondi sovrani che hanno acquisito partecipazioni azionarie in imprese straniere o rilevato intere aziende, come nel caso della marca di televisioni RCA da parte della Telecom di Shanghai, o della divisione dei personal computer dell’IBM da parte dell’azienda informatica Lenovo, o della banca statunitense Morgan & Stanley, colpita dalla crisi dei mutui subprime nel 2007 e rilevata dal fondo sovrano China investment corporation (CIC), emanazione diretta della Banca centrale di Pechino. Come contropartita finanziaria dei loro prolungati deficit commerciali, gli Stati Uniti hanno consentito che la C. accumulasse a metà 2011 oltre 1300 miliardi di dollari in titoli del Tesoro statunitensi.
Il ruolo della Cina nella crisi economica mondiale. – Il processo di espansione dell’economia cinese ha subito un punto di svolta in seguito alla crisi economica e finanziaria partita dagli Stati Uniti nel 2007-2008 e successivamente estesasi a tutte le economie maggiormente industrializzate. Lo ‘sgonfiamento’ della bolla finanziaria e il ridimensionamento dell’economia di debito dei paesi industrializzati si sono a loro volta tradotti in una flessione della domanda mondiale di esportazioni dalla C. e nel conseguente rallentamento dei tassi di crescita, che sono comunque rimasti ancora elevati (10,4% nel 2010, 9,3% nel 2011). Allo scopo di sostituire la flessione della domanda estera con un aumento degli investimenti e dei consumi interni, il governo cinese ha varato nel 2009-2010 un insieme di misure di incentivazione finalizzate a sostenere i consumi e gli investimenti interni, in particolare nei settori delle infrastrutture, dell’edilizia popolare, dei trasporti e dell’ecologia. L’espansione creditizia si è tuttavia tradotta in una crescita sostenuta dei prezzi, soprattutto nel mercato immobiliare, seguita alla fine del 2011 da un crollo abbastanza accentuato dei prezzi che, paventando la minaccia dell’emergere di una bolla speculativa, è stato possibile arginare solo grazie all’intervento del sistema bancario, ancora sottoposto al controllo dello Stato. In ogni caso, l’esito del tentativo di trasformare la C. da economia basata prevalentemente sulla crescita delle esportazioni a economia sorretta anche dai consumi interni risulta tutt’altro che scontato. In primo luogo vi è la consapevolezza che nel breve periodo i consumi interni cinesi non potranno sostituire quelli dei paesi industrializzati (i consumi interni della C. rappresentano il 30% del PIL rispetto al 71% degli USA). Inoltre la C. continua a mantenere al suo interno disomogeneità rilevanti: alla fine del primo decennio del 21° sec. il reddito pro capite risulta ancora un quindicesimo di quello statunitense, e restano ancora rilevantissimi gli squilibri tra le zone costiere sviluppate e l’entroterra delle campagne ancora in condizioni di estrema arretratezza. Una terza fonte di incertezza, infine, è connessa alla necessità per la C. di sostenere l’uscita degli Stati Uniti dalla crisi per poterla a sua volta superare. C. e Stati Uniti, non a caso, sono state definite chain-gang economies, ossia due economie tendenzialmente incatenate l’una all’altra (la definizione è del politologo Walden Bello), poiché se da un lato la crescita cinese dipende dall’aumento dei consumi del ceto medio americano, dall’altro lato la crescita dei consumi statunitensi dipende dagli investimenti cinesi in titoli del Tesoro. La C. ha interesse a continuare a finanziare il deficit statunitense, anche perché domandando dollari se ne mantiene alto il valore, evitando perdite per i titoli cinesi denominati nella valuta statunitense. L’altra faccia della medaglia è la sottovalutazione della moneta cinese che, pur potendo risultare vantaggiosa per le esportazioni cinesi, potrebbe minacciare la sostenibilità del deficit finanziario degli Stati Uniti nei confronti della stessa Cina. In questa situazione, a partire dalla fine del 2011 la C. ha avviato una cauta e progressiva diversificazione degli investimenti, nel tentativo di ridimensionare il ruolo del dollaro quale valuta di riserva, ma le prospettive restano incerte dal momento che né l’euro, pesantemente minacciato dalla crisi del debito sovrano di Grecia, Italia, Spagna, Irlanda e Portogallo, né lo yen, sembrano costituire alternative valide.